I soldi pubblici, i tecnici, le imprese, la politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

I soldi pubblici, i tecnici, le imprese, la politica

C’è una quantità enorme di risorse pubbliche da mettere in campo. L’obiettivo è uscire dal Covid intervenendo radicalmente sulle storture e i limiti che il virus ha particolarmente evidenziato. Pensiamo alla sanità, alla scuola, al welfare, alle procedure per la cassa integrazione e per gli aiuti. Da questa fase si esce soltanto cambiando, e affinché ciò possa accadere, servono le idee e la saggezza “giuste”. Possono (devono) contribuire gli intellettuali, i tecnici, gli scienziati, nei modi che conoscono. Possono (devono) intervenire le forze sociali, sindacali, le associazioni. Tocca infine alla politica (governo, parlamento, forze politiche) il compito di tirare le fila e di dare, prudentemente e saggiamente, un indirizzo misurato al Paese sulla base di una specifica tavola di valori.

La politica è questo: un’azione pubblica, corale, istituzionale, partecipata che punta a realizzare specifici valori, realizzando nel contempo scopi concreti (ad esempio, perseguire il valore dell’istruzione pubblica mediante la costruzione di scuole, l’assunzione di personale scolastico, la definizione delle linee didattiche). Non basta la saggezza politica di un governo a individuare gli strumenti giusti per intervenire – ancor meno basta l’acume dei tecnici e degli scienziati a indicare una rotta, che è invece compito specifico della politica e di chi rappresenta gli italiani.

Il piano Colao è stato bocciato, senza nemmeno essere stato letto, dagli stessi che disdegnavano la capacità della politica di elaborare progetti e indicavano invece nei tecnici, nei manager e negli impolitici i veri soggetti attivi della possibile rinascita del Paese. A Colao e ai suoi non è bastato essere etichettati come “tecnici”, quando si è trattato di affondare sono stati regolarmente affondati. Nessuna pietà. Se il Piano Colao sia utile o meno credo se ne dovrà discutere prima di bocciarlo o emendarlo. Serviranno consessi aperti. Servirà comunque un lavoro di analisi, di scavo, di valutazioni, di confronto aperto. Mi pare il minimo, il resto è una forma isterica.

Poi però toccherà alla politica e al governo. Che faranno la tara e decideranno non in astratto, ma dopo aver “calcolato” saggiamente e prudentemente l’enorme mole di dati e la discussione sollevata a partire dai suoi esiti. Per un Paese poco abituato a discutere e che spazza tutto e dimentica in 5 minuti anche le pandemie, capisco quanto sia difficile l’idea stessa di fermarsi a discutere e a riflettere sul presente e sul futuro.

Se poi, invece, è la solita polemica stupida dei tanti tutori e legali rappresentanti del mondo delle imprese, che sparigliano e bruciano tutto all’istante pur di aprire il campo al ‘ghe pensi mi’ della Confindustria, allora è un altro conto. Quello che, però, non devono nemmeno provare a fare, è tentare di far fuori la politica per mettere in campo direttamente lor signori e i loro professori a decidere in quali (loro) tasche debbono andare i soldi pubblici. Questa sì sarebbe la tragedia finale di un dramma sociale già insopportabile di per sé.

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