Il Patto del Quirinale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 23 dicembre 2014

C’è differenza a eleggere un Presidente al primo o al quarto turno: nel passaggio l’asticella si abbassa e servono allo scopo meno voti. Così che, se l’eletto al primo turno potrebbe configurarsi come un garante, autorevolmente riconosciuto in questo abito da una parte molto consistente delle forze politiche e dei grandi elettori, l’eletto al quarto turno, visti i numeri che girano (maggioranza 505, elettori del PD 460, elettori Forza Italia 130) potrebbe quasi mostrarsi come una specie di notaio di parte. Non è detto che accada, eppure il rischio c’è. E se c’è oggi, immaginate domani con l’ultramaggioritario dell’Italicum (55% al partito più forte e oltre il 50% di nominati). Certo, anche al quarto turno si potrebbe eleggere un Capo dello Stato con una maggioranza ben più ampia e qualificata di quella assoluta, ed è questo l’auspicio, ma è più ragionevole ritenere che, un’asticella abbassata, invoglierebbe a tirare fuori dal cilindro ‘uno dei nostri’, il figlio della colpa di un qualche Patto. Questa, appunto, è la strada cui porta la concezione ‘pattista’ della politica, per la quale due o tre potenti si appartano nel cono d’ombra dei media, e si accordano su qualcosa (di cui non si conoscono neanche bene i contorni), per imporre poi determinati comportamenti ai propri gruppi parlamentari (in buona parte costituiti da fedeli ‘nominati’). Ed è questo il principale esito dell’azione di concentrare o verticalizzare il potere politico nelle mani di un uomo solo al comando, pronto magari a ‘inciuciare’ con il secondo il classifica per accordarsi direttamente con lui.

Io spero che sia chiaro a molti come l’osso della politica italiana sia stato ormai scarnificato, spolpato dalle qualità che la politica ha quasi in esclusiva: capacità di mediazione, quadro largo, tempo debito, visione istituzionale, prassi collettiva, organizzazione territoriale, cultura specifica. E sia chiaro come proprio questa visione pattista, dualista, calcolatoria, pragmatica sia l’esatto opposto di ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno oggi. Non mi meraviglio che un uomo politico come Bersani auspichi dalla Annunziata l’elezione al primo turno di un garante della Costituzione e delle Istituzioni; e come altri si esercitino, invece, davanti al bussolotto dei voti, chiedendo lealtà, temendo imboscate o rappresaglie sullo stile di altre ben note, più interessati alla propria buona figura che ai contorni di chi siederà poi al Quirinale. Dal Patto, insomma, nasce la fine della politica come dimensione collettiva, come interazione pubblica di soggetti e idee. Dal Patto nasce un candidato (ancora segreto a dire il vero, quasi top secret) destinato a rappresentare equilibri politici interni, oligarchici. Dal Patto sgorga una cultura politica asfittica, che può garantire l’elezione di un uomo al Quirinale, la modifica in senso ultramaggioritario della legge elettorale, e chissà che altro ancora, ma che marchia a fuoco e plasma il nostro futuro: da domani (anzi già da ieri) i ‘passanti’ nominano il segretario di partito e il premier, il mandato si verticalizza al punto da ‘alienare’ la base sociale da ogni agibilità politica effettiva, i partiti o quel che ne resta si alleggeriscono e sono costantemente scavalcati (al massimo si concede lo streaming), i gruppi parlamentari (nominati per oltre la metà dai vertici politici) rispondono a bacchetta al leader ben più che agli elettori, i finanziamenti giungono da mecenati e benefattori (!) privati, il governo entra a sua volta in una spirale di voti di fiducia che avvolge la Camera e la ipnotizza, la comunicazione sostituisce tout court la politica, un Parlamento ultramaggioritario elegge un Presidente specchio della maggioranza, i leader, liberi da ipoteche se non le sole percentuali di popolarità, si accordano in qualche segreta stanza, tutto si polverizza nella dimensione individuale o si schiaccia sugli interessi, i clan subentrano ai partiti agonizzanti, ritorna un certo feudalesimo, quello dei valvassori e della ‘lealtà’ e obbedienza personale al signore. Per non parlare della criminalità. E mi pare già abbastanza, a dire il vero.

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