Fonte: pagina 99
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L’idea è quella di una ristrutturazione del debito politicamente accettabile nell’eurozona attraverso la Bce. L’hanno pensata due economisti francesi, l’hanno fatta propria altri 340. Ecco di che si tratta. E con quali problemi.
Continuare a illudersi di poter abbattere un debito come quello italiano – il 133,4% del pil previsto nel 2015 – è illusorio, alla fine non si scapperà da una forma di ristrutturazione. E allora perché non pensare a una forma “morbida”, attraverso la Bce? E’ l’idea, in soldoni, che sta dietro al “piano PADRE”, che non indica il genitore (anche se l’assonanza è voluta), ma è realtà una sigla: “Politically Acceptable Debt Restructuring in the Eurozone”, ristrutturazione del debito politicamente accettabile nell’eurozona. L’idea è stata ripresa con forza in un appello lanciato da 340 economisti alcuni giorni fa, ma è nata in realtà lo scorso gennaio. A lanciarla due economisti, Pierre Pâris (amministratore delegato della Banque Pâris Bertrand Sturdza e membro del Cepr, Centre for European Policy Research di Londra) e Charles Wyplosz (professore di economia internazionale a Ginevra e direttore dell’International Centre for Money and Banking Studies, anche lui membro del Cepr).
«Il piano Padre – scrivono i due economisti – parte dall’opinione che numerosi paesi dell’eurozona hanno accumulato debiti pubblici insostenibili». Insostenibilità, precisano, qui vuol dire «che, una volta finita la crisi dei debiti sovrani, vari governi dovranno affrontare un peso debitorio tale che affosserà la crescita, impedirà l’uso della politica di bilancio, che è l’unico strumento macroeconomico rimasto in un’unione monetaria, per affrontare variazioni cicliche, e in generale diverranno eccessivamente vulnerabili nei confronti degli umori dei mercati».
E’ qui che parte l’idea di “PADRE”. In soldoni: la Bce acquista titoli a zero interessi per la parte eccedente il 60% del pil (la soglia prevista dal Patto di stabilità) del debito pubblico degli Stati dell’euro. Per l’Italia sarebbe una quota pari a quasi il 74% del pil, come dire debiti per un totale di circa 1.100 miliardi di euro. La quota di debito eccedente il 60% del pil, in sostanza, spiegano Pâris e Wyplosz, «viene spazzato via». Quello che resta «sarà sufficientemente moderata da evitare timori di una fuga del mercato». E, soprattutto, si commenta nell’appello dei 340 economisti, si libererebbero «di fatto importanti risorse oggi destinate al pagamento degli interessi e si produrrebbe un formidabile stimolo alla domanda interna di tutti i paesi».
Si tratta insomma di una ristrutturazione per quanto mascherata, visto che di fatto il debito eccedente «sparisce» e, in assenza di interessi, la Bce (e attraverso di lei gli stati dell’euro) dovrà subire delle perdite. Per l’operazione si potrebbe pensare anche ad altri “agenti”, ma la Bce sarebbe ideale, spiegano i due, «perché le banche centrali non devono preoccuparsi del capitale, hanno una credibilità unica e possono sostenere vaste perdite». Oltretutto, buona parte di queste perdite sarebbero ripagate dalle risorse da signoraggio (e cioè i tributi incassati dagli stati membri per il conio delle monete e dalla Bce per la stampa delle banconote, e poi ridistribuiti agli stati dell’euro). Altro vantaggio, secondo i due economisti: «il piano PADRE non è inflazionistico perché non si tratta di una monetizzazione dei debiti pubblici, e non include alcuna creazione di danaro». Traduciamo: siccome per “acquistare” i debiti nazionali, la Bce non paga alcunché, dunque non deve creare danaro aggiuntivo e non alimenta l’inflazione.
Già, ma come evitare il rischio di “azzardo morale”, insomma che gli Stati, liberi da grossa parte del fardello debitorio si abbandonino a nuove spese pazze? I due economisti hanno una risposta anche a questo. Per evitare questo rischio basta, spiegano, «vincolare l’attuazione del piano a condizioni precise». Anzitutto tramite un accordo «vincolante e rigoroso», che preveda che, qualora un paese ricominci ad accumulare debito, la Bce sia obbligata a trasformare le obbligazioni sul debito eccedente di quel paese da titoli a interesse a zero a titoli a interessi di mercato.
Il piano, inoltre, prevede – udite udite – la piena e rigorosa applicazione del famigerato Fiscal Compact, con anzi l’imposizione, per quegli stati firmatari che non l’abbiano ancora fatto, di introdurre le severe norme antidebito nella propria Costituzione. Della serie: vi diamo una bella mano per ripartire alleggeriti, ma poi la severità sarà d’obbligo. «Il piano – commentano i due autori – ha la capacità di portare a definitiva conclusione la crisi debitoria in Europa, e di salvare per lungo tempo l’euro. Se sarà adottato, la reazione di mercato sarà entusiastica, il che potrebbe fornire quello slancio alla crescita e l’ampio sostegno politico di cui l’eurozona ha disperatamente bisogno».
La vedono così anche i 340 economisti che hanno firmato l’appello di questi giorni (tra i firmatari anche Romano Prodi o economisti come l’americano Jeffrey Sachs, il francese Pascal Petit, l’italiano Francesco Saraceno e tanti altri): «E’ inutile – scrivono – costruire un’unione monetaria se non si frutta e capitalizza appieno il potere della sua banca centrale». Problema enorme: è difficilissimo che paesi come la Germania (ma potremmo aggiungerne altri, dall’Austria alla Finlandia), possano accettarlo.
Per il governo tedesco il debito pubblico è e resta questione nazionale, e un simile coinvolgimento della Bce sarebbe in plateale violazione del Trattato di Lisbona, che vieta il finanziamento degli Stati membri da parte della Banca centrale e l’assunzione di responsabili di alcuni stati per debiti di altri. Basti dire che il ben più blando OMT (il piano – mai finora attuato – della Bce di acquisti di titoli sovrani, con i relativi interessi di stati in difficoltà a condizioni precise) è già oggetto di causa presso la Corte Ue. Il sasso, almeno, è stato gettato.