IL FLUIDO DI AMADEUS

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Marco Molendini
IL FLUIDO DI AMADEUS
Non potevano che vincerlo loro il Sanremo più fluido della storia, il Festival dove il genere maschile si è preso la rivincita sulla parità di genere sparigliando le carte. Certo, Mahmood e Blanco avevano il pezzo migliore e meglio costruito in mezzo a tanta mediocrità. Ma, soprattutto, sono stati gli interpreti simbolo di un fronte corposo che ha occupato il palco dell’Ariston: il maschio fieramente e talmente convinto della propria identità sessuale autosufficiente che canta il suo amore sofferto per un altro lui («Tu che mi mordi la pelle/Con i tuoi occhi da vipera») è il maschio che rivendica la propria superiorità facendo a meno della donna. Che riesce addirittura a sostituirla travestendosi (Drusilla) e ad avere successo più delle signore chiamate ad adornare il palco agitando lo slogan “spazio alle donne” (purchessia), anche queste scelte con il bilancino, relegate a un ruolo tutto di contorno dell’onnipresente conduttore. Luogo paradossale Sanremo, nella sua storia è stato il depositario delle convenzioni, teatro del conformismo pronto a scandalizzarsi per una spallina caduta o una pancia finta, adesso vira in modo massiccio, con il suo tatto elefantiaco, nella zona protetta dei diritti e delle uguaglianze di ogni tipo. Sanremo che finalmente ha capito che il mondo sta cambiando, ma lo fa senza temere di svelare l’uso strumentale, consapevole che spostandosi su quel territorio si entra in zona protetta, dove è spericolato lanciarsi in critiche, pena essere bollati come intolleranti, razzisti, omofobi e via dicendo (basta osservare con quale cautela è stata trattata la presenza di Lorena Cesarini).
Stavolta, comunque, ad incassare è soprattutto Amadeus, il conduttore ha fatto un capolavoro, un Festival della canzone che trionfa senza le canzoni, in gran parte collage rabberciati messi assieme da pletore di autori (a volte cinque, sei) a cui ognuno contribuisce con un pezzetto e l’ultimo con la colla. Amadeus piace perchè è uno che sgobba, che sorride a tutti, che dice grazie e abbraccia come nessun altro, che è pieno di amici. E piace perchè è gia stato visto al lavoro. L’Italia è un paese che ama le conferme. Mattarella e Draghi sono rimasti: meno male, che sospiro di sollievo. Ora, alla lista dei confermati, si aggiunge Amadeus, neopatriarca della tv all’antica, rassicurante cerimoniere a cui tutti vogliono bene. Amadeus ha vinto, ha stravinto, per di più si è svincolato dal vassallaggio rispetto a Fiorello, dimostrando che può fare il Festival anche senza il tutor, anzi che il tutor non porta nulla e senza di lui può fare addirittura ascolti migliori (e ne farà: già si parla del quarto, poi arriverà il quinto, il sesto Sanremo, fino ad esaurimento, o suo o del pubblico). E ha vinto, Amadeus, perchè ha raggiunto la pace dei consensi: ormai nessuno più critica il Festival, basta vedere il coro dei giornali, inginocchiati ai numeri dell’Auditel, un termometro antico chiamato a misurare le modalità fluide della fruizione dello spettacolo casalingo, fra il vecchio televisore, le piattaforme, i vari device, gli smartphone, gli ascolti differenziati.
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