Il “caporalismo” di Renzi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: facebook
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di Michele Prospero – 27 aprile 2015

Deriva autoritaria in vista? C’è un concetto di Gramsci che si presta meglio a spiegare il fenomeno Renzi. E’ quello di “caporalismo”. Si tratta del “comandare per comandare” come preoccupazione esclusiva di chi mette bene in mostrai gradi conquistati e non sente ragioni quando aggredisce senza inibizioni i diritti del lavoro, muta gli assetti dello Stato, disegna modelli aziendali-autoritari per la gestione della scuola. Il capo presume di avere la ragione in dotazione e invoca l’obbedienza passiva come una cosa dovuta, senza premunirsi di connettere gli ordini impartiti a una finalità politica ben individuata.

Nella sua condotta di governo Renzi rivendica di continuo un diritto al comando in nome dell’energia e della velocità del capo che non tollera paludi, sacche di resistenza tra i parlamentari. Sostituisce ben 10 deputati nella commissione affari costituzionali in nome di una disciplina di partito da lui declinata in palese contrasto con le clausole costituzionali. Minaccia il ricorso al voto di fiducia sulla legge elettorale, del tutto incurante che, nella storia d’Italia, a sostegno del suo gesto si rintracciano due soli precedenti, quello del 1923 per l’approvazione della legge Acerbo e quello del 1953 per l’imposizione della legge truffa.

Perché andare veloci, e per quale obiettivo strategico è necessario forzare le stesse regole istituzionali, il presidente del consiglio non si preoccupa mai di chiarirlo con il necessario rigore analitico. Eppure, notava Gramsci, “si comanda perché un fine sia raggiunto”. Nelle sue imposizioni “prendere o lasciare” Renzi non elabora un progetto, non definisce un’idea di società e una visione delloS tato, intende solo esercitare il comando per il comando.

Dimentica così che “il comando è una funzione” e che non si possono violare regole del gioco, forzare tempi e prerogative del parlamento solo perché chi occasionalmente ha i numeri dalla sua può esigere qualsiasi condotta dai subordinati. Con il suo stile di governo impregnato di “caporalismo” Renzi rivela la sua inadeguatezza, l’incapacità cioè di dirigere una grande democrazia, che sempre implica il rigoroso rispetto delle trame istituzionali, la cultura delle regole e dei valori costituzionali.

Nei “Quaderni” Gramsci chiariva che “nell’obbedienza c’è un elemento di comando e nel comando un elemento di obbedienza”. Cioè, nel rapporto politico ben impiantato, esiste una reciprocità o meccanismo solido di apprendimento collettivo. Questo non accade nel Pd, deturpato dalla tendenza a tramutarsi in un non-partito del capo. La minoranza del Pd obbedisce agli ordini, anche quelli in contrasto con il mandato elettorale, perché ad ogni segno di dissenso segue un celere rientro nei ranghi. Così essa rinuncia a quell’elemento di comando sempre implicito nell’obbedienza politica. E il capo comanda qualsiasi cosa, senza mai neppure ipotizzare di avere dinanzi gruppi dirigenti, organismi di partito, parlamentari autorevoli capaci di incalzarlo, metterlo in condizioni di cedere. E così il capo si sbarazza del momento dell’obbedienza, che rende più efficace la sua stessa funzione.

Il “caporalismo”di Renzi che oltraggia “i signori del parlamento”, evoca cadute del governo al buio, è il segno, piuttosto inquietante, di un impoverimento strategico dei partiti, docili macchine di uomini e donne in carriera pronti a qualsiasi sacrificio per ottenere la ricandidatura. Si avverte un clima pesante che facilita l’ingresso in una democrazia minore nella quale una regola del gioco essenziale, quella della contesa elettorale, diventa il capriccio di un leader di minoranza che, in preda ad un’incontrollata volontà di potenza, la disegna solo per vincere alle prossime consultazioni.

Cosa altro c’è da vedere per dare segni di comprensione dello smottamento in atto? Fino a quando s’intende giocare con le maschere dell’ipocrisia che inducono a esaltare Renzi come “una risorsa”? La deriva, se non in un senso autoritario, per lo meno in una direzione di “caporalismo”, non è un rischio ipotetico, è una tendenza già in atto. Visibile, trasparente, misurabile nei suoi elevati costi.Non rimane che prenderne consapevolezza e contrastare il condottiero di Rignano,con tutti i mezzi dell’ordinamento costituzionale.

MicheleProspero

(Articolo in uscita nel numero di maggio del mensile “La Parola”)

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