di Massimo Allulli – 29 agosto 2014
I sette individui che hanno distrutto la sinistra
La fine dell’estate e l’incedere dell’autunno portano a un nuovo ennesimo anno di tentativi di ricostruzione della sinistra: da settembre in poi sarà tutto un fiorire di assemblee e riunioni generatrici di assemblee e riunioni. Considerando questo obiettivo nobile e desiderabile, intendo dare un contributo che metta in guardia dal ripetersi di situazioni che hanno generato la scomparsa della sinistra. Il dibattito ancora fervente sulla scomparsa della sinistra vede alcuni ricondurre il fatto a motivazioni di carattere ciclico e macroeconomico, e altri che invocano il concetto gramsciano di egemonia e cercano lumi nei cultural studies. Tutto questo aiuta l’autostima e occupa il tempo. E tuttavia allontana dalla spiegazione più ovvia del fenomeno: la selezione naturale. La sinistra è scomparsa perchè nelle sue riunioni si sono annidate sette tipologie di individui che vi hanno proliferato determinandone la fine. Conoscere queste tipologie è fondamentale per limitarne i futuri danni.
1 il disfattista
Il disfattista è presente a tutte le riunioni. È puntuale, spesso è il più puntuale. E non se ne va fino alla fine. Uno penserebbe che è appassionato, che ci crede, che ce ne fossero come lui. E invece no. Verso i tre quarti della riunione, quando in molti hanno già parlato e quando ormai parlando si è in grado di non esporsi direttamente con idee e proposte proprie ma di limitarsi a commentare quelle altri, lui prende la parola. E lo fa solennemente. Inizia con alcuni secondi di silenzio, atti a creare l’atmosfera. Si sfrega il volto con una mano, a ostentare perplessità e concentrazione. E poi: “mah”. Inizia così, chiarendo da subito di aver sentito fino a quel momento se non cazzate poco ci manca. E poi “qui ho sentito tante cose”. Segue un elenco denigratorio: chi vuole attaccare manifesti, chi vuole organizzare un sit in, chi vuole aprire un sito internet. Finito l’elenco, arriva la sentenza: tutto inutile. Da qui in poi, l’intervento è un lamento oscillante tra fatti privati e analisi geopolitica. Spaziando dall’esempio di una zia comunista da una vita e oggi diffidente di tutti tranne Don Matteo, si arriva alla crisi delle tigri asiatiche e alla prossima bolla dei futures. “E allora, compagni, ma di che stiamo parlando?”. L’intervento del disfattista si chiude così, nello sgomento generale.
2 La spectre
Il compagno della spectre arriva tardi. Si siede in un angolo. Non prende la parola. Sembra anche non ascoltare gli interventi altrui. Se lo fa, lo fa per pochi secondi, fissando insistentemente con gli occhi socchiusi il relatore come a dire “so cosa hai fatto”. Per il resto, consulta ossessivamente il suo smartphone o uno dei molti devices di cui il compagno della spectre è dotato. Alterna l’iperconnettività virtuale con session nel corridoio e nella sala attugua a quella nella quale si svolge la riunione. La riunione in sé è infatti sostanzialmente ininfluente per il compagno della spectre. Lui è lì per il corridoio e per la sala attigua, dove si apposta per placcare malcapitati di passaggio, magari qualcuno che vuole solo andare in bagno. La strategia del compagno della spectre è ricorrente. Avvicinatosi di soppiatto al malcapitato, finge di chiedergli un parere: “che ne pensi dell’intervento di Tizio?”. Il malcapitato meno smaliziato cadrà nel tranello e risponderà “beh, mi è piaciuto”, oppure “beh, non mi è piaciuto”. La risposta è ininfluente. Il compagno della spectre reagirà immancabilmente con una risatina di compatimento. Il significato è “povero idiota tu, che non sai niente”. Non lo dice, semmai chiede, “ah, ma scusa non lo sai perchè oggi Tizio è venuto qui a fare questo intervento?”. Ovviamente a questo punto il malcapitato capisce che il compagno della spectre è in possesso di informazioni che lui non ha, e che solo pochi eletti conoscono. Il compagno della spectre lascia intendere che quella ridicola riunione sia solo una facciata che copre un fittissimo reticolo massonico in cui pericolose guerre di palazzo si intrecciano con torbide vicende sessuali. Tizio, argomenterà il compagno della spectre, durante la pantera si scopava la donna di Caio (sì, spesso il compagno della spectre ha pure un linguaggio maschilista). “Ora lo ritroviamo qui insieme all’assessore Sempronio, ma tu lo sai del finanziamento all’associazione sua? Lo sai del viaggio in Belize?”. Spesso nel racconto vago, allusivo e contraddittorio del compagno della spectre ci finiscono anche i CARC e le guardie. Il malcapitato esce dall’incontro col compagno della spectre confuso e stupito, e non riuscirà più ad ascoltare la riunione con l’attitudine di una persona normale: e cioè dare per scontato che quando qualcuno dice qualcosa, intende proprio dire quello che sta dicendo.
