Se è vero, come disse Pascal, che gli uomini sono un impasto di angeli e demoni, certo alcuni personaggi storici più di altri, si stagliano sulla scena della Storia come massimi esempi di questo incrocio, come l’ammiraglio e reggente d’Ungheria Miklos Horthy.
Mai morti i temi risorgimentali dello sventurato 1848, quando Sandor Petofi scrisse: noi ungheresi continueremo a combattere anche se gli altri popoli si arrendono , a un anno dalla fine della prima guerra mondiale, nel novembre 1919, una volta passati per un tentativo di repubblica democratica radicale, un tentativo di regime comunista di stampo sovietico, sei giorni di social-democrazia seguiti da un governo reazionario, nazionalista, razzista e terroristico, gli ungheresi mettevano le loro sorti nelle mani del rassicurante aiutante di campo di Francesco Giuseppe. Miklos Horthy è allora semplicemente il più alto ufficiale rimasto in vita o non fuggito all’estero, accompagnato da un astuto piccolo e mediocre nobiluomo transilvano, immanicato con gli inglesi, e un grande accademico dall’aria triste.
Il primo è Istvan Bethlen, grande mediatore interno che fa del suo grigiore la propria maggiore qualità, riuscendo a livellare la politica ungherese in un unico grande partito horthista: Partito Unificato, un vero e proprio non-partito dove quasi tutti confluiscono speranzosi. L’altro uomo è un tecnico, un geografo poliglotta di fama mondiale, un piccolo nobile transilvano che pure ha perso tutto, Pal Teleki, chiamato a un triste destino, molto più propenso di Bethlen alle riforme sociali e alla riforma agraria (che Bethlen promette ma non fa), speso dall’ammiraglio come uomo di fiducia della Lega delle Nazioni.
Tutto quanto è successo nei mesi precedenti non può che portare, dopo tentativi repentini e radicali falliti, a un ripiegamento passatista e anacronistico, a tratti farsesco, ai fantasmi di un 1848, a tinte quindi fortemente anti-absburgiche, a dispetto delle apparenze , espresso nei costumi di Horthy (ammiraglio senza flotta) e degli uomini in marcia dietro al suo cavallo bianco, che lo conducono in trionfo sulla collina di Buda, il 16 novembre 1919, a realizzare il sogno di una restaurata corona ungherese.
I nemici etnici degli ungheresi, che covano e preparano in quei mesi una vendetta destinata a travalicare ogni comprensibile limite temporale, sparano sui soldati magiari di ritorno dai vari fronti. Cecoslovacchia e Romania (i cui soldati sono arrivati quasi a Budapest) vengono ricavate strappando una parte importante dell’Ungheria storica. Esce dalle mappe quella Grande Ungheria Millenaria, cui Horthy richiama nel discorso per i quattrocento anni dalla battaglia di Mohacs, nel 1926 , un discorso oggetto di varie elucubrazioni, in direzione di una confederazione danubiana e di un sodalizio serbo-magiaro, anti-romeno, sotto l’egida di Mosca, che nel frattempo intesse rapporti importanti con Budapest .
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