I SOVRANISTI DISTRATTI: LA “CARTA DEI VALORI EUROPEI”, OVVERO IL MANIFESTO DEI “SOVRANISTI”

per mafalda conti
Autore originale del testo: Franco Cardini
Fonte: Minima Cardiniana

I SOVRANISTI DISTRATTI, OVVERO LA SOVRANITÀ RIVENDICATA. GUARDANDO ALTROVE
LA “CARTA DEI VALORI EUROPEI”, OVVERO IL MANIFESTO DEI “SOVRANISTI”

“Contro l’ideologia tecnocratica di Bruxelles”: è questo lo slogan attraverso il quale diverse forze politiche dell’Unione hanno firmato un documento per ostacolare l’operato delle istituzioni europee, definite “uno strumento di forze radicali che vorrebbero realizzare una trasformazione culturale e religiosa per arrivare alla costruzione di un’Europa senza Nazioni”.
Il documento è stato firmato da Lega (Italia), RN (Francia), FPOE (Austria), Vlaams Belang (Belgio), DPP (Danimarca), Ekre (Estonia), PS (Finlandia), ECR, PiS (Polonia), VoX (Spagna), FdI (Italia), JA21 (Paesi Bassi), EL (Grecia), PNT-CD (Romania), LLRA-KSS (Lituania), VMRO (Bulgaria), Fidesz (Ungheria).
L’alleanza dei “patrioti” intende formare un gruppo parlamentare “sovranista” che potrebbe contare all’incirca su 115 deputati a Strasburgo, diventando così la terza formazione dopo i popolari e i social-democratici. Il nuovo assetto del campo sovranista è stato favorito dall’uscita dell’ungherese Orban dal Partito popolare europeo: fino ad allora, Orban e il suo partito Fidesz erano legati ai Républicains dell’ex presidente Sarkozy e rifiutavano l’alleanza con Marine Le Pen. Rotti gli indugi e abbandonato il PPE, Orban può finalmente ufficializzare l’unione con Le Pen in Francia e Meloni/Salvini in Italia.
L’obiettivo, però, è cambiato: non si parla più di uscire dall’Europa, ma di correggerne l’indirizzo, riformarla, per opporsi “al percorso federalista che la allontana inesorabilmente dai popoli che sono il cuore vibrante della nostra civiltà”, come ha scritto Marine Le Pen. La dichiarazione comune è firmata da partiti e responsabili politici che nei rispettivi paesi sono “forze dominanti o in ascesa, presto maggioritarie grazie alla volontà popolare”, secondo le stesse parole della leader del Rassemblement National, che peraltro la scorsa domenica ha subìto un’amara sconfitta alle elezioni regionali in Francia, non riuscendo a conquistare alcuna presidenza di regione.
I firmatari giudicano inaccettabile che “i popoli siano sottomessi all’ideologia burocratica e tecnocratica di Bruxelles, che impone norme in tutti gli ambiti della vita quotidiana”. Sempre secondo la pasionaria francese, “l’accordo è il primo passo verso la costituzione di una grande alleanza al Parlamento europeo”.
“Le nazioni si sentono lentamente spogliate del loro diritto ad esercitare i loro legittimi poteri sovrani”, è scritto nel documento. “L’uso delle strutture politiche e delle leggi per creare un Superstato europeo è una manifestazione della pericolosa e invasiva ingegneria sociale del passato, situazione che deve indurre ad una legittima resistenza. L’iperattivismo moralista che abbiamo visto negli ultimi anni nelle istituzioni della Ue ha portato allo sviluppo di una pericolosa tendenza ad imporre un monopolio ideologico. Siamo convinti che la cooperazione delle nazioni europee dovrebbe essere basata sulle tradizioni, il rispetto della cultura e della storia degli stati europei, sul rispetto dell’eredità giudaico-cristiana dell’Europa. Riaffermiamo la nostra convinzione che la famiglia è l’unità fondamentale delle nostre nazioni. La politica a favore della famiglia dovrebbe essere la risposta rispetto all’immigrazione di massa”.