3 Il dotto
Il dotto appartiene a una categoria simile a quella del disfattista. Simile, ma non coincidente. Il dotto infatti interviene anch’egli a fine dibattito, principalmente per esecrare la mancanza di preparazione che trasudava da ogni parola di tutti gli interventi che lo hanno preceduto. Il dotto infatti ascolta con attenzione ogni singolo compagno, prendendo freneticamente appunti sul retro di un volantino sostenuto da un volume degli editori riuniti che tiene sulle gambe accavallate. Quando prende la parola lo fa per sottolineare le aporie concettuali che copiose affliggevano gli interventi altrui. Il discorso è generalmente accompagnato dallo scuotimento del capo in segno di scoramento. Alla fine, sconsolato,il dotto risistemerà con il dito indice gli occhiali scesi sul naso e magnanimo sentenzierà che, con un gruppo dirigente tanto inadeguato, non c’era da aspettarsi molto di meglio dalla base. In tempi recenti le performances dotte hanno quale oggetto preferito il tema dell’euro e del debito pubblico. Una singolare legge di natura vuole che ogni riunione abbia un suo unico dotto, di modo che nessuno abbia mai assistito a uno scontro tra dotti, o a un dotto costretto ad argomentare le proprie tesi. Queste ultime sono solitamente esposte in forma apodittica: “solo gli stolti possono chiedere l’uscita dall’euro, con i drammatici effetti inflattivi che ne conseguirebbero e le tragiche conseguenze sulle classi popolari”. Oppure: “solo gli stolti possono sostenere la permanenza nell’euro, il cui inevitabile crollo sortirà tragici effetti sulle classi popolari”. La dimostrazione empirica, se presente, è generalmente affidata a eventi lontani nel tempo e nello spazio: un governo laburista inTanzania nel 1820, una reazione padronale nei paesi baltici. Non di rado si cita in quanto fondamentale un congresso del PCI, corredato da numero (sedicesimo, ottavo etc.) forse sparato a caso ma con la certezza che nessuno dei presenti sia in grado di dimostrarlo.
4 Il comiziante
Il comiziante è di tutte queste categorie forse la più innocua, ma certamente la più inspiegabile. L’unico pericolo recato dal comiziante è lo spreco di interminabili minuti. Egli, animato da ingenuità, entusiasmo o più probabilmente megalomania è tra i primi a prendere la parola. Spesso si alza, per sottolineare la propria performance con una gestualità appropriata. Esordisce con un “Compagni!” seguito da un silenzio tattico. Segue un infuocato discorso che parte dall’esecrazione delle politiche antipopolari che, una dopo l’altra, ci stanno sottraendo le conquiste di decenni di lotte operaie e democratiche. Prosegue con la difesa della Costituzione: è questo compagni che dobbiamo fare, sosterrà. Spesso mettendoci dentro un “piazza per piazza, strada per strada”, di berlingueriana memoria. Non manca un elenco di rivendicazioni: scuola pubblica, sanità gratuita, riduzione dell’orario di lavoro. Il comiziante a questo punto è paonazzo, guarda i volti degli astanti, beve un sorso d’acqua: è il momento di concludere. Le conclusioni rivendicano l’attualità del movimento operaio e l’esigenza di unire la sinistra: uniti si vince, divisi si perde. “Ho concluso compagni”, dice, e si siede tra applausi che evidentemente esistono solo nella sua immaginazione. Ora, di due cose il comiziante non si accorge o non si interessa. La prima è che le otto persone presenti alle 21 di un mercoledì presso la sezione “gramsci” di qualche partito di sinistra potrebbero non aver bisogno di farsi convincere di tutto questo. La seconda è l’ordine del giorno, che se anche riguardasse il fornitore della porchetta per la festa del partito non influenzerebbe affatto i contenuti dell’intervento del comiziante.
5 Il monotematico
Il monotematico è presente prevalentemente nelle occasioni fondative o nei più delicati passaggi congressuali. Quando, insomma,alla fine di giornate estenuanti tutto quello che si ottiene è un documento per punti. Questo non scoraggia il monotematico, che invece non cerca di meglio, ed è lì con uno scopo: illuminare gli altrimenti inconsapevoli interlocutori dell’assoluta, irrinunciabile, vitale centralità del tema di cui egli è appassionato. Quale sia il tema importa poco: esistono monotematici in ogni campo del sapere e dell’attività umana. Si spazia dai campi più sensati e credibili (la scuola, la sanità, la pace nel mondo) ai meno frequenti (apicoltura, macrobiotica, naturismo). Con prevedibilità assoluta, il monotematico ascolta lunghe ore di dibattito per poi intervenire in ora tarda proponendo due tipi di arringa, a seconda dei casi. Nel caso in cui il tema di sua proprietà sia stato toccato, il monotematico interverrà allo scopo di biasimare l’assoluta superficialità dell’approccio, peraltro anacronistico, con cui sitratta un così fondamentale tema. In particolare il monotematico esprimerà sdegno per l’uso di termini desueti in quanto discriminatori e politicamente scorrettissimi. Nel caso, ad esempio, delle politiche sanitarie, qualora venga usato il termine “paziente” o “malato” si starà contribuendo alla stigmatizzazione della diversità: verrà quindi proposto il termine corretto. Ma attenzione: il termine politicamente corretto può variare da corrente a corrente, e generalmente resta in uso per un paio di mesi, per poi essere considerato stigmatizzante e di conseguenza abbandonato. Di fatto, il monotematico non considererà mai corretto un termine utilizzato da altri che stiano invadendo il suo campo. Il secondo caso è però quello che il monotematico brama: quello cioè in cui il suo tema di pertinenza non viene affrontato. Questo offrirà l’occasione per la tanto attesa scena madre, che prendendo le mosse dall’accusa di collusione col nemico porterà al teatrale abbandono della sala e del percorso unitario a sinistra.
