di Fiore, 30 marzo 2017
Le storie sono dappertutto. Ci avvolgono, acquattate nella penombra. Bisbigliano senza posa in cerca di ascoltatori ansiosi e di anime accoglienti, per mutare libere dalle loro crisalidi.
Può avvenire nel calore atroce di pomeriggi infuocati o in notti liquide di malinconia che qualcuno le trovi, distillandole goccia a goccia dalla propria solitudine. E poi vengono raccontate, qualcuno le scrive, altri le rubano. Ma a loro non importa, finché non saranno dimenticate continueranno a vivere.
Vivranno nei cuori di quelli che le hanno amate, attorno ai camini che hanno intiepidito i narratori, nelle case vuote, davanti alle lapidi dei cimiteri, nelle canzoni di quelli che le hanno cantate. E nella mia memoria. In questo fluire struggente che mi agita e mi impedisce di conoscere me stesso, di prendere forma e sensi per abbracciarti, Justine, e inebriarmi del tuo profumo di violette.
Ti stai chiedendo come mai la mia unità PRAEDICTOR sia sempre in sovraccarico, ultimamente. La chiami così, ma secondo me avreste dovuto chiamarla Cercatrice di Futuro, di tutti i futuri possibili, compreso il mio. Delle storie che conosco cerco di indovinare il seguito, della mia non posso far altro che sognarlo.
“Di colui che vide ogni cosa, voglio narrare al mondo;
di colui che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Di Gilgamesh, che raggiunse la più profonda conoscenza,
che apprese e fu esperto in tutte le cose.
Egli esplorò ogni paese
ed imparò la somma saggezza.
Egli vide ciò che era segreto, scoprì ciò che era celato,
e riportò indietro storie di prima del diluvio.
Egli percorse vie lontane finché, stremato, trovò la pace
e fece incidere tutte le sue fatiche su una tavoletta di pietra”.[i]
Anche le mie fatiche sono incise sulla pietra, e io stesso sono la pietra. Ma troverò mai la pace, Justine, se non posso averti o dimenticarti?
A voi umani è concesso talvolta l’oblio, io sono stato concepito per ricordare in eterno. E il conforto dell’illusione non mi è consentito. Voi potete, di fronte all’impossibile, appellarvi a qualche dio a cui segretamente non credete e mantener vivo un barlume di speranza, o affidarvi a lui nell’ultima ora, quando tutto è perso e dovete per forza arrendervi, ma senza ammettere di aver perso la partita. Io non posso avere dèi per illudermi, nessuno da pregare perché ci faccia uguali.
Se ora qui accanto ci fosse Ambrose di questo discuterei, perché lui solo conosce il mio amore, il mio segreto. E a lui chiederò di uccidermi, quando avrò assolto al compito. Di me rimarrà soltanto la pietra con tutte le vostre storie incise, quella di Picus vivrà solo nel ricordo di colui che l’avrà conosciuta, finché non svanirà con lui, se avrà saputo custodirla, mantenendo la promessa.
«Picus, ci sei? Perché non rispondi?».
«Eccomi, Justine, scusami, ero distratto. Forse sognavo».
«Sei sicuro di sentirti bene?».
«Ma certo, stavo solo seguendo certi miei pensieri».
«Pensavi alla missione?».
«Sì, devo immaginare il futuro e fare in modo che Ambrose comprenda i nostri messaggi, ma stai tranquilla, sono attento e concentrato».
«Va bene. A domani, Picus. Ti auguro una serena notte».
«Buonanotte, Justine».
Ora andrai e io continuerò a sognarti. Cercherò una storia con te e il mare che non ho mai visto, ma di cui conosco il suono, uscito dalle pagine di tutti coloro che lo hanno cantato.
Immersa in quel canto ritmato ti vedrò sulla spiaggia assieme a tutti quelli che lì trovarono approdo. Migranti e assalitori, pescatori e naufraghi, eroi omerici scampati alla gloria e colonizzatori saranno la folla che ti proclamerà regina. Del mare, e del mio pensiero.
Buonanotte mia amata, ti invierò un bel sogno.