Il caso Bellomo

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Benedetta Piola Caselli
Qualcuno mi ha chiesto del caso Bellomo, ieri assolto a Piacenza.
Io ho frequentato il suo corso, mi pare, nel 2012: ero tornata dal’ Africa mandando grandi fascicoli all’ OLAF (ufficio europeo di lotta alla frode) e pensavo di fare il PM.
Era un errore, e poi vi dirò perché.
Ma prima Bellomo: il corso era interessante, e si spaziava multidisciplinarmente; non abbastanza, comunque, per pensare di rifarlo.
Quanto a lui, mi pareva evidente che fosse in grave disequilibrio e terribilmente solo.
Mi ricordo che, una volta, mandò una mail offrendo una borsa di studio a chi gli avesse consigliato un bravo chirurgo per l’alluce valgo.
Annunciò persino il vincitore.
Ci sarebbe stato da ridere, se questo piccolo fatto non avesse aperto un abisso sulla condizione esistenziale di quest’uomo.
Bellomo esercitava una fascinazione da guru su un gruppetto di fedelissimi, che si consideravano degli eletti e che apparivano a noialtri come dei soggetti fragili.
Le ragazze erano molto belle e avevano, effettivamente, la minigonna e i tacchi; visibilmente, se lo contendevano e non aspettavano che un suo cenno d’approvazione.
Sento dire che la ricompensa di quella fedeltà fosse una borsa di studio. La borsa consisteva in 1.600 euro all’anno.
Non credo che nessuna persona sana di mente possa prostituirsi, fisicamente o psicologicamente, per quella cifra.
Ho paura che la posta in gioco fosse assai diversa: e cioè “le tracce” dei temi al concorso che “un algoritmo” avrebbe diffuso fra questi fedelissimi;
ma non escludo che fossero talmente sciroccati da essere affascinati e basta.
In entrambi i casi, rabbrividisco pensando che alcuni di loro siano diventati magistrati e abbiano in mano la vita della gente.
Ma sulla faccenda in generale, non mi risulta che Bellomo abbia compiuto atti fuori luogo con chi non dava spazio a questi comportamenti.
Con me, di sicuro, non lo ha mai fatto.
Mi sembra un po’ paternalistico voler difendere a tutti i costi delle donne adulte, colte, che volevano fare il magistrato, e che si ritengono vittima di un contratto liberamente sottoscritto e totalmente nullo o – secondo altra visione – che si sono prostituite per 1.600 euro o (peggio) passare il concorso.
Questo non è femminismo.
Qui ci sono tutte le condizioni per chiedere a tutte le parti l’assunzione di responsabilità personale.
Quindi non ho poi molto da raccontare, se non chiudere dicendo: un altro caso mediatico.
Ah, perché fu un errore pensare di fare il PM?
E’ semplice: perché per fare bene un mestiere così delicato, ci vuole molto equilibrio.
lo sono una che si infiamma e non l’ho ancora raggiunto: vivrei nell’ansia costante di rovinare gli innocenti.
La magistratura impone grandi responsabilità, perché la vita delle persone è delicata.
E questa è la cosa terribile in questa vicenda: non i deliri di un povero infelice, non delle sceme che si dicono plagiate, non lo squallore del contesto, ma avere contribuito a distruggere ancora un altro po’ la nostra già traballante giustizia.
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