L’avversario designato è Emmanuel Macron, “il principale rappresentante in Francia dei mondialisti e degli europeisti che, lanciando la Conferenza sul futuro dell’Europa, vogliono accrescere il potere delle istituzioni europee”. Ma l’alleanza in funzione anti-Macron e anti-europeista rende evidente la situazione contraddittoria della Lega di Matteo Salvini: in Italia parte del governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi, salvatore dell’euro e oggi più stretto alleato di Macron, e al tempo stesso in Europa parte di una nuova e rafforzata alleanza sovranista assieme a Giorgia Meloni (che invece è fuori dal governo) e che ha per maggiori avversari gli stessi Macron e Draghi. Un ibrido politicamente pericoloso, visto anche che il suo più importante ministro nel governo Draghi, Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico, sembra attento alle ragioni dell’imprenditoria settentrionale più interessata a tutelare e stringere il legame con l’Europa.
Il quotidiano anglosassone Financial Times ha pubblicato un nuovo articolo della serie “A pranzo con il FT”, nel quale il giornalista Miles Johnson racconta l’incontro con il leader della Lega in un ristorante di Piazza Navona, a Roma, sottolineando il passato no-euro di Salvini, le simpatie per Putin e Trump, e il suo riallineamento attuale sull’europeista Draghi, la NATO e il presidente americano Biden. “Salvini si è trasformato? È diventato un uomo dell’establishment?”, chiede il Financial Times. “Il mondo è cambiato, l’Europa è cambiata, gli Stati Uniti sono cambiati, le dinamiche economiche sono cambiate. Abbiamo certi valori e quelli rimangono”, ha risposto Salvini, che poco dopo ha aggiunto: “La mia idea è un’Europa del popolo, non un superstato ma una unione delle diversità e delle comunità”. L’articolo si conclude così: “Mi chiedo quale versione di Salvini io abbia incontrato”, scrive il giornalista del Financial Times. “Forse ha ragione, il mondo sta cambiando e lui cambia con esso. Oppure, più probabilmente, non ho davvero incontrato l’uomo ma solo un altro dei suoi costumi”.
D’altra parte, ce lo insegnava Tomasi di Lampedusa in tempi non sospetti: bisogna che tutto cambi perché tutto resti com’è. Così come ce lo hanno insegnato il trasformismo della Prima Repubblica e, oggi, i pentastellati con l’apriscatole che si affidano ai sette saggi per “ricucire lo strappo” tra il mentore Grillo e il miracolato Conte – ci vuole fantasia, in effetti, per rintracciare sette saggi nel Movimento –, dunque per studiare, ricucire alleanze e sopravvivere secondo il motto orwelliano che alcuni onesti sono più onesti degli altri. Salvini e Le Pen sono in discesa libera nei sondaggi, Orban ha bisogno di alleati per stemperare le polemiche relative alle sue scelte poco gay friendly (anche se la strumentalizzazione del misfatto meriterebbe un’analisi più approfondita: leggetevi il pezzo di Thierry Meyssan), mentre Giorgia Meloni sta vivendo il suo momento di gloria: gli ultimi sondaggi, infatti, danno FdI come primo partito in Italia. Ovviamente, le vibrazioni antifasciste stanno aumentando in maniera direttamente proporzionale, come dimostra il caso dei manifesti appesi ieri a Torino, dove al posto dei cadaveri di Benito Mussolini e Claretta Petacci figurano i volti della Meloni e dell’assessore piemontese Maurizio Marrone. Il motto è sempre lo stesso: a piazzale Loreto c’è ancora posto. Nessuna presa di distanza, almeno finora, dai promotori del dirittocivilismo a oltranza, antropologicamente superiori per elezione.
