Fonte: huffingtonpost
di Cristina Ornano – 28 novembre 2018
Il Decreto Legge Sicurezza, approvato alla Camera, è un tipico provvedimento “manifesto” contro i poveri, gli emarginati e gli immigrati, con cui si offre una risposta propagandistica alla cosiddetta “insicurezza percepita”. Come? Attraverso un lavoro (sub)culturale tutto incentrato sulla diffusione di simboli fortemente evocativi delle paure comuni – lo straniero, il diverso, il deviante, il povero – a cui fanno riscontro risposte in termini di riaffermazione del sovranismo e del “padroni in casa nostra”, della difesa dei confini e delle frontiere. L’hate speech è lo strumento di propagazione di questa operazione (sub)culturale e, al tempo stesso, ne è anche fonte di implementazione.
La legge sicurezza non convince la magistratura progressista perché riduce sensibilmente il sistema dell’accoglienza ai migranti e crea insicurezza. Abrogando la protezione umanitaria (sostituita da un permesso di soggiorno speciale previsto per sei casi normativamente tipizzati) e smantellando il sistema di accoglienza e integrazione diffuse, organizzato dai Comuni (Sprar), si spingono i migranti nell’illegalità e nell’emarginazione.
Lo Sprar, infatti, è riservato ai soli titolari di protezione internazionale, ai titolari dei permessi di soggiorno speciali e ai minori non accompagnati, mentre ai richiedenti asilo è preclusa la partecipazione poiché dovrebbero trovare accoglienza solo nei CAS (Centri di Accoglienza Secondaria) e nei CARA (Centri di Accoglienza per Richiedenti Asilo): strutture non deputate all’integrazione e all’inclusione, ma alla mera permanenza in attesa di ricollocamento o di espulsione. In questo modo si risponde all’insicurezza percepita e si aggrava l’insicurezza reale, cioè quella delle persone migranti vulnerabili prive di protezione e degli stessi cittadini, poiché la marginalità e la clandestinità sono il terreno in cui maturano l’illegalità e la devianza sociale.
Come ha sottolineato anche il Csm, la tassatività delle ipotesi speciali di protezione umanitaria introdotte da questa legge rischia di avere poi pesanti ripercussioni sull’amministrazione della giustizia, aprendo la strada ad una cascata di ricorsi con rito ordinario per il riconoscimento dell’Art. 10 della Costituzione.
Un altro elemento di criticità è rappresentato dalla disposizione con cui si raddoppiano i tempi di permanenza dei migranti nei centri (da 90 a 180 giorni) con lo scopo di facilitare l’espulsione degli stranieri irregolari, ma con il serio rischio di creare delle carceri amministrative al di fuori di ogni controllo giurisdizionale e senza alcuna seria prospettiva di espulsione, presupponendo accordi bilaterali con i paesi di provenienza in molti casi non sussistenti o privi di effettività. Consentire poi la detenzione amministrativa in strutture poste sotto il controllo esclusivo delle autorità di pubblica sicurezza è ancora più allarmante. In questo contesto potrebbe configurarsi la violazione dell’Art.13 della Costituzione, perché in tal modo la libertà personale è limitata in ragione di una condizione personale e non di un fatto commesso: inaccettabile in uno Stato di diritto.
Si tratta dunque di una legge che presenta forti criticità anche rispetto all’osservanza degli obbighi sovranazionali e internazionali. Gli articoli 2, 3 e 13 della Costituzione, nonché l’Art. 10 della Carta e l’Art. 8 CEDU, impongono infatti un’attuazione diretta e non formale degli obblighi costituzionali e sovranazionali in materia di asilo e protezione internazionale e la messa in atto di un sistema che assicuri l’effettività dell’accoglienza e dell’inclusione.
Al fenomeno sistemico e globale delle migrazioni si risponde con misure contrarie al senso di umanità e inefficaci, anziché attraverso leggi e politiche collettive lungimiranti e di ampio respiro, quali dovrebbe dare l’Europa e quali, ad esempio, da ultimo sta tentando di fare l’ONU con il Global Compact. Un accordo da cui, stando a quanto dichiarato dal ministro dell’Interno Salvini, l’Italia potrebbe sfilarsi.
Altri importanti elementi di critica rispetto a questo provvedimento “manifesto”, che non possono essere sottaciuti, sono: la reintroduzione del reato di accattonaggio, nonostante la declaratoria nel 1999 di incostituzionalità dell’analoga norma contenuta nel Codice Rocco; l’indicazione come priorità degli sgomberi degli immobili occupati pur in assenza di una reale urgenza e di piani di collocamento abitativo; e la possibilità della vendita a privati dei beni confiscati, che contravviene al principio di riutilizzo per finalità pubbliche e che apre al concreto rischio che questi beni possano tornare nelle mani criminali, di fatto incenerendo il grande portato della Legge Rognoni-La Torre.