Il linguaggio della destra, il linguaggio della sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

Il linguaggio della destra, il linguaggio della sinistra

Sono assolutamente contrario alla identità tra politica e comunicazione. Si tratta di un modo per svuotare la politica di “praticità” (governo della polis) e ridurla a competizione elettorale, chiacchiera, marketing o, peggio, a pubblicità commerciale. Trovo utile, invece, aver chiare le differenze sostanziali tra il linguaggio della destra e quello della sinistra, anche per non rischiare di utilizzare il primo credendo che si tratti del secondo.

Faccio tre esempi. Il primo riguarda la sanità pubblica. Per la destra bisogna contenere la spesa e tagliare gli sprechi. Per la sinistra essa invece è cura, assistenza, solidarietà verso chi è più sfortunato, fragile o sofferente. Il secondo esempio riguarda le tasse. Per la destra vanno tagliate, perché lo Stato mette indebitamente le mani nelle tasche dei cittadini. Per la sinistra esse sono, invece, valore pubblico e condizione per lo sviluppo della comunità, e poi producono ricchezza sociale a disposizione di tutti in ragione del bisogno di ognuno. Il terzo riguarda invece il termine “burocrazia”: usiamo alternativamente le locuzioni “uffici pubblici”, “regole democratiche”, “garanzia dei controlli”, “amministrazione”: cambia molto in effetti, se ci fate caso.

Come vedete si tratta di due scenari opposti, di due sensibilità culturali che si fronteggiano, di due visioni del mondo alternative. Se, quindi, utilizziamo il lessico altrui, confondiamo le acque e il carattere alternativo, che pure c’è, si perde. E ci perdiamo anche noi. In questi anni troppe volte la sinistra ha parlato come la destra, utilizzando i suoi vocaboli e le sue locuzioni. Prendiamo lo “spending review”, ossia l’analisi della spesa pubblica al fine di tagliarla caso per caso. Perché anche noi utilizziamo quel termine e diamo per scontato che non vi sia un modo alternativo per spiegare ciò che si intende fare? Anche perché detto in un altro modo, implicherebbe una diversa modalità operativa.

Forse avremmo dovuto dire così: facciamo un esame del bilancio pubblico, e spostiamo alcune risorse da un capitolo ad altri dove ce n’è più necessità, risparmiando qualcosa magari laddove sia possibile. In questo modo, l’azione di governo diventa un reperimento di risorse, un potenziamento della ricchezza sociale a discapito di talune spese al momento non necessarie. Un po’ come si fa in famiglia quando si dirottano i soldi sulle necessità familiari più impellenti (lo studio dei figli, per dire, la scuola pubblica più in generale). Allora sì che sarebbe stato evidente che non si tagliava, che non stavamo “affamando lo Stato”, ma si spostavano risorse verso i beni e gli investimenti pubblici e di maggiore necessità, risparmiando se possibile anche qualcosa (che non fa mai male in tempi di crisi).

Ce l’ha ancora la sinistra questa capacità di spiegare le cose a suo modo, possiede ancora un pensiero proprio e un linguaggio corrispondente, oppure mutuiamo tutto, prendiamo prestiti, accresciamo il nostro debito linguistico (e dunque politico) verso gli avversari? La locuzione “meno tasse per tutti” è ormai roba nostra? La locuzione “Stato leggero” ci appartiene? Oppure riusciamo ancora a esprimere il nostro pensiero con nostre parole? Fateci caso: la parola “cura” la usiamo noi, non la destra; la parola “solidarietà” ci appartiene. Sono soltanto due termini, ma che lasciano intuire la presenza di un lessico concettuale alternativo a quello dei nostri avversari. Ce la facciamo quindi a ritirarlo fuori dalla soffitta, oppure il nostro destino politico-linguistico è segnato?

Un ultimo esempio: invece di ripetere sempre “autorità dello Stato”, “comando politico”, “burocrazia”, diciamo “istituzioni democratiche”, “rappresentanza politica”, “uffici pubblici”. Non dà affatto l’idea che nell’esecutivo e nei vertici si esaurisca il potere pubblico, ma che esso risieda principalmente tra chi ci rappresenta, nel Parlamento in primis e nelle istituzioni, che sono anche qui, tra noi, a livello locale e persino di quartiere. In questo modo sarebbe anche più facile capire il senso del quesito referendario, e votare più convintamente “No”. Non vi pare?

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