di Alfredo Morganti
Sono molti quelli che ritengono l’urna elettorale come l’unico concreto rimedio alla crisi della democrazia. E considerano le elezioni (la competizione, la retorica, i ‘faccioni’ che bucano il video, le parole che inondano i social, la chiacchiera mediatica) come la vera, fattiva alternativa al compromesso incarnato, in Italia, in questa fattispecie dal governo Conte 2. Anzi, aumenta la schiera di quelli che, con un malinteso senno di poi, invocano tanto più le elezioni adesso, visto che questo stesso governo avrebbe già fallito su tutto il fronte. Così che, aggiungono, sarebbe stato meglio affrontare da subito la destra vis a vis, “metterci la faccia” come insegna Renzi, e perdere sul campo da veri uomini, piuttosto che ‘piegare’ la testa agli eventi come mammole. Con quale esercito combattere? Non si sa, ma qual è il problema? C’è chi dice persino armando una coalizione sociale capace di attingere alla politica diffusa. Una specie di minimo sindacale, un atto dovuto, mi pare, e un esito necessario dopo aver ritenuto il governo Conte 2 il male del secolo.
Ma cos’è la politica? È semplicemente una vittoria elettorale? Anzi, più realisticamente, una cocente sconfitta a opera della peggiore destra? Oppure è un’intenzione al bene comune, oppure è dibattito pubblico, concreto sulla polis? Oggi, adesso? La riduzione della stessa politica a mera competizione elettorale, con l’appendice necessaria che poi si fanno i ‘patti’ segreti, è l’orizzonte minimo di chi non vede più altri orizzonti e annaspa nel poco che c’è. L’elettoralismo è il vero ground zero, quello da cui ogni ‘visione’ è cancellata. È l’idea ormai diffusa ed egemone che si fa politica a colpi di competizione, comunicazione, celodurismo, fronti avversi, faccioni, personalismi. Magari usando le mani nude, ma sante!, contro i bazooka. Tale sarebbe sfidare oggi Salvini, tale sarebbe cimentarsi in uno sciocco confronto (quello che lui vorrebbe, peraltro), invece che puntare il bene comune e indicare una strada a un Paese che sta male. La sinistra? Il problema della sinistra non si affronta di petto, come se fossimo da un analista, ma lateralmente, prendendo la strada dell’interesse del Paese e anteponendolo a tutto il resto. Perché solo la sinistra è capace di trasformare l’interesse del Paese e pensarlo nell’interesse dei lavoratori e dei cittadini.
Diverso è il caso di Renzi, che non vuole le elezioni solo perché confliggono, adesso, con la sua ambizione personale, con le sue mire, con il suo personalismo. Per chi invece ha davanti a sé l’esigenza di affrontare ora le questioni, nei limiti delle risorse a disposizione, dei rapporti di forza e dell’entità dei problemi, il primo comandamento è provare a stringere le briglia di un Paese provato. E pazienza che in molti, anche a sinistra, vorrebbero un governo di destra, ritenendo che una renovatio profetica passi solo attraverso una sorta di lavacro salvifico. Siamo vittime dei nostri carnefici, ben più di quanto si ritenga.
La Spagna è la prova vivente che non si governa a colpi di elezioni straordinarie e ravvicinate, ma impegnando sagacemente le forze in campo, in un tentativo di compromesso il più alto possibile. Sanchez, festeggiando la ‘vittoria’ (sic!) ha detto che è la terza volta che quest’anno il PSOE vince le elezioni. La domanda sorge spontanea: ma se vince perché non governa? Per colpa del sistema elettorale? Per l’assenza di un premio maggioritario che, come nel calcio, faccia vincere anche per un solo gol di scarto (magari un autogol)? Oppure per l’assenza di capacità politica, per l’incapacità di PRODURRE UNITA’ tra forze che anche solo si lambiscono appena?
È l’unità che fa la politica, è quello il motore, non la divisione astratta dettata dai tempi elettorali e dall’agonismo spicciolo. La crisi della sinistra italiana è soprattutto (e sempre) crisi di unità, di capacità unificante, come non è stato invece, a cavallo degli anni settanta, grazie in primo luogo all’opera magistrale di Enrico Berlinguer. Un impegno lucido che ci faceva governare anche dall’opposizione, ma che poi, per effetto dell’egemonia avversa, è defluito in frontismo, bipolarismo, governismo, personalismo, faccionismo: patologie che oggi colpiscono la maggior parte della popolazione politica ed elettorale della sinistra, o sembianza di essa che scorgiamo in giro spaesata, persino a sua insaputa.