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di Luca Billi 17 luglio 2019
Sono passati già vent’anni da quel fatale lunedì 13 settembre 1999, quando la luna è uscita dall’orbita terrestre, a causa della violentissima esplosione del deposito di scorie nucleari che i governi del pianeta, per una volta tutti d’accordo, avevano deciso di ammassare sul satellite, illudendosi così di risolvere il problema, allontanandolo per sempre dalla terra.
La nostra vita è cambiata molto da allora. Me li ricordo bene quei giorni, era il primo anno in cui facevo il responsabile della Festa provinciale dell’Unità. A giugno avevamo perso il Comune di Bologna: era la prima volta che la città era amministrata da un sindaco non di sinistra. Tutte queste cose che allora mi sembravano così importanti svanirono di fronte a quello che successe quel giorno. Naturalmente la Festa fu chiusa. Ma già dopo poche settimane tutto sembrò ricominciare come prima, tornammo alla vita di tutti i giorni e io cominciai a lavorare alla campagna di tesseramento, in vista del congresso della Federazione che ci sarebbe stato in inverno per eleggere il nuovo segretario, per sostituire Mauro Zani che da Roma avevano nominato commissario: il nostro obiettivo era quello di riprenderci il Comune, dopo la parentesi di Guazzaloca.
Però non c’era più la luna. Le nostre notti diventarono completamente buie, ma pensavamo che in fondo non cambiava poi molto: bastava accendere un interruttore per avere la luce, anche di notte. Non ci furono più le maree; e sinceramente anche di questo non ci preoccupammo molto. E non ci diede pensiero neppure l’estinzione improvvisa di alcune specie animali che avevano bisogno della luce della luna per riprodursi. Certo la sparizione della grande barriera corallina fu oggetto di una qualche discussione, grazie anche all’impegno di David Attenborough, che però era considerato dai più come una sorta di Cassandra e quindi le sue continue denunce erano accolte al massimo con un’alzata di spalle. Io nel frattempo ho cambiato lavoro e città; e mi sono sposato con Zaira. La vita continuava, senza la luna.
In quei giorni in cui noi ci occupavamo delle nostre piccole beghe quotidiane, gli scienziati si impegnarono – ovviamente inascoltati – per spiegarci che era proprio perché c’era la luna che l’asse di rotazione della terra non era perpendicolare al suo piano orbitale, ma inclinato di circa 23 gradi e che proprio quell’inclinazione permetteva l’alternarsi delle stagioni. Ma a noi cosa importava? Avevamo gli impianti di riscaldamento e quelli per l’aria condizionata, trasformavamo già l’inverno in estate e l’estate in inverno. Sentivamo che qualcosa succedeva, che i cambi di temperatura erano più repentini, che passavamo da giorni di freddo intenso a giorni di caldo soffocante, ma non ci facevamo troppo caso. Anche i giorni sembravano accorciarsi, ma allora erano cambiamenti minimi.
Poi cominciarono le grandi carestie del 2007 e finalmente capimmo che stava succedendo qualcosa di grave. Noi apparentemente riuscivamo a vivere senza la luna, ma gli animali e soprattutto le piante non riuscirono ad adattarsi a quella circostanza straordinaria. In un primo momento pensammo che avremmo potuto intervenire, ma questo richiese un consumo di energia così elevato da ridurre al minimo le materie prime: il petrolio, come sapete, è finito nel ’14 e il carbone finirà tra alcuni mesi. Abbiamo perfino ricominciato a usare in maniera massiccia l’energia nucleare e naturalmente adesso non sappiamo più come stoccare le scorie. A pensarci è un ironico paradosso: se adesso voi state leggendo queste mie riflessioni è grazie all’energia che ci ucciderà.
Alcuni scienziati hanno calcolato che se ci fosse ancora la luna oggi sulla terra saremmo più di sette miliardi e mezzo di persone, mentre oggi, senza la luna, siamo già meno di cinque miliardi.
Noi – io e voi che leggete questo blog – siamo nati dalla parte “giusta” del mondo, resisteremo qualche decennio in più, qualcuno di noi morirà perfino di vecchiaia o per una malattia “normale”, ma il nostro destino è segnato.
Mi capita spesso di uscire di notte – anche se ormai non ha più senso parlare di giorno e di notte – e guardo il cielo. Provo e pensare dove sarebbe la luna.
Ieri, mentre me ne stavo lì, solo nel buio, mi sono chiesto cosa sarà successo alle donne e agli uomini che vivevano nella base lunare Alpha.
Ammetto che il mio ricordo da vecchio possa essere condizionato dal fatto che noi adolescenti degli anni Ottanta ci eravamo invaghiti di Maya, rapiti dai suoi occhi e dalla sua capacità di trasformarsi in qualunque essere vivente. Spazio 1999 era una bella serie realizzata a metà degli anni Settanta nel Regno Unito, che non ha avuto una grande fortuna, certamente non paragonabile a quella di Star Trek.
I protagonisti erano Martin Landau e Barbara Bain, allora marito e moglie, che avevano lavorato insieme qualche anno prima in un’altra fortunata serie, Missione impossibile. Nonostante l’impegno produttivo notevole per una serie televisiva – gli autori degli effetti speciali erano gli stessi di 2001: Odissea nello spazio e che poi avrebbero lavorato in Alien e in Guerre stellari – Spazio 1999 fu interrotta dopo solo due stagioni. Barbara Bain non ebbe il successo che avrebbe meritato, mentre Landau conoscerà un’inaspettata carriera solo diversi anni più tardi, diventando uno dei “grandi vecchi” del cinema americano. Anche Catherine Schell – Maya – ha lavorato poco dopo questo film, avendo più successo come proprietaria di un piccolo albergo nella campagna della Loira.
La serie, nonostante la Rai avesse partecipato alla produzione – e infatti alcuni attori italiani furono coinvolti in ruoli minori – non ebbe una programmazione felice in Italia. Prima alcuni episodi furono montati insieme per fare un film, con la musiche di Ennio Morricone. La prima serie fu trasmessa nel ’76, divisa in tre diversi periodi e tre diverse fasce orarie. Mentre la seconda – quella con Maya – fu trasmessa nel ’79 e ogni episodio era diviso in due puntate, con la sigla finale degli Oliver Onions. E così noi vedemmo la prima stagione dopo la seconda, non capendo bene chi fosse il geniale professor Bergman.
Su Spazio 1999 ho scoperto questa curiosità che voglio condividere con voi e che mi sembra che da sola racconti un’epoca. L’episodio della prima serie L’ultimo tramonto è stato trasmesso dalla Rai nell’estate del ’76, poi quella copia, l’unica disponibile, è andata perduta. Per l’edizione in dvd è stata utilizzata una registrazione su audiocassetta fornita da un telespettatore, che – nell’epoca non c’erano ancora i videoregistratori – aveva messo il microfono del registratore a nastro accanto al televisore. Mi rendo conto che per alcuni dei miei più giovani lettori sto usando termini incomprensibili, ma i più vecchi sanno di cosa sta parlando. Quella registrazione non copre i primi minuti dell’episodio, perché, a causa di uno sciopero dei giornalisti Rai, l’edizione del telegiornale che precedeva il telefilm fu più breve e quindi il telespettatore si sintonizzò a trasmissione iniziata. Erano i tempi in cui riuscivamo ad andare sulla luna, ma non a registrare un telefilm.