Nella mia infanzia triestina in casa entrava un quotidiano diverso dal Piccolo, organo ufficiale della città. Mio padre preferiva Il Giorno, all’epoca nella sua stagione “progressista”.
Il quotidiano era nato nel ’56 (anno chiave per parecchi motivi) su impulso di Enrico Mattei. In corso d’opera la partecipazione diretta dello Stato aumentò di peso. La testata rinnovava in parte la tradizione con la scomparsa della terza pagina e un ampio spazio dedicato alla cultura.
Le firme che comparivano hanno lasciato tracce nel modo stesso di intendere il giornalismo. Giorgio Bocca, Gianni Brera, Gian Maria Gazzaniga, Enzo Forcella, Gianni Clerici, Natalia Aspesi, Morando Morandini, Mario Pirani, Bernardo Valli…parecchi transitarono a Repubblica nel 1976 quando il nuovo progetto di Scalfari prese vita.
Naturalmente, non essendo per altro particolarmente precoce, quel genere di notizie le ho ricostruite molto dopo. Ricordo però la testata, i caratteri grafici, perché lo sfogliavo regolarmente sino alle pagine sportive (da quotidiano milanese dedicava parecchio spazio alla squadra di Rocco) e mi ritrovavo a leggere con una qualche cura la rubrica dei cinema e teatri.
All’epoca le sale si dividevano tra prime, seconde e terze visioni (solo le prime avevano le poltroncine imbottite, da lì la lotta di classe a 35 mm!) e sui quotidiani si usava promuovere le pellicole in uscita con locandine costruite spesso da un’immagine disegnata, titolo, protagonisti, regista e, in alto o in basso, i nomi dei cinema dove il film veniva proiettato.
Insomma, per farla breve, io che a Milano mai avevo messo piede in vita col passare dei mesi e degli anni ero divenuto un esperto conoscitore, se non della toponomastica, almeno del numero e nome di buona parte dei cinematografici di quella città. In verità anche dei teatri che occupavano uno spazio a sé di taglio più basso.
Bon, fate pure tutte le ironie e spiritosaggini sul fatto, resta che scorrere i titoli e vedere le locandine mi era divenuto di tale familiarità che era un po’ come se in quei posti, a modo mio, fossi di casa. E tutto sommato scorrere immagini, orari e nomi desse un che di rassicurante circa il fatto che il mondo funzionava, io crescevo, e parecchie cose prima o poi sarebbero accadute.
Ora, per ovvie ragioni, da mesi la pagina dei cinema e dei teatri non si stampa e non si legge. La sale sono chiuse e i palcoscenici spenti. Sarà così ancora per un po’, speriamo solo un po’. Però, assieme alle scuole senza presenza, questa rimane tra le cose più dolorose e negative di una stagione da archiviare il prima possibile. Anche in questo caso, si capisce, per i posti di lavoro persi come in tanti, troppi, altri comparti. Ma pure per il vuoto di senso e coscienza che ne deriva, per l’impoverimento di quella trama che la cultura (cinema, conferenze, teatri, musei, lezioni…) sola sa coltivare come orchidee preziose dentro una serra.
Anche per questo, oltre che per l’amicizia con lui, a inizio gennaio ho acquistato il biglietto per assistere, da casa naturalmente, al bellissimo concerto di Enrico Capuano per i 40 anni di carriera. Tutto ha funzionato a meraviglia. Il link per “entrare” in sala, e poi la musica e le parole. Non è stato come starci di persona, questo no. Però somigliava al rito dell’attesa. Sapere che avevi fatto una scelta, che quella sera avevi un impegno e che sarebbe stato un pezzetto di cultura restituita, sì insomma, a modo suo risarcita.
E allora se ancora per qualche tempo l’uscire sarà precluso e le sale non riapriranno (da oggi noi siamo arancioni, altri di nuovo rossi), penso sarebbe giusto e bello se, chi può, trovasse il modo anche senza uscire di casa di pagare il biglietto per fare come se.
Come se la sera o la domenica pomeriggio a un teatro o un cinema ci si potesse andare per sentirsi parte di quella magia. Quella che abbassa le luci, alza un sipario o illumina uno schermo, e col telefonino silenziato ti porta altrove. Per un paio d’ore in tutto, ma forse le migliori che potevi trascorrere.
Tutto qui.
Buona domenica e un abbraccio
PS. Sulla crisi o quel che è vale il decalogo di ieri. E comunque per tutto il giorno sarà la tivù a farvi un mare di compagnia spiegando finanche l’inspiegabile.