di Thomas Fazi – 29 giugno 2018
Ho copiato dal diario di Thomas Fazi di questi giorni pensieri di Guido Carli e altri, raccolti in una specie di Zibaldone che mette a fuoco nodi cruciali dell’economia e della società italiana da almeno 50 anni.
29 giugno ore 12
«Non riesco ancora oggi a capire come non sia evidente, anche a persone di grande ingegno, il significato sociale e politico del debito pubblico. Nel corso degli anni Ottanta, il debito pubblico è cresciuto, in percentuale al PIL, di oltre quaranta punti. Tuttavia, la sua diffusione capillare nel pubblico ne fa, dopo quella immobiliare, la ricchezza principale delle famiglie italiane, le quali hanno sì rinunciato a detenere azioni quotate in Borsa, ma possiedono tuttavia una ricchezza finanziaria netta superiore al doppio della pur impressionante cifra del debito pubblico. Il titolo di Stato si è diffuso anche negli strati sociali meno abbienti. È divenuto l’investimento tipico del trattamento di fine impiego. Ha rappresentato una fonte di reddito aggiuntivo per milioni di pensionati, impiegati, lavoratori autonomi. … [U]na volta [lo stesso] Davide Ricardo fece notare come i debiti di una nazione siano debiti che la mano destra deve alla mano sinistra, e non indeboliscono il corpo sociale».
[Guido Carli, ministro del Tesoro 1989-1992]
[p.s. Va da sé che quello che dice Carli vale solo nella misura in cui il debito è internalizzato, cioè detenuto prevalentemente da soggetti domestici, e detenuto prevalentemente da famiglie piuttosto che da istituti finanziari]
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22 giugno, 16,31
Difficile esprimere la gioia che si prova nel leggere i passaggi in cui Guido Carli rosicava per l’assetto fortemente statalista dell’economia italiana (qui siamo a metà anni settanta); gioia immediatamente smorzata dal pensiero che poi, di lì a poco, l’avrebbero avuta vinta loro: «Esiste da noi una visione falsamente caritativa dell’ente pubblico. Il principio della carità sottintende che ciascuno dia agli altri del proprio; ma chi, invece di dare del proprio, dà di quello della Banca d’Italia [, N.d.R], ebbene, non fa più carità, commette un furto. L’idea falsamente caritativa che i servizi pubblici si debbano fornire gratis, o quasi, contratta nettamente con il rispetto dell’interesse pubblico».
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25 giugno, ore 16,26
«[L]a volontà … delle popolazioni di vedere aumentare la protezione salariale e le prestazioni sociali che essi ricevono dallo Stato inseriva elementi di rischio che potevano trasformare il meccanismo dei cambi fissi in un vincolo esterno che avrebbe obbligato a un aggiustamento dei conflitti attraverso l’espulsione di forza lavoro. Negli anni Sessanta quest’ultima prospettiva era considerata da tutti come assolutamente inaccettabile, aberrante».
[Guido Carli]
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25 giugno, ore 18,12
Guido Carli: «Ritengo che [nel periodo che va dal 1960 al 1975] la Costituzione materiale della nostra economia si sia progressivamente manifestata in tutte le sue distorsioni profonde. Gli istinti animali della società si scatenarono allora, lottando strenuamente contro l’accettazione dei principi dell’economia di mercato, dei vincoli che l’apertura delle frontiere imponeva ed impone, dell’essere parte di una divisione internazionale del lavoro, di un mercato comune in Europa. Al protezionismo esterno se ne sostituì uno interno, assai più robusto e pervasivo, che poteva contare su un consenso politico vastissimo, “trasversale”, che intersecava maggioranza, opposizione, e che ha impedito di introdurre nel nostro costume e nella nostra legislazione i principi della libera impresa, della concorrenza, dell’economica di mercato».
Ma quel periodo aveva anche dei difetti.
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27 giugno, ore 17,14
«La vastità dell’innovazione giuridica contenuta nel trattato di Maastricht comporta un cambiamento di natura costituzionale. [Il processo di integrazione monetaria rappresenta un’opportunità per] innestare l’economia di mercato nel tessuto vivente, nelle fibre della società, introdurla nella mentalità della classe dirigente, favorire la nascita di una nuova classe dirigente. Tale progetto impone un mutamento profondo nella costituzione “materiale” del Paese, l’abbattimento dell’economia mista, l’alienazione del patrimonio mobiliare pubblico. Ancora una volta, dobbiamo ammettere che un cambiamento strutturale avviene attraverso l’imposizione di un “vincolo esterno”. Ancora una volta, si è dovuto aggirare il Parlamento sovrano della Repubblica, costruendo altrove ciò che non si riusciva a costruire in patria».
[Guido Carli]
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27 giugno, ore 17,23
Il “paradosso del pieno impiego” di Kalecki spiegato nel 1970 da Guido Carli, che in poche righe illustra le ragioni di tutto ciò che è avvenuto in seguito: «Quando la Comunità economica europea ebbe inizio, si riteneva per certo che un aumento del benessere economico avrebbe consentito l’attenuazione delle tensioni sociali. Di fatto, queste si sono acuite, da un lato, perché gli stessi raggiunti livelli di benessere hanno reso coscienti gli individui di poter tendere a obiettivi più avanzati; dall’altro perché sono divenute sempre meno tollerabili situazioni di arretratezza civile che, sia pure per cause diverse, persistono pressoché ovunque».
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28 giugno, ore 9,18
Guido Carli: «La Costituzione repubblicana non menziona né l’imprenditore, né il mercato, né la concorrenza, né il profitto. Ammette la libertà dell’iniziativa economica privata e pubblica ed affida ai programmi e ai controlli, stabiliti per legge, l’indirizzo e il coordinamento dell’attività economica. La Costituzione è il punto di intersezione fra la concezione cattolica e la concezione marxista dei rapporti tra società ed economie, tra società e Stato. Le accomuna il disconoscimento del mercato in quanto istituzione capace di orientare l’attività produttiva verso il conseguimento degli interessi generali e la individuazione nello Stato dello strumento più orientare la produzione nell’interesse generale».
Ma aveva anche dei difetti.
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28 giugno, ore 12,40
«Lo Stato moderno ha una funzione nuova, affiancatrice e integrativa dell’iniziativa privata: deve indirizzarla e coordinarla a fini sociali e deve sostituirla quando l’impotenza dei mezzi richiesti o la lunga dilazione nella realizzazione del reddito lo rendano necessario».
[Domenico Schiavone, senatore della Democrazia Cristiana, discussione parlamentare del disegno di legge sull’istituzione del Ministero delle partecipazioni statali, 1956]
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28 giugno ore 16,33
Nelle sue memorie, Guido Carli ricorda come solo a metà degli anni settanta si fece strada l’idea che il livello del deficit pubblico dovesse essere fissato ex ante, piuttosto che dedotto ex post: «Ricordo che proprio all’ultimo CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) al quale partecipai, poche settimane prima di lasciare la Banca [d’Italia], venne deciso di concepire il disavanzo dello Stato come un “prius”, come un limite esterno. È la logica della legge finanziaria che vuole il saldo netto da finanziare all’articolo 1 e non più dedotto [ex post] per differenza, noto il reddito, noto lo sviluppo, noto il risparmio. Fu Fanfani ad opporsi strenuamente alla nuova concezione, perché la definizione del disavanzo pubblico come un “dato”, come un “tetto” condizionante tutto il resto, avrebbe secondo lui limitato la sovranità del Parlamento». #finanzafunzionale