Il cardinale Zuppi: «la politica la smetta con gli inganni: In Italia 6 milioni di persone non ce la fanno, bisogna combattere le diseguaglianze. Non sprechiamo i soldi del Pnrr, è il tempo di dire basta alle decisioni opportunistiche dei leader»
ROMA. Mai come in questo tempo la politica deve mettere al primo posto gli ultimi, i poveri, la gente che soffre. Predicare e praticare la solidarietà. E «aspirare alla compattezza», per ricucire il tessuto sociale e rilanciare il Paese verso un futuro florido e armonioso. Due mesi dopo essere stato nominato da papa Francesco presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi lancia il suo appello accorato affinché non si sottovaluti lo snodo drammatico a cui è giunta la storia d’Italia.
Eminenza, le elezioni anticipate irrompono mentre le tasche degli italiani sono sempre più vuote, dopo la pandemia e l’inflazione conseguente al rialzo dei prezzi di materie prime e generi alimentari a causa della guerra. Aumentano gli indigenti: quanto è grave la situazione?
«In Italia ci sono quasi 6 milioni di persone in povertà, una su dieci. Sembra esserci poca consapevolezza di queste proporzioni, come sei i dati fossero un’ipotesi e non il nostro ritratto. O forse ci siamo abituati che sia così. La crisi di governo rischia di bloccare gli aiuti economici in arrivo con il Pnrr. L’oggi e l’orizzonte per troppe famiglie sono oscuri, pieni di minacce e vuoti di speranza. Si può vivere senza speranza? Le misure contro fragilità e diseguaglianze sono urgenti, e invece rischiano di essere ancora rimandate, dato che i processi decisionali saranno di fatto paralizzati almeno fino all’autunno. Insomma, a pagare il prezzo più salato della crisi politica sono – ancora una volta – soprattutto i poveri. La temperatura e lo sfilacciamento della Nazione salgono pericolosamente».
Che cosa la preoccupa di più?
«Viviamo una fase di recessione e anche di disorientamento. La guerra si propaga indirettamente anche in regioni lontane. Quello che sta accadendo in Ucraina rivela la fragilità degli equilibri, che davamo per stabili. Quali saranno le conseguenze socio-economiche anche nel nostro Paese? Non possiamo, come rispetto al Covid, sperare solo che andrà tutto bene senza impegnarci con rigore e serietà perché questo accada. Tutti temono l’onda lunga della crisi in autunno. Per questo, dobbiamo attrezzarci alle necessità che esploderanno. E poi il Pnrr è un’opportunità unica per ricostruire tanti pezzi della nostra Nazione, guarda al futuro, non solo al presente. Mi ha colpito e addolorato la morte di Luca Serianni, professore universitario e grande linguista, che nella sua ultima lezione guardando i suoi ragazzi disse: “Ho come riferimento il secondo comma dell’articolo 54 della Costituzione che dice: ‘I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore’”. Per questo chiese ai suoi allievi: “Sapete cosa rappresentate per me? Lo Stato…”. Vale per tutti, dentro e fuori le istituzioni. La casa è comune per davvero».
Come si può uscire dal circolo vizioso?
«Innanzitutto con la consapevolezza che da soli non se ne esce. La solidarietà è possibile a tutti e fa bene a tutti. Si confonde chi la dona e chi la riceve e spesso i ruoli si invertono. Chi versa in condizioni di grande sofferenza sono i vicini di casa, gli amici, i conoscenti, le persone che incontriamo quotidianamente per strada. L’indifferenza, arrabbiata o cinica che sia, fa male. Sappiamo come facilmente possiamo trovarci noi nella stessa condizione di chiedere una mano. Pensiamo agli anziani, alle fragilità che confondono il fragilissimo equilibrio della nostra anima. L’indifferenza indurisce, fa chiudere, rende insopportabile la debolezza. Invece siamo grandi quando sappiamo proteggere i deboli. I milioni di italiani che vivono nell’indigenza non sono una statistica, ma siamo noi stessi. Guai a illuderli o accontentarci di dare qualcosa, che diventa un piacere e non un diritto. Non basta allungare qualche aiuto: dobbiamo dare stabilità, a iniziare dal lavoro e dalla casa».
Ma in Italia oggi intravede capacità di solidarietà?
