Fonte: Repubblica
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WILLIAM BEVERIDGE è considerato il padre del welfare state. Settant’anni fa prendeva avvio il “Piano Beveridge”, il progetto di protezione sociale che è alla base dei moderni sistemi di welfare. Ecco perchè le sue idee sono ancora attualissime.
da Repubblica, di Lucio Villari
Il Piano Beveridge aveva questo sobrio sottotitolo “La relazione di Sir William Beveridge al Governo britannico sulla protezione sociale”. Pochi grammi di dinamite culturale che avrebbero coinvolto e convinto gli italiani più consapevoli sui fondamenti della giustizia sociale, sulla solidarietà tra le classi, sulla tutela dei diritti e i bisogni dei lavoratori e dei ceti più deboli, sui doveri dello Stato e dei poteri economici per assicurare e garantire libertà e democrazia.
Mentre imperversava una guerra dall’esito incerto, l’opuscolo, scritto senza verbosità propagandistica e senza voler suggerire alcuna ipotesi di rivoluzione socialista, era una minuzioso catalogo di progetti, di programmi, di dati tecnici. Indicava il futuro che avrebbero potuto attendersi i popoli liberati dal fascismo e dal nazismo e suggeriva l’inedito sapore della protezione sociale e della libertà dal bisogno in un sistema di democrazia, vera, attiva.
Il Piano Beveridge era un piano pragmatico e funzionale diretto non ai settori guida dell’economia, industria, agricoltura, terziario, mondo finanziario, come accadeva negli Stati Uniti del New Deal, ma a quello della immediata, quotidiana esistenza delle persone. Il governo, presieduto da Winston Churchill, lo aveva annunciato alla Camera di Comuni il 27 gennaio 1942 come iniziativa di una “Commissione interministeriale per le assicurazioni sociali e servizi assistenziali” costituita nel giugno 1941 e alla cui guida era stato chiamato un economista liberale di sessantadue anni, rettore dell’University College di Oxford, Sir William Beveridge.
L’opinione pubblica inglese, anche la più moderata e liberale, aveva compreso che con l’estendersi in Europa della potenza tedesca, con i continui bombardamenti di Londra e i successi dell’Asse in Africa, la guerra aveva preso una piega pericolosa. Ma ottimismo e volontà di resistenza parvero prevalere in quei giorni. E non mancavano lampi di umorismo british come quelli del disegnatore satirico del Daily Express, Osbert Lancaster che pubblicò con la didascalia “June 1941” un disegno che ho rivisto con molto divertimento: un aristocratico e un ricco borghese si salutano, quasi sorpresi essi stessi, con il pugno chiuso. In questo clima fu elaborato il Piano che Beveridge consegnò a Churchill il 20 novembre 1942. Ai primi giorni di gennaio del 1943 il progetto di “protezione sociale e di politica sociale”, il Welfare State nel senso più razionale e umano del termine, fu conosciuto e se ne iniziò l’esecuzione.
Sono trascorsi settant’anni, ma l’idea che ha guidato Beveridge e i suoi collaboratori e esperti resta intatta ed attuale. Il piano implicava tre premesse: “sussidi all’infanzia, estesi servizi sanitari e di riabilitazione, mantenimento degli impieghi”. Cioè una riforma politica totale della società. Delle tre premesse è superfluo ricordare l’importanza che ebbe il servizio sanitario nazionale (da esso dipende anche il nostro in vigore). Ma è importante anche la conclusione di Beveridge: “L’abolizione del bisogno non può essere imposta né regalata ad una democrazia, la quale deve sapersela guadagnare avendo fede, coraggio e sentimento di unità nazionale”.
Una premessa ideale al secondo Piano Beveridge consegnato il 18 maggio 1944: Full Employment in a Free Society. E’ questa la più vasta indagine che sia mai stata elaborata (oltre 600 pagine) sulle cause della disoccupazione e sulla possibilità, al ritorno della pace, della piena occupazione in industria, agricoltura e terziario. Un sogno costruito su una diagnosi profonda e perfetta, oltre alcune formule keynesiane, sia del funzionamento dello Stato e delle sue strutture sia dell’efficienza del sistema produttivo capitalistico privato. “La piena occupazione produttiva in una società libera — scriveva nell’introduzione Beveridge — è possibile, ma non la si può realizzare agitando una bacchetta magica finanziaria”.
