di Alfredo Morganti – 12 settembre 2017
Oggi Stefano Folli su ‘Repubblica’ offre alcuni spunti, e almeno due di particolare interesse. Scrive: “Il rischio che si finisca a combattere i populisti con il populismo non è così remoto”. Anzi, direi che è davanti ai nostri occhi, vivo e presente. È in corso una gara a chi la mena più lunga sui ‘neri’, i ‘rifugiati’, gli ‘africani’, divenuti sempre più ingombranti, al punto da nasconderli nei campi di contenimento libici. Lo ha fatto il governo, mica Salvini che pure plaude! Ma è da anni che siamo anche assordati dalla tiritera delle tasse: meno tasse per tutti, due scaglioni soltanto, flat tax e comunque riduzione se non cancellazione della progressività costituzionale. Immigrazione e tasse: qui il populismo e la demagogia picchiano duro, e impongono questa orribile agenda al Paese. Lo fa il governo, rincorrendo le opposizioni, in una gara altamente competitiva. Il rischio che paventa Folli è dunque già realtà.
Ma lo stesso opinionista fa pure un’altra osservazione. Dice che tutti si comportano “come se prevedessero un Parlamento non governabile, nel quale conta attrezzarsi per una lunga guerra di posizione”. Anche questo è vero. Siamo passati da: ‘chi vince prende tutto il cucuzzaro’ (à la Renzi) a ‘non vince nessuno, si pareggia, e dunque avanti con i pateracchi istituzionali e gli accordicchi’. Folli presenta l’immagine di un Parlamento sottoposto a guerra di posizione, come nelle trincee, in un finto movimento tattico quotidiano, di scarsa prospettiva politica. È così? È così se si adotta una categoria oggi molto in voga (“vincere”) e se si ritiene il Parlamento una specie di cloaca grigia e compromissoria. Ma se provassimo ad adottare altre categorie (quella della “forza” e quella della “rappresentanza”) forse restituiremmo al Parlamento l’onore che gli abbiamo tolto in questi decenni di Seconda Repubblica.
Oggi si ritiene che il governo sia tutto, meglio se tecnico, ‘largo’, understatement à la Gentiloni, piuttosto che caciarone à la Renzi. La centralità ‘maggioritaria’ dell’esecutivo è un’idea perniciosa, frutto di venticinque anni di verticalizzazione del potere e di folle governismo. Se ribaltassimo il concetto forse quadreremmo il cerchio malato di questa lunga e profonda crisi politico-istituzionale. Proviamo a pensare che il governo sia espresso da un Parlamento rappresentativo e laborioso. Che la ‘guerra di posizione’ sia normale vita istituzionale laddove non vi siano maggioranze bulgare, cioè quasi sempre. E la politica un conflitto regolato, un confronto tra partiti non tra ‘fronti’ o ‘poli’ con l’elmetto calato, confronto che potrebbe essere (ed è) anche duro e senza esclusione di colpi. Perché la responsabilità politica non risiede nel comandare indisturbati il Paese per 5 anni come se tutto il resto non esistesse, al più incamerandolo pezzo a pezzo. Ma è la capacità di guidare processi lunghi e restituire centralità alla rappresentanza del Paese, ovviamente senza subire i diktat di ‘popoli’ dalle maniere spicce e spesso razziste. Senza questa inversione a ‘U’, Folli ha un bel dire. Sinché si scambierà il Parlamento per un palude, la palude vera, quella di chi gira a vuoto, ci terrà ancora prigionieri.