«Assolutamente sì, anche se spesso è offuscata dall’egoismo, dall’individualismo che fa credere possibile il “si salvi chi può”. Che poi sono io e qualche appendice. Papa Francesco ricorda che così finisce “tutti contro tutti”. Se ne esce insieme e quindi anche con regole, istituzioni, legami che ci coinvolgono tutti. Nell’emergenza dimostriamo una straordinaria capacità di altruismo. Quanti segni di amicizia sociale che incoraggiano a essere più sensibili, ottimisti e meno rassegnati. Il problema è che, come è successo per la pandemia, grande analogia della vita vera, ci vuole tempo, pazienza, insistenza, sacrificio. E poi abbiamo capito (ce lo ricordiamo?) che ognuno può diventare risorsa e fonte di speranza e di fraternità per l’altro, così come – in negativo – pericolo. Siamo legati in quella che si chiamerebbe comunità di destino. Non è anche una straordinaria opportunità?».
E dai leader dei partiti che cosa si aspetta?
«È il tempo di scelte non opportunistiche, contingenti e quindi alla fine di apparenza perché superficiali. L’interesse generale deve prevalere sulle rispettive legittime posizioni. Questo richiede un rinnovato e responsabile senso di unità e di ricerca del bene comune, una aspirazione alla compattezza capace di mettere da parte posizioni polarizzate che sono un grande inganno, perché fanno credere di difendere le proprie convinzioni mentre in realtà è solo chiusura e contrapposizione. L’obiettivo deve essere uno: individuare e condividere ciò che è indispensabile per il bene di tutti, nessuno escluso».
Concretamente?
«Non dimentichiamo le lezioni severissime che abbiamo ricevuto dal Covid e adesso dalla guerra. Non abbiamo capito quello che è mancato? E non dobbiamo cercarlo? C’è anche un problema di tempo. In greco lo chiamano “kairos”, cioè non il tempo che scorre ma le opportunità che offre e che, quindi, vanno colte. Anche perché, se scorrono, non tornano. La gente non ne può più di promesse non mantenute, di benessere proclamato e poi sottratto o non pervenuto. Credo che tutti siamo disposti a fare anche tanti sacrifici ma se capiamo per chi farli e che serve farli. Il servizio dei responsabili politici – ma in fondo anche sociali e religiosi – è rispondere alla domanda di futuro che è posta dalle nostre comunità sempre più frammentate e individualizzate. E non dimentichiamo che c’è bisogno di “ripensarsi insieme” che vuol dire tra noi, quelli che siamo oggi, nuovi italiani compresi e poi con l’Europa. Il primo “fratelli tutti” è iniziato dopo l’enorme dolore della guerra proprio con quelli che erano nemici e con i quali ci siamo trovati uniti».
Che cosa intende?
«Ripensarsi insieme vuol dire non accettare un distanziamento tra chi è benestante e chi sopravvive a malapena. Mi sentirei parte di una comunità? C’è tanta, troppa amarezza di fronte a ingiustizie, malaffare e negligenze. E questa diventa facilmente rabbia, dipendenza, essere pronti a tutto. Mi sembra che, al contrario, possiamo costruire quella fratellanza umana invocata da papa Francesco: “Fratelli tutti” vale per tutti, credenti, non credenti, i tanti che cercano o non sanno».
E il tema lavoro?
«L’occupazione oggi è mortificata e svilita dalla precarietà, che diventa insicurezza. Si diventa precari nella vita e questo non porta niente di buono, perché è molto diverso da cambiamento e innovazione. Questi problemi (compresi la sicurezza nei luoghi di lavoro e l’uguaglianza dei salari) impongono decisioni chiare e una incisiva collaborazione con le parti sociali e con l’Europa. La ripartenza deve garantire un lavoro stabile e sicuro».
La Chiesa quale ruolo può e deve ricoprire?
«Non possiamo e non dobbiamo far mancare il nostro aiuto alla costruzione di una società più umana e giusta, solidale e anche ambiziosa, abitata dalla fraternità evangelica. E per questo siamo chiamati a un rinnovamento. Ce lo richiedono con determinazione la sofferenza e la povertà della nostra gente, acuite dall’isolamento e da un tessuto di relazioni lacerato».
A chi pensa in particolare?
«Agli anziani, ai ragazzi chiusi in casa senza un lavoro e senza sogni realizzabili, e a tutte le persone fragili, ai senzatetto. Dobbiamo ripartire – tutti, non solo la Chiesa – dall’amore per il prossimo più in difficoltà. È la Parola di Gesù, ed è anche un dettame sociale e politico non più prorogabile».