6 L’entusiasta
Quella dell’entusiasta è una categoria emersa nella storia recente della sinistra italiana. Non casualmente, l’entusiasta nasce contestualmente con l’impressionante sequenza di disfatte e disastri che abbiamo collezionato nell’ultima decade. La reazione dell’entusiasta è quella di rifiuto della realtà e di travisamento della stessa tramite l’utilizzo di aforismi paradossali quali “siamo un esercito di sognatori per questo siamo invincibili” nei momenti di più acuta débâcle. L’entusiasta ha costruito un castello di retorica volto a negare l’evidenza, o a dimostrare l’irrilevanza della realtà. Abusa del concetto di bellezza, applicandolo a sé stesso e al gruppo/collettivo/partito di cui fa parte o alla manifestazione/flashmob/convegno/occupazione che ha organizzato. Spesso ricorre alla poesia, incurante del fatto che non tutti se lo possano permettere. Alcuni entusiasti optano per esternazioni meno liriche e più da tifoseria, scandendo in coro “la gente come noi non molla mai” nel mentre subiscono pesanti cariche poliziesche o assistono a impietosi risultati elettorali. L’entusiasta definisce “sconfittismo” guardare i fatti per come sono, e tende a unirsi a altri entusiasti in gruppi ristretti, e tanto gli basta. A seguito di fatti di repressione, la sinistra odierna viene spesso contagiata da un fenomeno di auto-sopravvalutazione collettiva dovuta a entusiasmo immotivato, arrivando a esporre striscioni che recitano “e adesso picchiateci tutti”, col risultato di venire tutti picchiati.
7 La voce fuori dal coro
La voce fuori dal coro nella sinistra c’è sempre stata. Dai magnacucchi a Pasolini, la storia della sinistra è storia di conflitto, contestazione, critica corrosiva. Ecco, la voce fuori dal coro contemporanea non ha niente a che fare con tutto questo. Egli infatti agisce rivendicando tale nobile tradizione, asserendo di voler abbattere i “tabù della sinistra”. L’inconveniente è che arriva quando ormai tutti i tabù della sinistra sono in macerie da anni, il capitalismo trionfa indisturbato, e siamo qui storditi a chiederci come sia successo. La voce fuori dal coro invece si reca alle sparute riunioni della sinistra comportandosi come un libertario perseguitato dalla burocrazia del PCUS. Ha alcuni cavalli di battaglia. Ritiene la sinistra per sua natura moralista e retrograda e si incarica di una missione liberalizzatrice: épater le bourgeois. Il punto di inizio sono spesso i diritti civili e il garantismo. Fin qui rimarrà deluso dall’assenza di reazioni ostili. Adottando tattiche diverse, opterà per un climax reazionario che attraversa diverse fasi e ricorre a diverse argomentazioni: Cuba è una dittatura sanguinaria, il Venezuela vìola i diritti umani, i lavoratori dipendenti sono parassiti, i giovani non vogliono più il posto fisso, bisogna fare le riforme, il debito pubblico è la giusta punizione per lo stato sanguisuga. Talora nell’intento di abbattere presunti tabù della sinistra, la voce fuori dal coro arriva a rinnegare alcune regole basilari della convivenza civile quali la Costituzione, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le buone maniere. La voce fuori dal coro si aspetta reazioni inferocite dagli illiberali rappresentanti di una sinistra superata. E purtroppo, laddove occorrerebbe una sana indifferenza generale, non manca mai il compagno della spectre (vedi sopra) che vede confermate le proprie teorie sulla presenza di traditori, servi dei servi, infiltrati dei servizi. Ciò provoca nella voce fuori dal coro un piacere sublime. Questo è anzi il solo motivo per cui la voce fuori dal coro si reca in contesti di sinistra a spiegare a persone che già hanno tanti problemi che non si è di sinistra, oggi, se non si dicono cose di destra.
I sette individui che hanno distrutto la sinistra
|La fine dell’estate e l’incedere dell’autunno portano a un nuovo ennesimo anno di tentativi di ricostruzione della sinistra: da settembre in poi sarà tutto un fiorire di assemblee e riunioni generatrici di assemblee e riunioni. Considerando questo obiettivo nobile e desiderabile, intendo dare un contributo che metta in guardia dal ripetersi di situazioni che hanno generato la scomparsa della sinistra. Il dibattito ancora fervente sulla scomparsa della sinistra vede alcuni ricondurre il fatto a motivazioni di carattere ciclico e macroeconomico, e altri che invocano il concetto gramsciano di egemonia e cercano lumi nei cultural studies. Tutto questo aiuta l’autostima e occupa il tempo. E tuttavia allontana dalla spiegazione più ovvia del fenomeno: la selezione naturale. La sinistra è scomparsa perchè nelle sue riunioni si sono annidate sette tipologie di individui che vi hanno proliferato determinandone la fine. Conoscere queste tipologie è fondamentale per limitarne i futuri danni.
1 il disfattista
Il disfattista è presente a tutte le riunioni. È puntuale, spesso è il più puntuale. E non se ne va fino alla fine. Uno penserebbe che è appassionato, che ci crede, che ce ne fossero come lui. E invece no. Verso i tre quarti della riunione, quando in molti hanno già parlato e quando ormai parlando si è in grado di non esporsi direttamente con idee e proposte proprie ma di limitarsi a commentare quelle altri, lui prende la parola. E lo fa solennemente. Inizia con alcuni secondi di silenzio, atti a creare l’atmosfera. Si sfrega il volto con una mano, a ostentare perplessità e concentrazione. E poi: “mah”. Inizia così, chiarendo da subito di aver sentito fino a quel momento se non cazzate poco ci manca. E poi “qui ho sentito tante cose”. Segue un elenco denigratorio: chi vuole attaccare manifesti, chi vuole organizzare un sit in, chi vuole aprire un sito internet. Finito l’elenco, arriva la sentenza: tutto inutile. Da qui in poi, l’intervento è un lamento oscillante tra fatti privati e analisi geopolitica. Spaziando dall’esempio di una zia comunista da una vita e oggi diffidente di tutti tranne Don Matteo, si arriva alla crisi delle tigri asiatiche e alla prossima bolla dei futures. “E allora, compagni, ma di che stiamo parlando?”. L’intervento del disfattista si chiude così, nello sgomento generale.
