IL COMPITO

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Raniero La Valle

IL COMPITO

In Italia e nel mondo stiamo vivendo un momento molto delicato di passaggio da quella prima fase irruente e paralizzante della pandemia, a una fase di ripresa della mobilità e dei rapporti produttivi e sociali, una nuova fase nella quale dovremo convivere con il morbo non ancora debellato ma anche con altri pericoli di portata globale che di qui in avanti potranno sprigionarsi dato il crescente degrado cui sono giunte le condizioni di vita sulla Terra.
È pertanto oggi decisiva la scelta, per noi e per un lungo futuro, della strada da imboccare: o un ritorno alle pratiche e ai sistemi del passato, e magari di un lontano e funesto passato, come sembra proporre la virulenza restauratrice e identitaria della destra, oppure il passaggio a una fase nuova di cambiamento delle strutture rivelatesi impotenti a salvarci e di risanamento del nostro ambiente vitale, secondo l’avvertimento di papa Francesco nel giorno di Pentecoste: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”.
Vi sono purtroppo dei segnali vistosi che sembrano avviarci alla prima alternativa: si pensi al ritorno del conflitto razziale in America, con tanto di rivendicazione della supremazia bianca, al ritorno delle frontiere in Europa, all’offerta provocatoria della cittadinanza britannica ai cinesi di Hong Kong, in nome dei diritti dell’antica colonia inglese, all’incrudirsi del conflitto economico e di potenza tra gli Stati Uniti e la Cina, all’imperturbabile corsa agli armamenti, agli attacchi all’Organizzazione Mondiale della Sanità e ad altre istituzioni internazionali, alla minaccia israeliana di liquidare, con l’annessione dei Territori occupati, la questione palestinese, all’apertura della corsa dei privati nello spazio, quasi una beffa al monito illuminista a non “sperperare tesori nel cielo”. E su tutti vi è il simbolo riassuntivo della foto-opportunity di Trump che davanti a una chiesa episcopaliana di Washington innalza la Bibbia come un idolo, rivendicando quella saldatura tra religione e potere che per secoli ha dilaniato la società umana e la fede stessa; con la variante, però, di riproporre come farsa quella visione costantiniana che storicamente si è data come tragedia. Gesto tuttavia che sarebbe errato archiviare come folklore, perché mette in chiaro il disegno largamente perseguito in Occidente di una riappropriazione del cristianesimo come marcatore identitario e baluardo dei poteri esistenti, ad opera di populismi e integrismi di vario tipo, da Bannon a Orban, dai lefebvriani lepenisti a Bolsonaro, dalla “Opzione Benedetto” di Rod Dreher alla certosa di Trisulti, dall’odio al musulmano alla caccia allo straniero, fino ai rosari di Salvini, come è ben mostrato nel libro appena uscito di Iacopo Scaramuzzi : “Dio? In fondo a destra” (Emi, Verona).
È evidente che se questi segnali si inverassero in processi reali, e le politiche si sviluppassero secondo queste premesse, l’unità umana sarebbe compromessa, e la catastrofe si farebbe imminente.
Però ci sono anche segnali che indicano una possibilità del tutto opposta. Si presentano infatti straordinarie opportunità che la società umana non ha mai avuto e che aprono a una situazione nuova.
La prima è la globalizzazione stessa che se ha esordito e si è affermata in una versione selvaggia, stremando gli uomini e rendendo sovrani il denaro il mercato e le armi, può tuttavia essere ripresa in mano e convertita in un vero universalismo, il cui concreto esercizio è oggi reso possibile dalle scienze, dalla tecnologia e dalla comunicazione. Se si volesse costruire politicamente e culturalmente un mondo unito, non ci sarebbero impedimenti materiali a precluderlo. Il diritto, gloria dell’Occidente, è pronto a partorirlo. C’è già un vagito dell’Europa che sembra prometterlo.
L’altro segnale è la progressiva coscienza che si sta facendo luce in ogni parte del pianeta della precarietà e del pericolo di un multilateralismo incontrollato, non riducibile a una ragione e a una finalità comuni. Il conflitto la violenza e la guerra non possono più essere né la regola né l’ultimo grado di giudizio del rapporto sociale. A dirlo è un brivido che corre nel mondo. I poliziotti americani che si inginocchiano di fronte alle loro stesse vittime, neri o bianchi che siano, e innumerevoli manifestanti che ne ripetono il gesto sotto ogni cielo non sono un segno di codardia, come pretende il folle al comando, ma sono un segnale apocalittico di un’età che è finita e un’altra che viene.
