Il Governo Meloni mette le mani in tasca su casa e sanità

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Chiara Saraceno
Fonte: La stampa

Il Governo Meloni mette le mani in tasca su casa e sanità

Fanno bene i partiti dell’opposizione a denunciare le contraddizioni e bugie sulle tasse del governo e in particolare della presidente del Consiglio. E fanno bene a segnalare che anche l’inefficienza del sistema sanitario nazionale costituisce una forma di tassazione indiretta, perché riduce la disponibilità di un bene pubblico, costringendo chi può permetterselo a pagare di tasca propria e chi non può permetterselo a non curarsi, o non tempestivamente. O che la decontribuzione per le mamme di più figli è mangiata, non solo dall’aumento dell’imponibile, ma anche dall’aumento dell’IVA sul latte in polvere, i pannolini e altri beni di prima necessità per l’infanzia. Ma se si fermano qui, senza contestualmente cambiare il discorso sulle tasse, avvallano implicitamente quello della destra sulle tasse come male assoluto, come un furto da parte dello stato che, secondo l’ahimè fortunata espressione di Berlusconi, «mette le mani nelle tasche degli italiani».

Un’immagine, per altro, speculare a quella di una spesa pubblica estendibile all’infinito, senza alcun rapporto con le entrate effettive, cioè in primis le tasse. Occorre fare un’operazione di verità, non solo per quanto riguarda l’insostenibilità del debito pubblico e dell’ombra che esso getta sulle nuove e future generazioni, come ricordava ieri Elsa Fornero su questo giornale, ma anche su ciò cui servono, o dovrebbero servire le tasse: finanziare l’offerta di beni pubblici, dall’istruzione alla sanità, dalle infrastrutture ferroviarie e stradali alle politiche di protezione ambientale, dai servizi di sicurezza (polizia, carabinieri, esercito) a quelli per la non autosufficienza. Occorre spostare il discorso da come evitare di «mettere le mani nelle tasche degli italiani» a quello di come attuare una effettiva proporzionalità e progressività del prelievo, così come richiesto dalla nostra Costituzione, allo stesso tempo riequilibrando, nel suo utilizzo, il peso degli interessi sul debito (che nel migliore dei casi ha finanziato spesa ormai passata) a favore della spesa necessaria oggi per la fornitura di beni pubblici essenziali.

Altrimenti, come sta già succedendo per la sanità e si prospetta anche per l’istruzione e la ricerca, la tassazione indiretta continuerà ad aumentare e così anche le diseguaglianze. È quindi auspicabile che i partiti dell’opposizione, per il gusto di cogliere in castagna il governo e approfittare delle sue contraddizioni interne, e nel timore di toccar un tema apparentemente sacro agli italiani che ne possiedono una, ovvero l’intangibilità fiscale della casa, non cadano nella trappola di criticare l’aumento del valore catastale, quindi delle imposte relative, delle abitazioni che hanno fruito del bonus del 110 per cento. In attesa della sempre rimandata revisione del catasto, che dovrebbe allineare il valore di tutte le abitazioni, non solo di quelle nuove o di quelle che nei passaggi di proprietà sono state ri-accatastate, è il minimo sindacale che coloro che hanno aumentato il valore delle proprie abitazioni a carico dei contribuenti attuali e futuri lo facciano risultare al catasto e paghino le imposte corrispondenti.

L’impatto sarà principalmente sulle seconde case, stante che le prime sono esentate dall’IMU e ai fini IRPEF hanno una detrazione equivalente al valore dell’imposta dovuta. Per le prime case la rivalutazione peserà solo sull’ISEE, facendolo aumentare, toccando quindi tutte le prestazioni che vi sono collegate. Ma la funzione dell’ISEE è appunto di tener conto sia del reddito che della ricchezza quando si tratta di accedere a benefici sulla base di una prova dei mezzi. Non sarebbe equo trattare nello stesso modo individui e famiglie che avevano una abitazione di valore simile prima dell’intervento di ristrutturazione finanziato dal bonus, ma che ora lo hanno di valore differenziato perché alcune hanno tratto beneficio dal bonus ed altre no. La casa è senza dubbio un bene primario e dovrebbe essere accessibile a tutti.

Ma fa una grande differenza non solo se la si possiede o invece si è in affitto (situazione che generalmente riguarda le famiglie più povere), ma anche, per chi la possiede, il valore di mercato. Io appartengo alla piccola minoranza che a suo tempo criticò l’abolizione dell’IMU sulla prima casa, un regalo ai proprietari (me inclusa) che non ha nulla di equivalente per chi è in affitto. Che almeno ci sia un po’ di equità nell’assegnare il valore monetario a fini fiscali e di valutazione della ricchezza. E chi, legittimamente, si trova oggi a possedere un bene rivalutato a spese della collettività, paghi quanto deve. Non è un sacrificio, è un atto dovuto.

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