2 La spectre
Il compagno della spectre arriva tardi. Si siede in un angolo. Non prende la parola. Sembra anche non ascoltare gli interventi altrui. Se lo fa, lo fa per pochi secondi, fissando insistentemente con gli occhi socchiusi il relatore come a dire “so cosa hai fatto”. Per il resto, consulta ossessivamente il suo smartphone o uno dei molti devices di cui il compagno della spectre è dotato. Alterna l’iperconnettività virtuale con session nel corridoio e nella sala attugua a quella nella quale si svolge la riunione. La riunione in sé è infatti sostanzialmente ininfluente per il compagno della spectre. Lui è lì per il corridoio e per la sala attigua, dove si apposta per placcare malcapitati di passaggio, magari qualcuno che vuole solo andare in bagno. La strategia del compagno della spectre è ricorrente. Avvicinatosi di soppiatto al malcapitato, finge di chiedergli un parere: “che ne pensi dell’intervento di Tizio?”. Il malcapitato meno smaliziato cadrà nel tranello e risponderà “beh, mi è piaciuto”, oppure “beh, non mi è piaciuto”. La risposta è ininfluente. Il compagno della spectre reagirà immancabilmente con una risatina di compatimento. Il significato è “povero idiota tu, che non sai niente”. Non lo dice, semmai chiede, “ah, ma scusa non lo sai perchè oggi Tizio è venuto qui a fare questo intervento?”. Ovviamente a questo punto il malcapitato capisce che il compagno della spectre è in possesso di informazioni che lui non ha, e che solo pochi eletti conoscono. Il compagno della spectre lascia intendere che quella ridicola riunione sia solo una facciata che copre un fittissimo reticolo massonico in cui pericolose guerre di palazzo si intrecciano con torbide vicende sessuali. Tizio, argomenterà il compagno della spectre, durante la pantera si scopava la donna di Caio (sì, spesso il compagno della spectre ha pure un linguaggio maschilista). “Ora lo ritroviamo qui insieme all’assessore Sempronio, ma tu lo sai del finanziamento all’associazione sua? Lo sai del viaggio in Belize?”. Spesso nel racconto vago, allusivo e contraddittorio del compagno della spectre ci finiscono anche i CARC e le guardie. Il malcapitato esce dall’incontro col compagno della spectre confuso e stupito, e non riuscirà più ad ascoltare la riunione con l’attitudine di una persona normale: e cioè dare per scontato che quando qualcuno dice qualcosa, intende proprio dire quello che sta dicendo.
3 Il dotto
Il dotto appartiene a una categoria simile a quella del disfattista. Simile, ma non coincidente. Il dotto infatti interviene anch’egli a fine dibattito, principalmente per esecrare la mancanza di preparazione che trasudava da ogni parola di tutti gli interventi che lo hanno preceduto. Il dotto infatti ascolta con attenzione ogni singolo compagno, prendendo freneticamente appunti sul retro di un volantino sostenuto da un volume degli editori riuniti che tiene sulle gambe accavallate. Quando prende la parola lo fa per sottolineare le aporie concettuali che copiose affliggevano gli interventi altrui. Il discorso è generalmente accompagnato dallo scuotimento del capo in segno di scoramento. Alla fine, sconsolato,il dotto risistemerà con il dito indice gli occhiali scesi sul naso e magnanimo sentenzierà che, con un gruppo dirigente tanto inadeguato, non c’era da aspettarsi molto di meglio dalla base. In tempi recenti le performances dotte hanno quale oggetto preferito il tema dell’euro e del debito pubblico. Una singolare legge di natura vuole che ogni riunione abbia un suo unico dotto, di modo che nessuno abbia mai assistito a uno scontro tra dotti, o a un dotto costretto ad argomentare le proprie tesi. Queste ultime sono solitamente esposte in forma apodittica: “solo gli stolti possono chiedere l’uscita dall’euro, con i drammatici effetti inflattivi che ne conseguirebbero e le tragiche conseguenze sulle classi popolari”. Oppure: “solo gli stolti possono sostenere la permanenza nell’euro, il cui inevitabile crollo sortirà tragici effetti sulle classi popolari”. La dimostrazione empirica, se presente, è generalmente affidata a eventi lontani nel tempo e nello spazio: un governo laburista inTanzania nel 1820, una reazione padronale nei paesi baltici. Non di rado si cita in quanto fondamentale un congresso del PCI, corredato da numero (sedicesimo, ottavo etc.) forse sparato a caso ma con la certezza che nessuno dei presenti sia in grado di dimostrarlo.
