IL CAPORALATO DI CRISTOFORO COLOMBO ED ALTRE NEFANDEZZE

per Filoteo Nicolini

IL CAPORALATO DI CRISTOFORO COLOMBO ED ALTRE NEFANDEZZE

Colombo diceva che l’oro era una cosa meravigliosa. Chi possegga oro avrà tutto quello che desideri. Mediante l’oro si possono anche aprire le porte del Paradiso alle anime. Nel primo viaggio, alla vista di alcuni indigeni che portavano pezzetti di oro appesi alle narici, fu preso da una emozione fortissima, e si impadronì di lui una avidità mai vissuta prima. Palpava il metallo, ne pesava il valore, lo mordeva, ne chiedeva a gesti l’origine e come venisse estratto. Lo esaminò al sole, comprovò più volte che era oro senza dubbi, oro vero. A cominciare da quel giorno la parola ORO sarà la più ripetuta nei suoi diari, relazioni e lettere, come ossessione del demonio. L’oro che già cominciava a mostrarsi, che sarebbe divenuto la guida e bussola più importante delle avventure, tardava comunque ad apparire. Per seguirne le piste, i naviganti con Colombo alla testa si prodigavano a regalare sonagli, cappellini e specchietti, a cambio di quei pezzetti di oro così bramati. Niente altro di utile, né la noce moscata, il pepe, la cannella e il cardamomo che speravano trovare, al di fuori di quei pezzetti di oro, del divino metallo. Inseguendo sulle isole il Gran Khan dell’oro in polvere, in lingotti, in botti. Cercando la gran miniera per caricare fino all’inverosimile le tre Caravelle di ritorno. Ma irritato con gli indigeni che non gli consegnano a dir suo il segreto dell’oro e lo portano di qua e di là, non li vede più come esseri buoni, innocenti, inermi, incapaci di malizie, dipinti idillicamente davanti alla Corte di Castiglia e Aragona, ma come ignoranti da addottrinare e trasferirli in Spagna come schiavi, migliori dei neri che si vedono a Siviglia e Lisbona. Quindi, non riuscendo a trovare l’oro, pensa Colombo che l’oro possa essere sostituito dalla disponibilissima energia della carne umana, che può dare migliori e più duraturi benefici. Ha l’idea di inviare alla Spagna un primo gruppo scelto tra i più robusti, insieme a donne e bambini, per dimostrare come possono riprodursi e crescere allo stesso modo degli abitanti deportati dalla Guinea. Inoltre, varie Caravelle potrebbero assicurare il costante rifornimento di deportati, ai quali si darebbe la caccia in quelle isole, riunendoli in accampamenti recintati in attesa di essere imbarcati. E se con questa deportazione le isole si vedessero private della necessaria mano d’opera, la soluzione ventilata era di far venire migliaia di uomini e centinaia di cavalli dall’Europa, con i quali lavorare la terra, seminare il frumento e la vite e introdurre il bestiame. A questi uomini si assegnerebbe un salario in attesa della prosperità, ma il tal salario non sarebbe corrisposto in denaro. L’Amministrazione dovrebbe istallare dei magazzini di panni, giubbe, camicie, scarpe, conserve e altri prodotti di Castiglia, che la gente riceverebbe come sconto del suo salario. Mercanzia tutta spagnola con enorme benefizio reciproco: i lavoratori si indebiterebbero, e poi, a che potrebbe servire loro il denaro, si indebiteranno fino alla morte firmando ricevuta per tutto quello che gli venga dato. Considerando però che la cattura di schiavi non potrebbe realizzarsi senza suscitare proteste e rivolte, chiede Colombo il giorno 30 di gennaio del 1496 l’invio di duecento corazze, cento spingarde e cento balestre con materiali di manutenzione e ricambi.

Quando scrive a Isabella e Fernando, la resistenza dei nativi viene soffocata dagli spagnoli ormai preda di appetiti e avidità senza freni, capaci di diserzione e malvagità indescrivibili. Colombo allora vuole sfruttare la situazione fuori controllo e con parole astute e accorte giustifica l’istaurazione della Schiavitù, mostrando i benefici di tale istituzione e citando i Vangeli. Portando gli schiavi in Spagna, mentendo per presentarli come ribelli alla Corona, li trasforma in anime che è doveroso riscattare dall’idolatria demoniaca. Il giubilo della prima vendita di una partita di schiavi catturati a Haiti e condotti a Siviglia si trasforma però in angoscia, quando una commissione di teologi e canonici, convocata dai regnanti in preda a scrupoli, proibisce tale commercio e ordina il reintegro delle somme. Colombo si vede rovinato quando già immaginava la gloria, e abbandona le insegne di Ammiraglio, il vestito luminoso, le calze, e risorge in lui il goliardo occulto, la maschera di martire dolorante che sa assumere all’occorrenza. Si sveste e prende l’abito dei frati minori di San Francesco, i piedi nudi, il cordone alla cintura, ricordando mestamente la Terra che ignorava il Mal dell’Oro e che fu iniziata alla avidità e lussuria della gente europea.

Il Destino non può andare scegliendo di forma così precisa la gente che gli servirà come strumento. Allo stesso modo che, se abbiamo fretta per arrivare a un posto, cosa di vita o di morte, non ci importa molto se l’auto ha il bollo o se il tassista veste male. Si prende quello che si trova a mano. Per questo il destino è un poco confuso ed equivoco: lui sa bene quello che vuole in realtà, ma la gente che lo esegue non tanto. Come quei subalterni mezzo tarati che mai eseguono alla perfezione ciò che gli si ordina di fare. Così il Destino si vede obbligato a procedere, a fare le cose, sebbene male, ma farle in ogni modo.

FILOTEO NICOLINI

Immagine: Mappa di Piri Reis.

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