IL PARADOSSO DI UNA GIORNATA DELLA MEMORIA, CHE INVITA A DIMENTICARE SENZA MEMORIA

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: David Nieri
Fonte: Minima Cardiniana

IL PARADOSSO DI UNA MEMORIA CHE INVITA A DIMENTICARE
UNA GIORNATA DELLA MEMORIA SENZA MEMORIA

Il 27 gennaio di ogni anno (dal 2005, come da risoluzione ONU), si celebra la Giornata della Memoria per commemorare le vittime dell’Olocausto, uno dei punti più bassi raggiunti dal genere umano. La data “scelta” non è affatto simbolica, perché quello stesso giorno, nel 1945, l’Armata Rossa (non gli americani, come spesso, erroneamente, si prospetta nei film da Oscar o in qualche racconto di fantasia) liberò il campo di concentramento di Auschwitz.
Il fatto è che mai, come quest’anno (almeno secondo i personali ricordi di chi scrive), tale ricorrenza è stata oggetto di tensioni e polemiche. L’argomento, si sa, è delicato, forse addirittura “sconsigliato”. Ma questo non può impedirci di esprimere un nostro parere al riguardo.
Partiamo da un presupposto fondamentale: non dovrebbe esistere una memoria più “memoria” delle altre (e non serve, nell’occasione, richiamare George Orwell). Dovrebbero invece esistere le memorie, tante memorie condivise di infiniti orrori che non hanno, né possono avere, una classifica di “gravità”. Perché il male non è mai “assoluto”, e la lista delle aberrazioni dell’umanità è talmente lunga che evidenziarne una su tutte, o alcune rispetto ad altre, può diventare addirittura fuorviante e controproducente. Soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo, le “giornate dedicate” corrono il rischio di dividere, anziché unire. Altresì, non si può esprimere dolore “a comando”: nessun essere umano dotato di ragione e sentimento può negare l’immenso abominio della Shoah, ma dovremmo chiederci, tutti, perché quotidianamente piccoli orrori vengono perpetrati sotto i nostri occhi mentre noi li abbassiamo, come se la tanto acclamata memoria dovesse essere estremamente selettiva. Quel che sta accadendo a Gaza, da oltre tre mesi, dovrebbe quantomeno allarmarci, farci riflettere. Perché sembra, da quanto possiamo evincere dalle opinioni/certezze avanzate dai nostri media mainstream, dai nostri politici, dai nostri maître à penser, che un solo bambino inerme barbaramente trucidato (sono, invece, migliaia: ma non è una questione di “conteggio” delle vittime) non valga “nulla”, non abbia alcuna dignità, solo perché palestinese. E qui, forse, è meglio fare un passo indietro con la memoria (appunto) agli anni in cui si promulgavano le vergognose leggi razziali: perché se durante una “giornata della memoria” la politica (la lettera minuscola è d’obbligo) decide di vietare le manifestazioni a coloro che stanno evidenziando una contraddizione (ovvero la memoria che dimentica, o peggio, offende la memoria) – portando in piazza anche le ragioni dei “vinti”, ovvero di un popolo che sta subendo un autentico massacro – si prospettano e si corroborano le ragioni irragionevoli di un bene e di un male di principio, forse addirittura di una superiorità morale da parte di Israele. Superiorità, appunto. E, di conseguenza, sottomissione.
Ci troviamo dentro il cuore di tenebra, come abbiamo già scritto qualche settimana fa. E la tenebra avvolge il nostro quotidiano vivere, che sta assumendo i contorni di un piccolo “campo di concentramento” ridefinito ossimoricamente “libertà”. Viviamo in continua competizione, e per gratificare i nostri interessi siamo pronti a calpestare il prossimo senza problemi, senza scrupoli, senza il minimo rispetto. Non occorre “ucciderlo” fisicamente. È sufficiente “batterlo”, soggiogarlo con ogni mezzo, avere la meglio per rispondere ai dettami del nuovo dio, il re del mondo che “ci tiene prigioniero il cuore”. Dov’è la memoria, dove sono le buone intenzioni e i buoni propositi nel nostro comune agire nei confronti degli altri? I quasi ottant’anni che ci dividono dal 27 gennaio 1945 cos’hanno prodotto, nel nostro meraviglioso Occidente, il migliore dei mondi possibili? Pace? Solidarietà? Uguaglianza? Quanti piccoli olocausti abbiamo contribuito a generare, negli ultimi secoli, tra colonialismo, genocidi, esportazioni di democrazia e conquiste del West? E dopo la Shoah, all’indomani della scoperta del “male assoluto”, tutto l’odio è scomparso grazie alla memoria, alla terribile lezione impartitaci dalla storia?
“Mai più” un orrore come la Shoah, certo. È il monito di tutti, presidente della Repubblica in primis, un mantra che sentiamo ripetere spesso, non solo in occasione di questa triste ricorrenza. Ma la sensazione è che con il passare del tempo questo auspicio sia stato strumentalizzato fino a svuotarsi del suo significato e diventare propaganda. Quella che intende giustificare altri orrori nel nome, appunto, del preventivo “mai più”. Ieri Corea, Vietnam, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, oggi Siria, Yemen, Ucraina, Gaza, Sudan, domani in prospettiva Taiwan e chissà, forse addirittura la terza guerra mondiale non proprio a pezzetti. Che dire, poi, dell’escalation di violenza che sta imperversando sulle nostre strade, nei nostri quartieri, perfino all’interno delle istituzioni scolastiche, ovvero i punti cardine dell’educazione delle nuove generazioni? È questo che ci hanno insegnato la storia e la giornata della memoria?

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