4 Il comiziante
Il comiziante è di tutte queste categorie forse la più innocua, ma certamente la più inspiegabile. L’unico pericolo recato dal comiziante è lo spreco di interminabili minuti. Egli, animato da ingenuità, entusiasmo o più probabilmente megalomania è tra i primi a prendere la parola. Spesso si alza, per sottolineare la propria performance con una gestualità appropriata. Esordisce con un “Compagni!” seguito da un silenzio tattico. Segue un infuocato discorso che parte dall’esecrazione delle politiche antipopolari che, una dopo l’altra, ci stanno sottraendo le conquiste di decenni di lotte operaie e democratiche. Prosegue con la difesa della Costituzione: è questo compagni che dobbiamo fare, sosterrà. Spesso mettendoci dentro un “piazza per piazza, strada per strada”, di berlingueriana memoria. Non manca un elenco di rivendicazioni: scuola pubblica, sanità gratuita, riduzione dell’orario di lavoro. Il comiziante a questo punto è paonazzo, guarda i volti degli astanti, beve un sorso d’acqua: è il momento di concludere. Le conclusioni rivendicano l’attualità del movimento operaio e l’esigenza di unire la sinistra: uniti si vince, divisi si perde. “Ho concluso compagni”, dice, e si siede tra applausi che evidentemente esistono solo nella sua immaginazione. Ora, di due cose il comiziante non si accorge o non si interessa. La prima è che le otto persone presenti alle 21 di un mercoledì presso la sezione “gramsci” di qualche partito di sinistra potrebbero non aver bisogno di farsi convincere di tutto questo. La seconda è l’ordine del giorno, che se anche riguardasse il fornitore della porchetta per la festa del partito non influenzerebbe affatto i contenuti dell’intervento del comiziante.
5 Il monotematico
Il monotematico è presente prevalentemente nelle occasioni fondative o nei più delicati passaggi congressuali. Quando, insomma,alla fine di giornate estenuanti tutto quello che si ottiene è un documento per punti. Questo non scoraggia il monotematico, che invece non cerca di meglio, ed è lì con uno scopo: illuminare gli altrimenti inconsapevoli interlocutori dell’assoluta, irrinunciabile, vitale centralità del tema di cui egli è appassionato. Quale sia il tema importa poco: esistono monotematici in ogni campo del sapere e dell’attività umana. Si spazia dai campi più sensati e credibili (la scuola, la sanità, la pace nel mondo) ai meno frequenti (apicoltura, macrobiotica, naturismo). Con prevedibilità assoluta, il monotematico ascolta lunghe ore di dibattito per poi intervenire in ora tarda proponendo due tipi di arringa, a seconda dei casi. Nel caso in cui il tema di sua proprietà sia stato toccato, il monotematico interverrà allo scopo di biasimare l’assoluta superficialità dell’approccio, peraltro anacronistico, con cui sitratta un così fondamentale tema. In particolare il monotematico esprimerà sdegno per l’uso di termini desueti in quanto discriminatori e politicamente scorrettissimi. Nel caso, ad esempio, delle politiche sanitarie, qualora venga usato il termine “paziente” o “malato” si starà contribuendo alla stigmatizzazione della diversità: verrà quindi proposto il termine corretto. Ma attenzione: il termine politicamente corretto può variare da corrente a corrente, e generalmente resta in uso per un paio di mesi, per poi essere considerato stigmatizzante e di conseguenza abbandonato. Di fatto, il monotematico non considererà mai corretto un termine utilizzato da altri che stiano invadendo il suo campo. Il secondo caso è però quello che il monotematico brama: quello cioè in cui il suo tema di pertinenza non viene affrontato. Questo offrirà l’occasione per la tanto attesa scena madre, che prendendo le mosse dall’accusa di collusione col nemico porterà al teatrale abbandono della sala e del percorso unitario a sinistra.
6 L’entusiasta
Quella dell’entusiasta è una categoria emersa nella storia recente della sinistra italiana. Non casualmente, l’entusiasta nasce contestualmente con l’impressionante sequenza di disfatte e disastri che abbiamo collezionato nell’ultima decade. La reazione dell’entusiasta è quella di rifiuto della realtà e di travisamento della stessa tramite l’utilizzo di aforismi paradossali quali “siamo un esercito di sognatori per questo siamo invincibili” nei momenti di più acuta débâcle. L’entusiasta ha costruito un castello di retorica volto a negare l’evidenza, o a dimostrare l’irrilevanza della realtà. Abusa del concetto di bellezza, applicandolo a sé stesso e al gruppo/collettivo/partito di cui fa parte o alla manifestazione/flashmob/convegno/occupazione che ha organizzato. Spesso ricorre alla poesia, incurante del fatto che non tutti se lo possano permettere. Alcuni entusiasti optano per esternazioni meno liriche e più da tifoseria, scandendo in coro “la gente come noi non molla mai” nel mentre subiscono pesanti cariche poliziesche o assistono a impietosi risultati elettorali. L’entusiasta definisce “sconfittismo” guardare i fatti per come sono, e tende a unirsi a altri entusiasti in gruppi ristretti, e tanto gli basta. A seguito di fatti di repressione, la sinistra odierna viene spesso contagiata da un fenomeno di auto-sopravvalutazione collettiva dovuta a entusiasmo immotivato, arrivando a esporre striscioni che recitano “e adesso picchiateci tutti”, col risultato di venire tutti picchiati.
