Il broglio fa la legge

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: il Simplicissimus

di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 8 febbraio 2015

Altro che meretricio,  quello è il mestiere più antico del mondo. E qui e di questi tempi quello considerato ancora più riprovevole, sospetto e “moralmente” censurabile, svolgendosi in contesti opachi, secondo procedure occulte e sistemi da consorterie e cricche oscure. Salvo, in forme altrettanto recondite e sotterranee, essere  sfruttato per denaro, favori, potere.

Fin dai tempi delle grotte di Altamira, probabilmente, da quando  gli uomini hanno aspirato a comandare gli uni sugli altri, anche grazie al possesso, alla rapina o alla promessa di beni, a condizionarli, persuaderli, riunirli intorno a un interesse per controllarli meglio, i potenti hanno impiegato i loro lobbisti, irrinunciabili in ogni corte  quanto il giullare, da inviare per favorire conquiste e l’accumulazione di ricchezze, in guerre di “civiltà”, di religione, di risorse naturali,  sotto le vesti di diplomatici, generali, missionari,  mediatori. Li avevano i faraoni e  i greci, li avevano Alessandro e Ciro, li avevano i Romani, come raccontano Cicerone o Sallustio.

Li aveva la Serenissima,  dove questa professione indefinibile si chiamava Broglio, dal latino brogilus = orto o giardino annesso alla casa (che in fondo  la parola inglese “lobby” indica “corridoio, atrio, vestibolo” e, negli U.S.A., per antonomasia, il corridoio per il pubblico al Congresso (Camera dei Deputati) ed al Senato), oggetto di un trattato pedagogico indirizzato ai giovani aristocratici in modo che apprendessero i modi, le parole e le azioni per contribuire a fare sempre più grande e potente la città e più influente il loro ceto.

C’erano, eccome, ai tempi del doux commerce, che dalla collaborazione delle nazioni  impegnate concordemente a rafforzarsi nel benessere avrebbe dovuto promuovere una conciliazione confortevole e duratura, proprio come hanno finto di credere i profeti della globalizzazione. Certo è cambiato l’aspetto e la qualità di chi esercita pressioni più o meno violente, più o meno indebite per rappresentare l’interesse di un ente, un’organizzazione, un gruppo di soggetti privati. E sono cambiate le forme e i modi della persuasione impiegati, se diventa lobby l’inchino della Concordia, i regali  ai giornalisti, ai decisori e ai soggetti addetti ai controlli a Venezia non più Serenissima, a Taranto, a Milano, i crediti agevolati concessi da benevoli istituti finanziari, come l’investimento disinteressato in brillanti carriere di giovani leader.

Così aumenta il sospetto per quelli che qualcuno definì i “sottobraccisti”, per via dei loro testimonial tanto incauti da essersi resi palesi, i Bisignani, i Greganti, i Lavitola,  affiorati periodicamente e puntualmente in ogni scandalo, che hanno fatto di un’attività lecita e che potrebbe e dovrebbe essere svolta in modo trasparente e legittimo, il dispiegarsi di manovre nel sottobosco, esercitato con il gergo e la gestualità mutuati dalla mafia, dalla massoneria, da quello che si mette in scena nei prosceni,  nel torbido dei corridoi, quando non delle toilette.

Tutte mansioni per lo più  svolte da noi – dove non c’è regolamentazione che scongiuri opacità e illegalità e  che garantisca deontologia e professionalità – da improvvisati sbrigafaccende, esperti in intrallazzo, che rivendicano la definizione data di sé dal protagonista di Thank you for smoking, vero film di culto, “Non sono laureato né in medicina, né in legge. Sono diplomato in colpire sotto la cintura e incassare insulti”, o i motti del Michael Dobbs di House of cards:  “La politica richiede sacrificio. Il sacrificio degli altri, ovviamente. Per quanto un uomo possa ottenere, sacrificandosi per il proprio paese, è comunque più conveniente che siano gli altri a farlo per primi”, piuttosto che quella invece di Kennedy, secondo il quale  sarebbero stati  quelli che “mi fanno comprendere un problema in dieci minuti, mentre i miei collaboratori impiegano tre giorni”. E preferibilmente esercitate dietro la cosmesi del pierre, del consulente, dell’addetto stampa, sotto il doppiopetto dell’avvocato e del commercialista,  che visto che non esistono regole non è necessaria competenza, preparazione, diploma.

