Il Patto (del Nazareno) è il Partito (ri/formato)

per Gabriella
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti 20 ottobre 2014

Il Patto è un Partito (o giù di lì)

Ormai è chiaro. Il ‘Patto’ è solo una forma contratta di ‘Partito’. Mi riferisco ovviamente a quello del Nazareno, dove si sono gettate le basi persino di una nuova concezione della politica, come tecnica di gestione del consenso e del potere, oltre i formalismi ristretti della democrazia e le claustrofobie istituzionali e organizzative. Della forma-partito è rimasto quasi nulla, un brand soltanto, un vessilo. Dire ‘partito delle primarie’, come dice Giorgio Tonini sul PD, è come dire ‘nulla del partito’, è come accennare a un evanescente vuoto organizzativo. A uno spettro. È evidente, solo un cieco non lo vede, che Berlusconi ha investito su Renzi, sulle sue qualità carismatiche di imbonitore, per distruggere la sinistra da dentro, come fece Ulisse con Troia.

Un tarlo che sta erodendo quel che resta del PD, e lo sta svuotando come una cimice rinsecchita. Certo, il premier ha raccolto un testimone che veniva da lontano, di genere veltroniano, ma ha determinato una tale discontinuità da lasciare lo stesso Veltroni a bocca aperta. Non solo lui, ovviamente, ma anche Berlusconi. Che avrà detto: ecco il fenomeno, il destino ha voluto che nascesse a sinistra, magari lo avessimo avuto noi, ma tant’è, di necessità virtù. Lo ha blandito, lo ha convocato ad Arcore. Ha visto che ci si poteva lavorare. Ha sciolto il PDL, una specie di baraccone ormai inutile. Si è rifatto il partito personale di Forza Italia e poi lo ha collocato nel cono d’ombra di Renzi. Distanti ma uniti, lontani ma simili. Un bell’ossimoro politico, l’ennesimo.

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Di qui il ‘Patto’, che nasce sull’Italicum ma cresce anche sull’eventualità di mantenere il proporzionale, perché no? In fondo, un conglomerato post elettorale PD-FI raggiungerebbe la maggioranza assoluta da solo, senza ‘premi’ e polemiche, magari lasciando soltanto le ‘soglie’ in entrata. E il proporzionale manterrebbe più coeso il Paese e la maggioranza renziano-berlusconiana, che si sentirà ben rappresentata in tutte le sue componenti più o meno simulate. Dopo il voto, difatti, con la scusa che non c’è maggioranza e che Lega e Grillo ‘spaventano’, si punterebbe difatti alla grande coalizione con Forza Italia, con indirizzi politici così simili all’attuale programma di governo da lasciare stupefatti. In fondo Renzi sta ottenendo da solo alcuni successi della destra, ma al riparo della simbologia di sinistra. Si pensi all’articolo 18. Al sindacato in un angolo. Al PD ridotto a scheletro retorico e marchio pubblicitario. Il premier, nello stesso tempo, si mantiene ancora le mani libere, rafforzando la Fondazione Open e la Leopolda, perché non si sa mai. Berlusconi, da parte sua, deve rintuzzare il nervosismo di Fitto e della componente più antigovernativa del partito. Ha puntato con convinzione su Renzi e non può permettersi che pochi dei suoi mandino all’aria i piani. Si gioca a poker insomma sul tavolo di un sistema politico terremotato, su forme-partito scassate, su confini politici incerti e osmotici. Sulle ceneri di un Paese che non è un Paese, ma il laboratorio di un cinismo esasperante, ai limiti della corruzione morale. Si tratta soltanto di rendere il più possibile ‘naturale’, dissimulata, l’alleanza politica che cova sotto la cenere, e il più è fatto. E non di alleanza tradizionale, anzi, si può parlare, ma di un ‘patto di consultazione’, un ‘Patto’ più o meno segreto, grazie al quale, nel chiuso di una stanza e dinanzi a pochi fidati, si può decidere il destino del Paese senza rompicoglioni attorno.

La sinistra interna al PD, da parte sua, dovrà scegliere se morire di consunzione, se scindersi (ma da che, visto che al PD manca ormai un principium individuationis che non sia Renzi stesso?), o se perdersi in qualche ristretto convegno culturale. Brutta cosa. Un errore da non fare è almeno questo: evitare di morire con uno zero-zero-virgola. Sarebbe una fine brutta e ingloriosa per chi ha una tradizione così forte, intensa e tribolata (sia sul lato PCI, sia sul lato DC, sia su quello laico in genere). Ha ragione chi dice che si tratterebbe invece di insistere sul bacino dove è nato il PD, quello di una sinistra moderna, riformista, popolare che punta a politiche di sinistra più che a conservare simboli desueti. Piuttosto che avviare una deriva radicale, fuori dal territorio occupato tradizionalmente dal PD. Politiche di sinistra, più che simboli di sinistra. Con un riferimento forte, chiarisco, alla battaglia per l’uguaglianza, a sostegno di coloro che di diseguaglianza periscono ogni giorno, agli ‘ultimi’, ai disagiati, a chi il lavoro (quello vero, non i mini jobs) manca, a chi chiede un riscatto sociale, e non vorrebbe finire ammassato sotto un brand, mentre il guru di turno cerca lo schema giusto per fregare tutti con qualche annuncio mirabolante e un po’ di manfrina da tv commerciale. Prevedo una lunga marcia nel deserto, con un esito niente affatto scontato. Sinistra in progress.

alf

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