7 La voce fuori dal coro
La voce fuori dal coro nella sinistra c’è sempre stata. Dai magnacucchi a Pasolini, la storia della sinistra è storia di conflitto, contestazione, critica corrosiva. Ecco, la voce fuori dal coro contemporanea non ha niente a che fare con tutto questo. Egli infatti agisce rivendicando tale nobile tradizione, asserendo di voler abbattere i “tabù della sinistra”. L’inconveniente è che arriva quando ormai tutti i tabù della sinistra sono in macerie da anni, il capitalismo trionfa indisturbato, e siamo qui storditi a chiederci come sia successo. La voce fuori dal coro invece si reca alle sparute riunioni della sinistra comportandosi come un libertario perseguitato dalla burocrazia del PCUS. Ha alcuni cavalli di battaglia. Ritiene la sinistra per sua natura moralista e retrograda e si incarica di una missione liberalizzatrice: épater le bourgeois. Il punto di inizio sono spesso i diritti civili e il garantismo. Fin qui rimarrà deluso dall’assenza di reazioni ostili. Adottando tattiche diverse, opterà per un climax reazionario che attraversa diverse fasi e ricorre a diverse argomentazioni: Cuba è una dittatura sanguinaria, il Venezuela vìola i diritti umani, i lavoratori dipendenti sono parassiti, i giovani non vogliono più il posto fisso, bisogna fare le riforme, il debito pubblico è la giusta punizione per lo stato sanguisuga. Talora nell’intento di abbattere presunti tabù della sinistra, la voce fuori dal coro arriva a rinnegare alcune regole basilari della convivenza civile quali la Costituzione, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le buone maniere. La voce fuori dal coro si aspetta reazioni inferocite dagli illiberali rappresentanti di una sinistra superata. E purtroppo, laddove occorrerebbe una sana indifferenza generale, non manca mai il compagno della spectre (vedi sopra) che vede confermate le proprie teorie sulla presenza di traditori, servi dei servi, infiltrati dei servizi. Ciò provoca nella voce fuori dal coro un piacere sublime. Questo è anzi il solo motivo per cui la voce fuori dal coro si reca in contesti di sinistra a spiegare a persone che già hanno tanti problemi che non si è di sinistra, oggi, se non si dicono cose di destra.
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I sette individui che hanno distrutto la sinistra
|La fine dell’estate e l’incedere dell’autunno portano a un nuovo ennesimo anno di tentativi di ricostruzione della sinistra: da settembre in poi sarà tutto un fiorire di assemblee e riunioni generatrici di assemblee e riunioni. Considerando questo obiettivo nobile e desiderabile, intendo dare un contributo che metta in guardia dal ripetersi di situazioni che hanno generato la scomparsa della sinistra. Il dibattito ancora fervente sulla scomparsa della sinistra vede alcuni ricondurre il fatto a motivazioni di carattere ciclico e macroeconomico, e altri che invocano il concetto gramsciano di egemonia e cercano lumi nei cultural studies. Tutto questo aiuta l’autostima e occupa il tempo. E tuttavia allontana dalla spiegazione più ovvia del fenomeno: la selezione naturale. La sinistra è scomparsa perchè nelle sue riunioni si sono annidate sette tipologie di individui che vi hanno proliferato determinandone la fine. Conoscere queste tipologie è fondamentale per limitarne i futuri danni.
1 il disfattista
Il disfattista è presente a tutte le riunioni. È puntuale, spesso è il più puntuale. E non se ne va fino alla fine. Uno penserebbe che è appassionato, che ci crede, che ce ne fossero come lui. E invece no. Verso i tre quarti della riunione, quando in molti hanno già parlato e quando ormai parlando si è in grado di non esporsi direttamente con idee e proposte proprie ma di limitarsi a commentare quelle altri, lui prende la parola. E lo fa solennemente. Inizia con alcuni secondi di silenzio, atti a creare l’atmosfera. Si sfrega il volto con una mano, a ostentare perplessità e concentrazione. E poi: “mah”. Inizia così, chiarendo da subito di aver sentito fino a quel momento se non cazzate poco ci manca. E poi “qui ho sentito tante cose”. Segue un elenco denigratorio: chi vuole attaccare manifesti, chi vuole organizzare un sit in, chi vuole aprire un sito internet. Finito l’elenco, arriva la sentenza: tutto inutile. Da qui in poi, l’intervento è un lamento oscillante tra fatti privati e analisi geopolitica. Spaziando dall’esempio di una zia comunista da una vita e oggi diffidente di tutti tranne Don Matteo, si arriva alla crisi delle tigri asiatiche e alla prossima bolla dei futures. “E allora, compagni, ma di che stiamo parlando?”. L’intervento del disfattista si chiude così, nello sgomento generale.
