IL PAESE ASSENTE

per Filoteo Nicolini
Autore originale del testo: FILOTEO NICOLINI

IL PAESE ASSENTE

I LUOGHI E LE STORIE NON ESISTONO SE NESSUNO LE RICORDA E LE RACCONTA

 

  I luoghi e le storie non esistono se nessuno le ricorda e le racconta. Letteralmente, le cose scompaiono alla vista e sfuggono alla coscienza. Il territorio diviene invisibile anche per chi ci abita se non si entra in un vivo confronto con l’oblio e l’indifferenza. È il tema del libro El Paìs Ausente* di Luis A. Crespo, poeta e saggista venezuelano. La Capitaneria del Venezuela, distretto della Spagna, era un paese popolato in maggioranza da esseri invisibili, indigeni, afrodiscendenti, meticci, di cui si ignorò la presenza perché sottomessi ed esclusi dopo essere stati decimati.

  Per una riparazione che sa di riscatto e di speranza, ogni settimana Crespo durante 8 anni si è dedicato a compiere quei doveri dell’anima e della coscienza che la sua sensibilità gli dettava, per raccontare dalle pagine del Nacional la Patria sconosciuta, quella di una Terra e di una gente invisibile. Articoli pubblicati ogni sabato e ora raccolti insieme in una testimonianza di amore alla vita. Viaggiando per fiumi e savane, attraversando selve e montagne, visitando paeselli e piccoli borghi, ha conosciuto e raccontato la vita occulta e dimenticata, ha documentato azioni governative che imbavagliano e annichilano, manipolano e confondono. A volte lo spunto è stata una chiesa abbandonata, o la desolazione in cui versa un agglomerato di casette, o un intagliatore che sa come trasformare legno muto in legno che parla. Attento alla cultura orale e alle tradizioni, in questo compito di rianimare l’invisibile si avvale di chi per iniziativa propria già ha prestato la sua voce al lamento e al ricordo. Crespo ha interrogato i luoghi e questi hanno risposto, con i suoni della Natura, con i versi di un poeta locale e le parole di un cantore, con le annotazioni di chi conserva religiosamente notizie ignorate fino allora. E qui segue tracce esigue, e si lascia condurre nella vasta geografia del Venezuela da un fertile intuito che si intreccia con gli eventi storici delle guerre di indipendenza.

  Allora ha confessato di non sapere che cosa sia più reale quando si guarda un piccolo centro abitato: se il suolo, il suo paesaggio o il nome sopravvissuto agli anni. La pianura appare più reale nelle canzoni tipiche e meno allo sguardo, e poco si presenta al camminante che evochi la storia, la geografia, la memoria delle bellezze naturali, perché la fisionomia stessa del paesaggio è stata depredata da annunci commerciali e ristoranti sulla via. La agonia è doppia quando ci si avvicini alle spiagge tropicali perché le tracce sono ancora più labili, e luoghi dichiarati di valore storico sono proprietà di birrerie e chioschi.

Racconta come si stia portando alla luce da lingue abolite o assediate la poesia indigena, che narra del discorrere delle divinità del vento, della luce e della notte, l’estate e la pioggia, le palme della savana, le rocce del Giurassico, i fiumi di rugiada, la rugiada che è la saliva degli Dei, la casa cosmica. Tutto nella selva tiene voce nel sentire dei nativi. Anche la notte si esprime. L’antenato primitivo ci sussurra all’orecchio. Flora, acque e terra sono tre elementi vincolati con l’origine di molte culture e frequentemente resi totem in funzione dei riti con i quali una etnia evoca e ripete il tempo sacro della creazione. Ci sono allora delle chiavi culturali che è necessario recuperare: tutto quello che corrisponde al mondo dei maledetti, dei disperati, degli ignorati. Parole di Eduardo Galeano.

La perturbazione delle lingue degli aborigeni fatta dal castigliano e i suoi dialetti finì per deturpare i nomi originari, la parola nativa fu saccheggiata e violentata. Per le etnie malcapitate, il privilegio di godere di qualche somiglianza fisica con il conquistatore non solo fu negato durante molto tempo dalla Corona di Spagna e dalla Roma papale, ma ancora in epoca contemporanea, con un esplicito invito a fare degli indigeni oggetto di caccia “perché non sono persone, sono animali, scimmie”.

Che sarebbe del luogo senza la parola? Dove fissare il luogo senza la memoria? La scrittura e il dire ci fanno ritornare. Noi non andiamo via, noi ritorniamo. Quel muro, quella fronda, quell’essere si sbarazzano del nulla perché qualcuno li nomina, li scrive o li chiama, e dove ci fu rovina di cose e di vita persiste di nuovo l’apparenza. Non basta la Storia grande per riesumare e restaurare, c’è bisogno di altro che dia animo e vita a quello che viene trascurato o cancellato.

Crespo dà voce alle cose che incontra con uno stile personalissimo. Attinge alla ricchezza propria del castigliano fino a fargli assumere forme inusuali per poter esprimere le impressioni attraverso un lavoro appassionato di immaginazione. Quelle voci che le cose, i luoghi e le anime reclamano dalla loro invisibilità, quei suoni nuovi prendono per la prima volta forma di parole. La lettura del libro chiede ulteriore attenzione, perché sono tanti i riferimenti a chi già ha intessuto la propria vita con quegli spazi riscoperti. Viene allora alla luce un vasto patrimonio culturale, sopraffatto dalla negligenza o dalla elementare ignoranza.

Siamo per così dire avvisati: in ogni territorio o regione c’è una voce in attesa di poter essere ascoltata e portata alla luce. Leggere il libro costituisce una esperienza commovente, quel Paese esiste e palpita nel cuore di chi legge come di chi scrive.

 

LUIS ALBERTO CRESPO E’ ATTUALMENTE AMBASCIATORE DEL VENEZUELA ALLA UNESCO

*EL PAIS AUSENTE, Fondo Editorial del Caribe, Anzoategui, 2004 prima edizione.

FILOTEO NICOLINI

 

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