Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Il centrosinistra “largo” di Letta
di Alfredo Morganti
A me il centrosinistra “largo” di Letta dà l’idea di un contenitore, l’ennesimo della politica, quella sorta di scatolone dove si cerca di ammonticchiare ogni residua energia, sperando che la somma non si presenti, alla fine, come una vuota sommatoria. Capisco che Letta è più scaltro di quanto non possa apparire, e sappia molto meglio di me che le alleanze politiche non sono la somma di addendi, ma il prodotto di relazioni dinamiche, anche conflittuali, tra le forze in campo. Eppure la sensazione resta. Oso sperare che il suo invito abbia il fine proprio di portare alla luce questi conflitti, affinché si risolvano in un modo o nell’altro, e il centrosinistra alla fin fine possa assumere un volto accettabile ed efficace con un certo anticipo rispetto alla scadenza elettorale.
Ma il rischio c’è: il rischio che si punti a sommare ipotetiche percentuali sondaggistiche in vista di un computo elettorale conclusivo. È proprio questa “larghezza”, più geometrica che politica, a preoccuparmi. Semmai, lo dico per paradosso ma non troppo, si dovrebbe tentare di costruire un centrosinistra “stretto”, dove non si largheggi nel reclutamento ma si stringa coraggiosamente sull’indirizzo politico. Non dico “politico” a caso. L’altro rischio, l’ennesimo, è che si divenga difatti i codisti del draghismo, e che l’indirizzo appunto si riduca a rivendicare l’appartenenza della sinistra (nella sua maggioranza) al governo Draghi, come una sorta di medaglia da appuntare orgogliosi sul petto. Mi rendo conto che ha un valore anche tattico questo stare allineati e coperti in una fase eccezionale come l’attuale, in cui i partiti (o quel che ne resta) perdono autonomia e le istituzioni battono il passo, mentre il Governo di fatto li ignora entrambi (ove non li consideri zavorra). Ma restare nascosti all’ombra dei potentati che Draghi volente o nolente rappresenta, alla lunga potrebbe risultare un mezzo suicidio (se non un suicidio completo).
Un partito, segnatamente il PD, non può certo contentarsi di riflettere la luce di chi dirige il Paese a guisa di commissario dei potenti. È il caso che tenti, invece, di emanare luce propria, anche balbettante, anche intermittente. Di modo che il centrosinistra prossimo venturo non sia una cosa larga, generica, una sorta di assembramento, ma appaia dotato di una identità almeno semi-precisa o giù di lì, nella consapevolezza che non si tratterà solo di sfornare bonus per uscire dalla melma del post Covid, e che nemmeno ci si potrà accodare a chi tira le fila oggi (che non siamo certo noi). Un centrosinistra stretto, che non sia un autobus su cui sale chiunque, e dove vige la promiscuità, e dove si vedono molti nani e ballerine che giocano a fare i leader, pensando che ciò debba avvenire contro i partiti – un centrosinistra “stretto”, appunto, traccia una linea, circoscrive dei limiti, fa delle scelte, e da lì riparte.
Per quanto mi riguarda, lo sapete, preferirei un rapporto serio e franco con Conte e i 5 stelle, piuttosto che un’imbarcata elettorale con centristi tronfi e solipsisti come Calenda e Renzi, i figli più dissennati di questa epoca in cui la politica fatica a stare a galla. Se proprio si vuole “vincere”, se proprio si ritiene che si tratti di prendere anche un solo voto in più degli altri e poi amen, lo si faccia senza pensare che sia solo una questione di numeri e di percentuali elettorali. La politica è quanto di più distante dall’aritmetica, anche se in tempi di crisi come questi si fa di tutto per farcela somigliare. La tecnica questo produce, la fine della discussione politica e una sorta di strada obbligata davanti, dove conta la quantità, non la qualità, e dove tutto si annerisce, e poi scompare, a partire dalla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica (che è poi il sale della democrazia).