2 La spectre
Il compagno della spectre arriva tardi. Si siede in un angolo. Non prende la parola. Sembra anche non ascoltare gli interventi altrui. Se lo fa, lo fa per pochi secondi, fissando insistentemente con gli occhi socchiusi il relatore come a dire “so cosa hai fatto”. Per il resto, consulta ossessivamente il suo smartphone o uno dei molti devices di cui il compagno della spectre è dotato. Alterna l’iperconnettività virtuale con session nel corridoio e nella sala attugua a quella nella quale si svolge la riunione. La riunione in sé è infatti sostanzialmente ininfluente per il compagno della spectre. Lui è lì per il corridoio e per la sala attigua, dove si apposta per placcare malcapitati di passaggio, magari qualcuno che vuole solo andare in bagno. La strategia del compagno della spectre è ricorrente. Avvicinatosi di soppiatto al malcapitato, finge di chiedergli un parere: “che ne pensi dell’intervento di Tizio?”. Il malcapitato meno smaliziato cadrà nel tranello e risponderà “beh, mi è piaciuto”, oppure “beh, non mi è piaciuto”. La risposta è ininfluente. Il compagno della spectre reagirà immancabilmente con una risatina di compatimento. Il significato è “povero idiota tu, che non sai niente”. Non lo dice, semmai chiede, “ah, ma scusa non lo sai perchè oggi Tizio è venuto qui a fare questo intervento?”. Ovviamente a questo punto il malcapitato capisce che il compagno della spectre è in possesso di informazioni che lui non ha, e che solo pochi eletti conoscono. Il compagno della spectre lascia intendere che quella ridicola riunione sia solo una facciata che copre un fittissimo reticolo massonico in cui pericolose guerre di palazzo si intrecciano con torbide vicende sessuali. Tizio, argomenterà il compagno della spectre, durante la pantera si scopava la donna di Caio (sì, spesso il compagno della spectre ha pure un linguaggio maschilista). “Ora lo ritroviamo qui insieme all’assessore Sempronio, ma tu lo sai del finanziamento all’associazione sua? Lo sai del viaggio in Belize?”. Spesso nel racconto vago, allusivo e contraddittorio del compagno della spectre ci finiscono anche i CARC e le guardie. Il malcapitato esce dall’incontro col compagno della spectre confuso e stupito, e non riuscirà più ad ascoltare la riunione con l’attitudine di una persona normale: e cioè dare per scontato che quando qualcuno dice qualcosa, intende proprio dire quello che sta dicendo.
3 Il dotto
Il dotto appartiene a una categoria simile a quella del disfattista. Simile, ma non coincidente. Il dotto infatti interviene anch’egli a fine dibattito, principalmente per esecrare la mancanza di preparazione che trasudava da ogni parola di tutti gli interventi che lo hanno preceduto. Il dotto infatti ascolta con attenzione ogni singolo compagno, prendendo freneticamente appunti sul retro di un volantino sostenuto da un volume degli editori riuniti che tiene sulle gambe accavallate. Quando prende la parola lo fa per sottolineare le aporie concettuali che copiose affliggevano gli interventi altrui. Il discorso è generalmente accompagnato dallo scuotimento del capo in segno di scoramento. Alla fine, sconsolato,il dotto risistemerà con il dito indice gli occhiali scesi sul naso e magnanimo sentenzierà che, con un gruppo dirigente tanto inadeguato, non c’era da aspettarsi molto di meglio dalla base. In tempi recenti le performances dotte hanno quale oggetto preferito il tema dell’euro e del debito pubblico. Una singolare legge di natura vuole che ogni riunione abbia un suo unico dotto, di modo che nessuno abbia mai assistito a uno scontro tra dotti, o a un dotto costretto ad argomentare le proprie tesi. Queste ultime sono solitamente esposte in forma apodittica: “solo gli stolti possono chiedere l’uscita dall’euro, con i drammatici effetti inflattivi che ne conseguirebbero e le tragiche conseguenze sulle classi popolari”. Oppure: “solo gli stolti possono sostenere la permanenza nell’euro, il cui inevitabile crollo sortirà tragici effetti sulle classi popolari”. La dimostrazione empirica, se presente, è generalmente affidata a eventi lontani nel tempo e nello spazio: un governo laburista inTanzania nel 1820, una reazione padronale nei paesi baltici. Non di rado si cita in quanto fondamentale un congresso del PCI, corredato da numero (sedicesimo, ottavo etc.) forse sparato a caso ma con la certezza che nessuno dei presenti sia in grado di dimostrarlo.
4 Il comiziante
Il comiziante è di tutte queste categorie forse la più innocua, ma certamente la più inspiegabile. L’unico pericolo recato dal comiziante è lo spreco di interminabili minuti. Egli, animato da ingenuità, entusiasmo o più probabilmente megalomania è tra i primi a prendere la parola. Spesso si alza, per sottolineare la propria performance con una gestualità appropriata. Esordisce con un “Compagni!” seguito da un silenzio tattico. Segue un infuocato discorso che parte dall’esecrazione delle politiche antipopolari che, una dopo l’altra, ci stanno sottraendo le conquiste di decenni di lotte operaie e democratiche. Prosegue con la difesa della Costituzione: è questo compagni che dobbiamo fare, sosterrà. Spesso mettendoci dentro un “piazza per piazza, strada per strada”, di berlingueriana memoria. Non manca un elenco di rivendicazioni: scuola pubblica, sanità gratuita, riduzione dell’orario di lavoro. Il comiziante a questo punto è paonazzo, guarda i volti degli astanti, beve un sorso d’acqua: è il momento di concludere. Le conclusioni rivendicano l’attualità del movimento operaio e l’esigenza di unire la sinistra: uniti si vince, divisi si perde. “Ho concluso compagni”, dice, e si siede tra applausi che evidentemente esistono solo nella sua immaginazione. Ora, di due cose il comiziante non si accorge o non si interessa. La prima è che le otto persone presenti alle 21 di un mercoledì presso la sezione “gramsci” di qualche partito di sinistra potrebbero non aver bisogno di farsi convincere di tutto questo. La seconda è l’ordine del giorno, che se anche riguardasse il fornitore della porchetta per la festa del partito non influenzerebbe affatto i contenuti dell’intervento del comiziante.
