Il diverso sovranismo della Meloni e di Salvini (… e la tenacia di Ciampi)

per mafalda conti
Autore originale del testo: Giovanni La Torre
Fonte: i gessetti di Sylos
Il diverso sovranismo della Meloni e di Salvini (… e la tenacia di Ciampi)
Gli italiani Meloni e Salvini hanno firmato il manifesto sovranista della destra europea che ha come programma quello di impedire che il processo di Unità europea vada avanti. I propositi reconditi dei due soggetti italiani sono, a mio avviso, diversi, anzi opposti. Mentre l’obiettivo di Salvini è solo quello di sfasciare, perché io resto convinto che lui non abbia rinunciato all’ipotesi secessionista, programma originario della Lega, quindi: sfasciare l’Europa per sfasciare l’Italia; quello della Meloni è tornare a un antistorico nazionalismo, al punto da dare al suo partito il nome dell’Inno nazionale.
Mi par di cogliere, però, nella posizione della Meloni un sottile paradosso perché se oggi ella può affermare il suo, sia pure antistorico, nazionalismo lo può fare proprio grazie all’Europa. Mi spiego.
Gli anni ’90 di norma noi li consideriamo come il primo decennio del berlusconismo, dimenticando forse che in realtà quello dovrebbe essere più considerato come il “decennio di Ciampi”. Berlusconi in quegli anni è rimasto al potere solo due anni (94-96) mentre chi vi ha lasciato un’impronta indelebile è stato C. A. Ciampi, per la tenacia a perseguire e realizzare l’ingresso nella moneta unica europea (prima come Presidente del Consiglio e poi come Ministro dell’Economia di Prodi). A suggello di quella impronta vi è stata poi l’elezione a Presidente della Repubblica avvenuta nel 1999, lo stesso anno dell’avvio della moneta unica (sui mercati).
Quell’obiettivo è stato perseguito da Ciampi con una tenacia tale da indurci a pensare che per lui non era solo in gioco la stabilità monetaria e finanziaria dell’Italia, ma qualcosa di più importante. Gli anni ’90, soprattutto nella prima parte, sono stati per il nostro paese degli anni tremendi, provo a indicare gli eventi più rilevanti:
– 1992: tangentopoli, assassinio di Falcone e Borsellino, esercito in Sicilia, crollo della Lira, ascesa della Lega;
– 1993: bombe mafiose a Firenze, Milano e Roma;
– 1994: vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche, e con lui vanno al potere i leghisti e i nipoti di Mussolini.
Vi era insomma una situazione che poteva sfociare in tanti modi, di cui il più probabile forse appariva quello di una dissoluzione dell’Unità nazionale, con una Lega che spingeva verso la secessione, una parte rilevante dell’Italia in mano alla delinquenza organizzata, la cui egemonia andava affermata “costi quel che costi”. Va anche rilevato, che nel ’91 assurge alla carica di Presidente della Conferenza Episcopale Italiana Camillo Ruini, un nostalgico del potere temporale, e viene inaugurata una maggiore ingerenza della Chiesa nella politica italiana, fino a farsi esplicitamente sponsor di Berlusconi.
La possibilità allora di una divisione in tre della nostra Patria non sembri, come lo può sembrare oggi, frutto solo di una ricostruzione fantasiosa: il Nord secessionista si sarebbe legato forse alla Svizzera (vero paese ideale per i leghisti), il Centro condizionato dal “potere temporale”, il Sud in mano alla delinquenza organizzata. Ripeto: oggi tutto questo può apparire fantascienza, ma allora doveva costituire un pericolo concreto, se non proprio in quella forma precisa da me sintetizzata, in qualcosa di simile o anche solo parziale.
Allora sono portato a pensare che l’ossessione di Ciampi per l’entrata dell’Italia sin dall’inizio nell’euro, non aveva solo una valenza finanziaria, già di per sé molto importante, ma rispondeva anche all’esigenza urgente di mettere un “lucchetto” definitivo a quei legami che ci univano all’Europa e che costituivano, nella mente dello stesso Ciampi, il modo più sicuro per impedire la dissoluzione dell’Unità nazionale.
Quindi tornando alla Meloni: se oggi può predicare il suo nazionalismo, lo deve proprio a quel “lucchetto” messo da Ciampi che ci lega all’Europa.
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