di Alfredo Morganti – 19 novembre 2018
Quando la politica è in crisi arriva sempre a giochi fatti. Non imprime direzione, come dovrebbe, ma segue a ruota, ricalca, fa da ventriloquo. Visiona le mosse altrui e cerca di imitarle. In assenza di un ‘popolo’, prova a conquistare quelli altrui, oppure il proprio, che nel frattempo è stato conquistato dagli avversari. E magari lo fa suggerendo le cose già dette dagli antagonisti politici. La politica, tanto più a sinistra, è insomma assediata nella propria area e gioca, quando le riesce, solo di rimessa. E in tal modo prova a fare per imitazione quello che la destra fa originalmente. Diventa securitaria, mercatista, tagliatasse; e poi aziendalizza e personalizza i propri partiti, oppure dimentica di rappresentare adeguatamente la propria base sociale per agitarsi vanamente, in surroga, sul piano della comunicazione mediale o social. Questo ‘scimmiottamento’, questo essere più realisti del re, questo travestirsi coi panni dell’avversario ha come esito finale, nemmeno troppo sorprendentemente, una lenta agonia. La fine degli sciocchi.
Tra i tanti scimmiottamenti, c’è quello di voler ridurre la forza della rappresentanza, di disintermediare, di scegliere i maggioritari, di concedere premi elettorali, di voler cancellare le istituzioni (Senato, Province) o picconarle (la scuola) e di semplificare il quadro, nonché di promettere ‘immediatezza’, istantaneità, rapidità, velocità, opportunità di scegliere adesso! Che la destra punti a stringere il cappio della democrazia ci sta, è il suo mestiere. Che la sinistra politica, in crisi, si adegui all’andazzo, è il segno più forte del suo declino. Roberto Esposito, sull’Espresso, spiega come la ricerca di immediatezza sia in totale contrasto con la “democrazia”, perché essa “significa rappresentanza” e dunque mediazione istituzionale tra elettori ed eletti. Il mito dell’immediatezza, manco a dirlo, è alla base della filosofia della Rete, dell’idea che la mediazione sia inutile, ridondante, nociva, visto che la Rete stessa “può mettere ciascuno a diretto contatto con l’altro e tutti possono esprimere la propria approvazione e disapprovazione” (Esposito), senza la necessità che i partiti e le istituzioni facciano da ‘ponte’ tra Stato e società civile.
L’immediatezza, in politica, è dunque una costruzione ideologica, grazie alla quale, ipotizza sempre Esposito, farci “scivolare” lentamente nella società “governata dalla legge del più forte” (altro che ‘uno-vale-uno’!). È un po’ quel che accade con il gerrymandering negli USA, ossia “l’alterazione dei confini elettorali tra i diversi distretti che può avvantaggiare un partito piuttosto che un altro” (Mark Lilla). Anche qui quello che appare un voto ‘diretto’, una libera espressione, cade all’interno di un diabolico (e oscuro a molti) meccanismo di mediazione, che condiziona il risultato elettorale e la ‘produttività’ del voto stesso. Qualcosa del genere è accaduto quando a Roma si sono ridotti i Municipi da 19 a 15. Il loro ridisegno fu utile a ridefinire anche i bacini di voto in termini più vantaggiosi per taluni e meno vantaggiosi per altri. Ma la Rete non è tale a sua volta? Una sua topografia mostrerebbe come anche qui vi siano centri e periferie, come il lavoro dei motori di ricerca non sia neutrale, come le sponsorizzazioni e il mercato esaltino talune cose per ignorarne altre. Come insomma la ricerca sia ‘guidata’, orientata, imprima una direzione alla pallina che scende nella roulette. E dunque sia un fatto politico – se politica, come dicevano, significhi arrivare primi, non secondi, indicare il senso, non subirlo, tracciare un tragitto invece di percorrerlo bendati.
Il paradosso finale è questo: chi dovrebbe esprimere una via e una meta, vivacchia natando da porticciolo a porticciolo, come una destra qualsiasi; mentre chi si presenta come ‘neutrale’ e immediato, in realtà guida, orienta, dirige pesantemente le nostre coscienze, ribaltando il terreno su cui i partiti e le istituzioni democratiche in questi decenni sono germogliati e cresciuti con grande vantaggio per la democrazia.