Nella “Carta” si citano di nuovo, ed erroneamente, le radici giudaico-cristiane dell’Europa, rifiutate senza sconti dalla stessa Costituzione dell’Unione. Il problema, secondo chi scrive, non consiste nella mancata “citazione” della suddetta “eredità” nel testo fondativo, quanto nella graduale (e ormai totale) eradicazione di ogni prospettiva religiosa che su tale eredità dovrebbe far leva. Di questo mutamento paradigmatico non è certamente responsabile la burocrazia dei tecnocrati europei. Parliamoci chiaro: nel nostro paese, come in tutto il vecchio continente, il processo di secolarizzazione, amplificato dalla globalizzazione, è irreversibile (come l’Euro): inutile fare appello alla famiglia quale “unità fondamentale” in un momento storico in cui l’individualismo sfrenato e la corsa al suppellettile hanno rintanato la famiglia in un angolo, con i figli che diventano un ostacolo (e un costo) per l’affermazione dell’Io; inutile altresì ricorrere all’artificio famiglia versus immigrazione di massa, che non coglie gli aspetti più delicati – ed evidenti – di un problema globale. L’atteggiamento salviniano (abbracciato purtroppo dalla Meloni) nei confronti dei barconi ha ben poco da condividere con gli insegnamenti del Vangelo e con le “radici giudaico-cristiane”.
David Nieri

Il “Manifesto”, così com’è, appare inficiato da due errori di fondo e compromesso da due omissioni che – volontarie o involontarie che siano – sono gravissime.
Due errori.
Primo errore: l’accettazione acritica dell’idea giacobina di “nazione”. La Natio è un valore antichissimo, che insiste sui legami tra un popolo, la lingua che esso parla, le tradizioni delle quali vive e il territorio nel quale esso è insediato. Ma la Nation è un concetto astratto di conio giacobino, inteso a sostituire quando è stato introdotto la fedeltà dei popoli ai loro troni e ai loro altari, cioè alla loro storia concreta. La “Nazione” è nata alla fine del Settecento per spazzar via i popoli e le tradizioni. Nell’Europa del futuro, accanto allo “stato-nazione” che ormai esiste in tutte le contrade del continente – ma che è vecchio al massimo di circa due secoli e mezzo, in certe aree (quali quella italica, germanica, iberica e balcanica) ancora meno – dovranno essere valorizzate le antiche e profonde realtà (“nazioni negate”, e magari “lingue tagliate”) che al livello di “stato-nazione” non sono mai pervenute: la castigliana, l’andalusa, la catalano-provenzale-occitana, la basca, la gallega, la bretone, la normanna, la borgognone-piemontese, l’alsaziano-lorenese, la bavarese, la svevo-alamanna, la veneta, la sarda, la siculo-sicana, l’italica nelle sue varie espressioni e declinazioni storico-dialettal-latitudinarie, la boema, la croata, l’illirica, la macedone e così via. Se la futura compagine unitaria politica europea (perché politica dovrà anzitutto essere e proclamarsi) dovesse darsi un sistema bicamerale – il che è materia di discussione – a un Congresso “degli stati-nazione” – dovrebbe accompagnarsi un Senato “dei popoli e delle culture” su una base territoriale differente e complementare rispetto al primo.