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WILLIAM BEVERIDGE, lo studioso liberale che già nel Dopoguerra aveva teorizzato il dovere dello Stato di garantire i diritti di cittadinanza attraverso il lavoro e un reddito
da www.sbilanciamoci.info 04 aprile 2014
«Il bisogno si definisce come insufficienza di reddito per ottenere i mezzi di una sana sussistenza: vitto adeguato, alloggio, vestiario e combustibile. Il piano di sicurezza sociale è diretto ad assicurare che ogni individuo, a condizione che lavori fin tanto che può, e che versi dei contributi detraendoli dai suoi guadagni, abbia un reddito sufficiente per assicurare a sé ed alla propria famiglia una sana sussistenza, un reddito che lo sollevi dal bisogno al momento in cui per qualsivoglia ragione egli non possa lavorare e guadagnare. Oltre al reddito di sussistenza, la relazione propone sussidi per l’infanzia in modo da assicurare che nessun bambino debba mai trovarsi in condizione di bisogno, e ogni specie di assistenza sanitaria per tutte le persone in caso di malattia, senza alcun pagamento all’atto della prestazione dell’assistenza stessa così da evitare che alcuno debba soffrire perché non ha i mezzi necessari per pagare il medico o l’ospedale».
Quel che avete letto non è il programma della lista Tsipras. È semplicemente un programma proposto per l’Inghilterra del Dopoguerra da uno studioso liberale – non socialista – William Beveridge, autore del celebre volume Social Insurance and Allied Services, noto ‘Rapporto Beveridge‘, che disegnò l’impalcatura generale del welfare state britannico, indubbiamente all’epoca il più avanzato del mondo con quello dei paesi scandinavi.
Il brano qui riportato è tratto invece da Full Employment in a Free Society, spesso citato come ‘secondo rapporto Beveridge‘, che lega le politiche sociali ai temi dell’economia e dell’occupazione, in particolare all’intervento contro la disoccupazione. Nel brano qui riportato il lavoro è visto come un diritto-dovere così come implicitamente inteso anche nella nostra Costituzione. Non è il reddito di cittadinanza. È qualcosa di più: è il dovere dello Stato di garantire i diritti di cittadinanza innanzitutto attraverso il lavoro e poi attraverso un reddito che permetta di vivere dignitosamente anche ai disoccupati.
Insomma qualcosa di estremamente avanzato per quei tempi. E per quello che circola ora, nella destra e anche nella sinistra.
CHI ERA BEVERIDGE? – William Henry Beveridge (1879 – 1963) è stato un economista e sociologo britannico. Figlio di un funzionario del Servizio civile indiano, si laureò a Oxford nel 1904. L’incontro con Sidney e Beatrice Webb, filantropi e teorici del sindacalismo inglese, lo fece entrare nella commissione che pubblicò nel 1909 il famoso «Rapporto della minoranza», primo schema per un piano organico di sicurezza sociale (il welfare state inglese, che egli teorizzò e, come funzionario statale, contribuì a costruire). Diresse (dal 1919 al 1937) la London School of Economics e presiedette un comitato interministeriale che, incaricato di compiere un’inchiesta sul sistema britannico di assicurazioni sociali, nel 1942 presentò il rapporto Social Insurance and Allied Services, più noto col nome di piano Beveridge. Eletto in parlamento come deputato liberale nel 1944, Beveridge accettò nel 1945 il titolo di Lord divenendo baronetto e entrando alla camera alta; da allora si occupò di problemi locali nelle new towns di Aycliffe e Peterlee. Tra le sue opere ricordiamo la più importante La piena occupazione in una società libera (1944) e Il prezzo della pace (1945).
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