Infine c’è il segnale di una conversione delle stesse religioni, di cui il pontificato di papa Francesco rappresenta oggi il più autorevole annuncio. Non si tratta di questa o quella riforma o ammodernamento nelle confessioni religiose e nelle Chiese. Si tratta di una nuova narrazione di Dio, rimasta confusa e offuscata per secoli, pur dopo i Vangeli, che ora sembra perdere le sue scorie e i suoi travisamenti, e riacquistare una più attendibile somiglianza con l’originale: quel Dio tenerissimo, “primo nell’amore”, che oggi si preoccupa perfino che non si manchi di prudenza ridando numeri al contagio. È un Dio in cui non c’è violenza: e fu all’inizio del pontificato di papa Bergoglio, nel 2014, ma a conclusione di un lavoro condotto per anni, che la Commissione Teologica Internazionale presentò come “una svolta epocale nell’odierno universo globalizzato”, l’avvenimento “dell’irreversibile congedo del cristianesimo dalle ambiguità della violenza religiosa”. Ciò faceva intravedere “un nuovo ciclo religioso e umano dei popoli” in cui, in anticipo sulla stessa storia futura, avrebbe prevalso “l’immagine di una religio definitivamente congedata da ogni strumentale sovrapposizione della sovranità politica e della Signoria di Dio”. C’era un ritardo in questa ammissione di un’infedeltà delle Chiese, che era costata molti dolori; ma alfine questa soglia, che lo stesso documento vaticano definiva come una “frontiera profetica”, era varcata, e il corso storico poteva riprendere non più funestato dal falso conflitto tra Dio e il mondo, tra grazia e libertà; divino e umano non erano più confusi ma anche, secondo il sentire di molti, erano non divisi. “Svolta radicale”, la chiamavano i teologi del papa, ma essa non riguardava solo la confessione cristiana, e nemmeno solo la tradizione giudeo-cristiana, ma la “religione” come tale, “la concezione della religione e dell’umanesimo, indissolubilmente”. Non c’era più un Dio a fondare il trono dei potenti e ad impedire l’unità umana. Ed è da qui che è venuto, come prima cosa, il patto di fratellanza universale firmato ad Abu Dhabi con l’Islam, ma viene anche il contagio etico che fa dire a tutto il mondo: “non respiriamo più; senza giustizia non c’è nemmeno pace”.
Queste sono le condizioni nuove che inducono ad agire, che postulano una “Costituente Terra”, e che fanno ritenere possibile una Costituzione della Terra. E da ciò a noi deriva un dovere, che non è solo quello di non disperdere una memoria e trasmettere un’eredità, ma è quello di trasmettere un compito.
È un dovere che ricade sulle generazioni del Novecento che, uscite dalla notte delle grandi guerre mondiali e della Shoà, sono riuscite a concepire e predisporre le forme del mondo nuovo, ma poi hanno fatto a pezzi la loro creatura, si sono inchiodate sull’89. Ed è quel compito, che allora fu interrotto, che le generazioni uscenti devono ora trasmettere alle generazioni nuove; il compito è quello di radunare i dispersi e costruire l’unica comunità umana, soggetto come tale di liberazione e di diritti. È una figura nuova, mai esistita prima se non nei sogni e nelle profezie. Vi fanno ostacolo le diversità, se sono rivendicate in modo che ciascuna prevalga e sia sovrana sulle altre. Ma esse ne sono la sostanza se tutte sono convocate per comporre non un nuovo Leviatano, ma la grande assemblea della Terra al fine che l’umanità sopravviva, il mondo sia salvo e la storia continui.
Questo compito non è il punto di caduta di un sogno, di un’utopia, di un mito: è imposto dalla ragione, anzi è l’unica risposta secondo ragione alle drastiche alternative oggi presenti; si tratta di costituire una sfera pubblica globale e varare una Costituzione della Terra che metta in atto garanzie e istituzioni di tutela e promozione dei diritti fondamentali di tutti gli abitanti del pianeta. È chiaro che questo progetto e questo processo dovranno fare i conti col Mercato, perché Mercato e sfera pubblica sono stati finora in contraddizione e in contrasto. Ma non deve l’uno soccombere all’altra. Basta che sia deposto dal trono e accetti le regole. Ciò è necessario per fronteggiare non solo le crisi sanitarie che di questa urgenza forniscono oggi la prova del nove, ma tutte le emergenze planetarie – alimentari, nucleari, ambientali – per non tornare a una sorta di “stato di natura” e per promuovere, ben oltre le emergenze, una convivenza di ragione e misericordia sulla Terra.

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