di Alfredo Morganti – 21 gennaio 2019
Giorni addietro Luigi Di Maio ha salutato il reddito di cittadinanza come una specie di rivoluzione del welfare. Esso sarebbe, nientepopodimeno, che il mattone di un nuovo Stato assistenziale che aiuta le persone in difficoltà e le mette al centro del mondo del lavoro. In cosa consisterebbe il nuovo welfare? Nel sostegno diretto e pecuniario agli individui in difficoltà, purché disposti a sottoporsi a programmi di formazione o a rispondere alle chiamate di lavoro (di un lavoro che non c’è, peraltro). Ho detto ‘individui’ non a caso. Perché lo Stato qui vede solo individui a cui versa ‘quanto basta’ per accedere al mercato in termini più vantaggiosi. Non c’è alcun afflato sociale. Il nuovo welfare è roba ‘diretta’, uno scambio, niente più: do ut des. Ti do affinché tu dia. La prova? Sempre Di Maio afferma che chi non spende i soldi entro un mese li perderà. Perché? Perché il reddito di cittadinanza deve iniettare nell’economia i miliardi che si stanziano a suo favore. E deve farlo, presto, a scadenza, quasi meccanicamente. Il povero appare, dunque, come una specie di bancomat, che prende denaro dallo Stato compassionevole, per redistribuirlo subito sul mercato. Do ut des, appunto.
Provvedimento di sinistra? Eppure è evidente che il nuovo welfare citato da Di Maio non è altro che la costruzione di un rapporto diretto dello Stato con l’individuo povero, un flusso di denaro che deve rimbalzare sul portafoglio di quest’ultimo e planare sul mercato. È questa la ricchezza destinata a sconfiggere la povertà? Se lo è, è solo in termini individuali, personali. Perché qui davvero la società non esiste. E se la società non esiste, non esiste nemmeno il welfare inteso come dispositivo che cerca di dare uno spessore ‘sociale’ alla ridistribuzione delle ricchezze. Tanto più che il sostegno ai poveri avviene nello smantellamento del ‘vecchio’ Stato sociale. Tagli alla sanità, alla formazione, all’istruzione in cambio di prebende individuali indirizzate ai più colpiti dai tagli stessi. Dov’è la sinistra qui? Non lo so. ‘Sinistra’ sarebbe stato creare ricchezza sociale (scuole, servizi, ospedali, cura, assistenza pubblica) non dilapidarla per ingenerare flussi di denaro pubblico verso la base più disagiata della piramide sociale. La scarpa di Achille Lauro sostituisce, insomma, l’assistenza sanitaria o l’istruzione per tutti. Il nuovo welfare avrebbe dovuto ridurre i tempi di attesa nella sanità pubblica, avrebbe dovuto salvaguardare l’istruzione o creare una rete di assistenza sociale efficiente verso gli ultimi. Non pagare con i soldi pubblici le campagne elettorali.
Un individuo con 780 euro mensili non potrebbe mai fare privatamente una TAC total-body, che costa anche 1000 euro, ma avrebbe diritto a rivolgersi al punto di cura pubblico e prenotarne una con tempi di attesa congrui: ricchezza (poca o nulla) individuale contro tanta, ma tanta ricchezza sociale. E invece si è preferita la carità pubblica, come solo presso gli Stati neoliberali avviene, dove si smonta la sanità pubblica, si agevola lo sviluppo di quella privata e si ‘allungano’ spiccioli ai più poveri e diseredati, nel principale intento di cavarne guadagni personali (in termini di consenso elettorale) o collettivi (smorzare eventuali sommosse ingenerate dagli affetti più rimarchevoli della povertà). Sinistra? Ma quando mai. Effetto bancomat, questo sì. Effetto di rimbalzo che usa i poveri come sponde per innaffiare il mercato subito, di corsa, oggi stesso. Altrimenti i soldi te li tolgo. Come si batte la povertà allora? Non allungando il braccio verso una mano aperta, ma accrescendo la ricchezza pubblica, sociale, collettiva, a cui i più disagiati possano attingere e combattere così la propria povertà. Ovviamente deve trattarsi di sanità pubblica funzionante, istruzione pubblica qualificata, servizi efficienti, assistenza sociale attiva: questi sono obiettivi di sinistra in una società dalle profonde disparità e disuguaglianze. Non il bancomatismo. Si tratta dell’ABC, non scherzo. Eppure in troppi se lo sono dimenticato. Le risorse? Dalle imposte progressive e dai patrimoni dei ricchi vengono le risorse per i poveri. Ed è così che la società diventa più giusta e coesa, facendo felici tutti, a partire da chi si sente più insicuro.