di Alfredo Morganti – 12 marzo 2017
L’aveva detto Luca Lotti che bisognava dare un ‘profilo’ di sinistra al PD. E quale migliore occasione del Lingotto? Anzi del Lingotto ’17, con subliminale richiamo alla mal citata rivoluzione bolscevica di cui corre il centenario? E quale migliore afflato simbolico se non quello di incitare all’uso della parola ‘compagno’, come ha fatto Renzi a Torino? E quale segnale politico se non quello di fare il ticket con Martina, notoriamente uomo di sinistra radicale, quasi estrema, praticamente un guevariano? È tutto qui il Lingotto renziano, credetemi. Ah, dimenticavo i selfie di gruppo, ma quelli ormai li fa pure Salvini. Non cercate significati ulteriori in quella che è stata, al più, la costosissima presentazione di una candidatura alle primarie per la segreteria del PD. Ho letto i resoconti dei giornali e ho letto poca politica, davvero poca. Se non ancora quella legata ai riposizionamenti interni di tale e tal altro. Pare che i ‘tavoli’ siano stati la sede concreta delle discussioni tematiche. Ma se ne sa poco, la discussione era chiusa ai partecipanti, se escludiamo gli spifferi filtrati ad arte da quello sulla giustizia, reso scottante dall’indagine Consip e non solo. Grande (?) operazione di riposizionamento dunque, e nulla più. E, come in tutte le manovre di marketing che si rispettino, si è messo alla gogna il nemico, il cattivo di turno (che è poi sempre lo stesso): quello interno ben più di quello esterno, i ‘reduci’, i soliti gufi, i rancorosi che non vogliono dare spazio ai gggiovani come Renzi, che, a dire il vero, ha una carriera politica talmente lunga da essersi seduto a fianco di Andreotti e Forlani in qualche dibattito del tempo che fu, e in ultimo di aver guidato per tre anni un governo flop. Ci tornerò sul Lingotto, su queste primarie, sulle manovre pubblicitarie che surrogano la politica. Ma una cosa qui vorrei già dirla: dal palco di Torino ha parlato un uomo logoro, svuotato, ripetitivo come un disco rotto. Il simulacro di se stesso. Un vero perdente di successo. E la cosa brutta è che c’è chi ancora gli dà ascolto: “sono più renziani di me”, ha detto il Giovane Leader. Io preferisco Bersani che disse, riferendosi a se stesso: “moderatamente bersaniano”, dando per implicito che non sarà un uomo solo a tirar fuori la sinistra dalla melma in cui è finita. Tanto meno lo saranno le kermesse all’americana, false come lo spot di una saponetta.