5 Il monotematico
Il monotematico è presente prevalentemente nelle occasioni fondative o nei più delicati passaggi congressuali. Quando, insomma,alla fine di giornate estenuanti tutto quello che si ottiene è un documento per punti. Questo non scoraggia il monotematico, che invece non cerca di meglio, ed è lì con uno scopo: illuminare gli altrimenti inconsapevoli interlocutori dell’assoluta, irrinunciabile, vitale centralità del tema di cui egli è appassionato. Quale sia il tema importa poco: esistono monotematici in ogni campo del sapere e dell’attività umana. Si spazia dai campi più sensati e credibili (la scuola, la sanità, la pace nel mondo) ai meno frequenti (apicoltura, macrobiotica, naturismo). Con prevedibilità assoluta, il monotematico ascolta lunghe ore di dibattito per poi intervenire in ora tarda proponendo due tipi di arringa, a seconda dei casi. Nel caso in cui il tema di sua proprietà sia stato toccato, il monotematico interverrà allo scopo di biasimare l’assoluta superficialità dell’approccio, peraltro anacronistico, con cui sitratta un così fondamentale tema. In particolare il monotematico esprimerà sdegno per l’uso di termini desueti in quanto discriminatori e politicamente scorrettissimi. Nel caso, ad esempio, delle politiche sanitarie, qualora venga usato il termine “paziente” o “malato” si starà contribuendo alla stigmatizzazione della diversità: verrà quindi proposto il termine corretto. Ma attenzione: il termine politicamente corretto può variare da corrente a corrente, e generalmente resta in uso per un paio di mesi, per poi essere considerato stigmatizzante e di conseguenza abbandonato. Di fatto, il monotematico non considererà mai corretto un termine utilizzato da altri che stiano invadendo il suo campo. Il secondo caso è però quello che il monotematico brama: quello cioè in cui il suo tema di pertinenza non viene affrontato. Questo offrirà l’occasione per la tanto attesa scena madre, che prendendo le mosse dall’accusa di collusione col nemico porterà al teatrale abbandono della sala e del percorso unitario a sinistra.
6 L’entusiasta
Quella dell’entusiasta è una categoria emersa nella storia recente della sinistra italiana. Non casualmente, l’entusiasta nasce contestualmente con l’impressionante sequenza di disfatte e disastri che abbiamo collezionato nell’ultima decade. La reazione dell’entusiasta è quella di rifiuto della realtà e di travisamento della stessa tramite l’utilizzo di aforismi paradossali quali “siamo un esercito di sognatori per questo siamo invincibili” nei momenti di più acuta débâcle. L’entusiasta ha costruito un castello di retorica volto a negare l’evidenza, o a dimostrare l’irrilevanza della realtà. Abusa del concetto di bellezza, applicandolo a sé stesso e al gruppo/collettivo/partito di cui fa parte o alla manifestazione/flashmob/convegno/occupazione che ha organizzato. Spesso ricorre alla poesia, incurante del fatto che non tutti se lo possano permettere. Alcuni entusiasti optano per esternazioni meno liriche e più da tifoseria, scandendo in coro “la gente come noi non molla mai” nel mentre subiscono pesanti cariche poliziesche o assistono a impietosi risultati elettorali. L’entusiasta definisce “sconfittismo” guardare i fatti per come sono, e tende a unirsi a altri entusiasti in gruppi ristretti, e tanto gli basta. A seguito di fatti di repressione, la sinistra odierna viene spesso contagiata da un fenomeno di auto-sopravvalutazione collettiva dovuta a entusiasmo immotivato, arrivando a esporre striscioni che recitano “e adesso picchiateci tutti”, col risultato di venire tutti picchiati.
7 La voce fuori dal coro
La voce fuori dal coro nella sinistra c’è sempre stata. Dai magnacucchi a Pasolini, la storia della sinistra è storia di conflitto, contestazione, critica corrosiva. Ecco, la voce fuori dal coro contemporanea non ha niente a che fare con tutto questo. Egli infatti agisce rivendicando tale nobile tradizione, asserendo di voler abbattere i “tabù della sinistra”. L’inconveniente è che arriva quando ormai tutti i tabù della sinistra sono in macerie da anni, il capitalismo trionfa indisturbato, e siamo qui storditi a chiederci come sia successo. La voce fuori dal coro invece si reca alle sparute riunioni della sinistra comportandosi come un libertario perseguitato dalla burocrazia del PCUS. Ha alcuni cavalli di battaglia. Ritiene la sinistra per sua natura moralista e retrograda e si incarica di una missione liberalizzatrice: épater le bourgeois. Il punto di inizio sono spesso i diritti civili e il garantismo. Fin qui rimarrà deluso dall’assenza di reazioni ostili. Adottando tattiche diverse, opterà per un climax reazionario che attraversa diverse fasi e ricorre a diverse argomentazioni: Cuba è una dittatura sanguinaria, il Venezuela vìola i diritti umani, i lavoratori dipendenti sono parassiti, i giovani non vogliono più il posto fisso, bisogna fare le riforme, il debito pubblico è la giusta punizione per lo stato sanguisuga. Talora nell’intento di abbattere presunti tabù della sinistra, la voce fuori dal coro arriva a rinnegare alcune regole basilari della convivenza civile quali la Costituzione, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e le buone maniere. La voce fuori dal coro si aspetta reazioni inferocite dagli illiberali rappresentanti di una sinistra superata. E purtroppo, laddove occorrerebbe una sana indifferenza generale, non manca mai il compagno della spectre (vedi sopra) che vede confermate le proprie teorie sulla presenza di traditori, servi dei servi, infiltrati dei servizi. Ciò provoca nella voce fuori dal coro un piacere sublime. Questo è anzi il solo motivo per cui la voce fuori dal coro si reca in contesti di sinistra a spiegare a persone che già hanno tanti problemi che non si è di sinistra, oggi, se non si dicono cose di destra.
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