di Andrea Colli 16 dicembre 2014
E’ bene ricordare come si svolsero i fatti affinchè si capisca come andò la storia dell’”abbattimento” di Romano Prodi per la carica del Colle. 24 ore prima, alla terza votazione per il capo dello Stato, Franco Marini non ce la fa e si ritira dalla corsa. Al mattino i parlamentari del Pd si riunirono in assemblea al teatro Capranica. E qui il segretario Bersani tirò fuori dal cilindro il nome di Prodi, che i democrats accolsero con un’ovazione. Per il Professore sembrava fatta. E invece, poco dopo, in Parlamento Prodi si fermò a 395 voti sui 504 necessari, con 101 franchi tiratori del Pd. In realtà furono anche di più, tra i 115 e i 120, perché al Prof arrivarono voti anche fuori dal suo schieramento. Una débâcle clamorosa che portò, la sera stessa, Bersani a dimettersi da segretario del partito. Nei mesi successivi tante sono state le ricostruzioni di una vicenda in cui si sovrapposero almeno tre livelli: chi non voleva Prodi (D’Alema), chi voleva affossare Bersani (Renzi ) e chi voleva vendicarsi per la bocciatura di Marini (gli ex Ppi). “Quella mattina stessa (il Prof era a Bamako come inviato dell’Onu, ndr), prima del voto, telefonai a D’Alema e lui mi disse: ‘Benissimo, ma non è così che si arriva a una candidatura condivisa’. In quel momento capii che non sarei mai stato eletto”, ha raccontato poi lo stesso Prodi. Mentre, sul fronte dei 41 renziani, si ricordano le parole su Bersani in una cena da Eataly alla vigilia del voto (“il cavallo ferito va abbattuto”). Siccome due indizi fanno una prova, lo stesso Renzi fu il primo, pochi minuti dopo il voto-killer, a togliere di mezzo il Prof dichiarando alle agenzie: “La sua candidatura non c’è più”. E ora la carta Romano Prodi è lì, sul tavolo di Matteo Renzi, pronta a essere estratta dal mazzo nella corsa al Quirinale. Nel caso si rivelasse vincente, potrebbe aiutare il premier anche a rovesciarlo, il tavolo. Tecnicamente, a far saltare tutto, dal Patto del Nazareno alla legislatura, e arrivare al voto. Ed è questa la minaccia che adesso Renzi mette sul tavolo: un candidato gradito a molti pezzi del Pd, a Sel, e a parte dei Cinque Stelle, da opporre a chi fa ricatti, da Forza Italia, alla minoranza dem e Renzi non ci sta neanche a lasciare a Civati & co. l’eredità dell’Ulivo.