Io personalmente ne conosco uno solo che fin dalle prime armi è uscito allo scoperto, tanto da fare dell’ammissione di “colpa”,  quella dello sporco lobbista, un brand a conferma di professionalità e chiarezza.  E una sola che si è ribellata all’ubbidienza alla contro-deontologia del non sempre elegante bordello.  Mentre la percezione diffusa è di una giungla popolata di non meglio identificati professionisti della comunicazione e delle relazioni istituzionali, di manovali dell’intermediazione nebulosa e della camarilla, facili bersagli di una black propaganda  intesa a cacciare i mercanti dal tempio delle istituzioni, che vede in prima linea i 5stelle, dei quali qualcuno ha detto che vedono i lobbisti come  “sirene col microchip di Pino Chet progettate dal Bilderberg per diffondere scie chimiche”.

E si potrebbe pensare che sia stata  quella a dissuadere i promotori, dal realizzare il progetto annunciato dal  Fatto Quotidiano di corsi per lobbisti (20 ore di lezione per soli 1.500 euro) con “ l’obiettivo di formare figure specializzate, capaci di operare sul fronte delle relazioni istituzionali e del public affairs, tenuti da docenti “speciali”: capi di gabinetto e funzionari di importanti ministeri, consiglieri parlamentari.  Lab Parlamento Academy ha deciso di cancellare il ciclo intensivo, ha  restituito le quote  agli iscritti, ma intanto la questione diventa un caso politico e  M5S e Sel denunciano il conflitto di interesse. La revoca sarà spiaciuta al governo della comunicazione in 140 battute, della selezione del personale effettuata compulsando la rubrica del cellulare, della decretazione d’emergenza sostitutiva del’attività del Parlamento. Perché è proprio là, in Parlamento che giacciono ben 11 proposte per regolamentare l’attività di lobbing e Public Affairs e che oltre a mettere ordine nell’intreccio pericoloso tra  interessi generali e privati, dovrebbero affiancare le misure di contrasto della corruzione.  Ma che sono là, arenate malgrado i vibranti moniti, i preoccupati allarmi per le indebite pressioni in materia di armamenti, le inquietanti denunce per gli andirivieni di soggetti sospetti nei corridoi e perfino nelle stanze dove si svolgono i lavori delle Commissioni.

C’è poco da interrogarsi, c’è poco da fare dietrismi, c’è poco da supporre: i soliti sospetti che si aggirano nei palazzi sono famigli, sono amici d’infanzia e compagni di merende, sono ex parlamentari e perfino ex ministri, sono rappresentanti di quelle fondazioni nate e nutrite all’ombra dei partiti e allevate proprio a questo scopo, per stringere e consolidare esplicitamente, ma non legittimamente,  interessi di parte. Sono grand commis ministeriali in regime di  part time e sono manager collocati nelle imprese pubbliche con incarico ufficiale di promuovere alleanze, facilitare relazioni e ungere ingranaggi, sono dirigenti di imprese con specifiche mansioni relative all’ingegneria del consenso, alla conquista di voti, al passaggio da uno schieramento e da una formazione all’altra , sono studi legali specializzati in interrogazioni ed interpellanze da suggerire a  compiacenti rappresentanti del popolo.

Tutti a brulicare come vermi nel corpaccione malato del Paese, una “class action” alla rovescia per sostituirsi al potere legislativo e farsi legge. Tutti a godersi le Grande Abbuffate: Expo,  Tav,  Mose, le Grandi Privatizzazioni. E la Grande Festa, quella che fanno al lavoro, alla Costituzione, ai diritti, alla democrazia, a noi.

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