Secondo errore: spazziamo via una volta per tutte l’equivoco (nato sulla base di una superficiale e semicolta volontà di affermazione “antirazzistica” e “anti-antisemita”) della “civiltà giudaico-cristiana”. La confessione giudaico-cristiana nacque e si sviluppò nei primi secoli dell’Era Volgare come espressione di quegli ebrei che, volendo mantenere intatta la fede mosaica, intendevano tuttavia affermare che il Messia era già comparso nel mondo, ed era identificabile in Gesù di Nazareth. Tale confessione non esiste più. La fede cristiana affonda senza dubbio le sue radici nella legge ebraica e nella sua tradizione, che i cristiani giudicano “intrinseca” al cristianesimo (parere non giudicato reversibile dagli ebrei), così come ebraismo e cristianesimo sono giudicati “intrinseci” rispetto al messaggio di Muhammad dai musulmani (parere che ebrei e cristiani non giudicano reversibile). La civiltà europea si è fondata sulla base di un cristianesimo che aveva ormai metabolizzato l’ebraismo accogliendo al suo interno anche l’eredità ellenistico-romana, cui nel corso del primo millennio e anche di parte del secondo dell’Era Volgare si aggiunsero altre tradizioni etniche. Alcune porzioni dello spazio europeo accolsero poi i momenti distinti (dalla Puglia alla Sicilia alla penisola iberica a quella balcanica) anche la legge musulmana, mentre in esso rimasero radicate numerose comunità musulmane. La compagine europea del futuro, che sarà politicamente parlando laica e che riconoscerà e valorizzerà al suo interno le tradizioni religiose, dovrà fondarsi sulla sua identità abramitica comune a cristianesimo, islam ed ebraismo come sull’identità ellenistico-romana arricchita dagli apporti etnici celtico, germanico, slavo e uraloaltaico che le proviene dalla sua stessa storia.
Prima omissione.
L’Europa del futuro dovrà esprimere in modo esplicito l’opzione per una configurazione politica e istituzionale che l’Unione Europea non ha mai né saputo né voluto esprimere, rinunziando con ciò a proporsi quale Patria europea comune a tutti i popoli. L’Europa del futuro dovrà al contrario proporsi come Grande Patria Europea (il Grossvaterland, si direbbe in tedesco), includente al suo interno sì le “patrie” nate dallo sviluppo degli “stati-nazione” (i Vaterländer), ma anche gli Heimatländer. Le lunghe vicende di un continente segnato da diversità profonde e anche da passate ostilità reciproche (si è parlato non già di un “continente”, bensì di un “arcipelago” europeo da condursi a una unità – e pluribus unum – che rispetti e valorizzi tuttavia le diversità interne) escludono una formula futura fondata su un qualunque impossibile centralismo e consigliano di evitare la via di un federalismo “all’americana” o “alla tedesca”, insufficiente a rappresentare in modo adeguato le molte “terre profondamente e intimamente natali” (gli Heimatländer) in forza delle quali ciascuno di noi non è soltanto francese, o tedesco, o spagnolo, o italiano e così via, ma anche – e profondamente – castigliano, o bretone, o renano, o tirolese, o slovacco. Solo un assetto non già federalistico, bensì confederale, potrà rispondere adeguatamente a questa realtà e a queste istanze. Qualora volessimo indicare approssimativamente un modello, penseremmo alla Confederazione Elvetica. Sono di questo tipo le istanze che consigliano di procedere i popoli europei verso la costituzione di una compagine politica definibile come Confederazione degli Stati Europei (CSE).
Seconda omissione.
Il confronto con l’istituzione politico-militare della NATO e con l’atlantismo: la prima, la NATO, una compagine da rivedere e riformare profondamente sulla base di un patto al quale la CSE potrebbe anche aderire a patto ch’esso si fondasse sull’effettiva parità e indipendenza politica dei suoi membri anziché – come oggi si presenta – quale organo attivo dell’egemonia statunitense sui popoli europei con ciò ridotti a una “sovranità unilateralmente limitata” e a una grave subordinazione di fatto, lesiva dei loro diritti e della loro dignità. Il secondo, l’atlantismo, una sinistra ideologia politica nata sulla base della “guerra fredda” tra USA e URSS con i rispettivi satelliti e che oggi va rifiutata decisamente per essere sostituita da un’Europa che non ha nemici preconcetti ma che punta a un suo protagonistico ruolo nella promozione e nel mantenimento della pace e dell’equilibrio mondiale fondato sul conseguimento della giustizia sociale tra i popoli e della salvaguardia ecologica e ambientale. Un equilibrio del quale la nostra Grande Patria Europea sia protagonista e non vassalla.
Franco Cardini

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