I NUOVI VERTICI EUROPEI – UNA PERFORMANCE DA PALCOSCENICO

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Kesiana Lekbello
Fonte: Minima Cardiniana

I NUOVI VERTICI EUROPEI
UNA PERFORMANCE DA PALCOSCENICO

Fermiamo l’estrema destra sovranista. Radicalizzazione antiputiniana. Ribadire i concetti di democrazia e libertà. In breve, questo è il leitmotiv delle nomine del Consiglio europeo che, senza sorprese, ha espresso i cosiddetti top jobs: da von der Leyen a von der Leyen. Al “gioco dei caminetti” siamo coerenti, tra baci e abbracci presenti anche nel G7, il business politico è stato leale. Sia ben inteso, questo vale anche per chi oggi si scaglia contro il governo – con il dito puntato – e definisce l’Italia a rischio isolamento, assecondando il mantra “Non faremo inciuci” pur essendo parte del sistema, come in un prestito a scadenza indefinita e pronto a restituire senza dolore ciò che il sistema richiede. Perché dopo il voto e i “buoni propositi” che lo hanno accompagnato, ci sottomettiamo e i partiti europeisti (popolari, socialisti, liberali) fanno la voce grossa contro i sovranisti (Conservatori e Identità e democrazia) e i partiti più estremisti (come Afd in Germania, Fpo in Austria e Front Nazional in Francia).
A questa performance che va da Conte a Schlein, da Tajani a Meloni… da von der Leyen a von der Leyen, da Stoltenberg a Mark Rutte, in alternativa, e per la prima volta, in una consultazione nazionale l’affluenza dei cittadini italiani ai seggi è scesa sotto il 50%. Più della metà del paese non si è recato alle urne, il tutto confermato anche dai risultati nei ballottaggi alle amministrative del 23 giugno 2024: affluenza sotto il 48%. In altri termini, non ci hanno visto arrivare, stiamo arrivando, lo prendiamo in prestito dalla Schlein, che meglio rappresenta l’astensionismo. A meno che la segretaria del PD non cominci di nuovo a parlare delle elezioni come una svolta: “Vittoria storica, un messaggio a Meloni”.
Che si tratti di una vittoria storica lo confermiamo; anzi, una vittoria con una propria testa e una propria coda che rivendica il diritto di non votare. Più in generale, le battute schleiniane, per chi le sa usare di traverso e nel senso peggiore, possono essere inquadrate nell’ottica estremista/astensionistica: stiamo arrivando rappresenta un caso limite eclatante, quasi patologico, al termine di un ciclo storico. Ma sono proprio i casi limite che aiutano a comprendere quelli che si pongono nella norma: il “partito” astensionistico/estremistico agisce con il proprio disagio e il proprio linguaggio e non si presta a diventare attrezzo di giocoleria politica, lo yo-yo che una volta va di qua e una volta di là. Il popolo astensionistico è serio, misurato, informato e sta lontano dalle incredibili acrobazie del modus operandi dei partiti politici.
Il popolo non ha sventolato una bandiera astensionistica, ma tutti sapevano che esisteva; inutile scagliarsi contro di loro e chiamarli alla responsabilità: responsabilità prima del voto, e dopo? Quindi non fate finta di stupirvi usando l’estremismo/astensionismo come arma di riflessione politica basata sui conflitti aperti che viviamo in Europa e che implica quindi un’inversione dell’ordine delle temporalità. Sappiamo che la performance del nuovo Consiglio Europeo continuerà a sostenere le politiche del passato: in questo senso, il presente va interpretato alla luce del futuro che è già presente nell’impossibilità di uscire dai conflitti in atto. Ecco perché la temporalità delle cose presenti è multidimensionale: essa comprende tanto la presenza delle cose passate quanto la presenza delle cose future. Su questo punto sia la Premier Meloni, sia Schlein e il peso dei seggi ottenuti dai partiti di governo sul totale degli eletti in Europa testimoniano la presenza di un’assenza in direzione di un equilibro in tutta Europa.
La carica antisistema – adesso rappresentata da più della metà degli elettori europei che diserta le urne – deve essere intesa come una forza/azione politica che opera nel movimento delle masse che rifiuta di andare a votare il Sistema. Sarebbe un grave errore sottovalutare la formazione di queste forze-azione che costituiscono una realtà che occorre riconoscere, e con la quale occorre fare i conti, perché non esiste una vittoria di alcun partito checché ne dicano Meloni o Schlein. La carica antisistema coinvolge i governi nazionali e il voto per il parlamento europeo, visti dai cittadini come parte delle élites, non solo politiche ma anche intellettuali, scientifiche, compreso il mondo del mainstream. E, nelle nuove condizioni create dalle trasformazioni politiche ed economiche, l’astensionismo costituisce un problema politico che deve essere risolto soltanto sul terreno, appunto, politico. Incertezze di orientamento, e ancor più di realizzazione di politiche che non comprendono in pieno le masse dal basso, ci pone di fronte ad alcune domande.
Prima di tutto, che cos’è un partito oggi e chi, che cosa rappresenta. Secondo, ci chiediamo se i partiti abbiano capito come si muovono le masse nella loro autonomia, come avanzano le forze sociali e come non sono rappresentate sul piano politico. Terzo, non basta promettere diritti per tutti, salario minimo, sanità, emigrazione, basta armi, pace, Bella Ciao, antifascisti e anticomunisti… mentre stiamo per inviare gli F16 all’Ucraina (e ai palestinesi…?) che mira a entrare in Europa (e in futuro, probabilmente, anche nella Nato) alla quale giuriamo fedeltà per progredire verso l’aumento delle spese militari. Redimere le colpe? Da dove iniziare? In ordine cronologico, dall’abbandono dell’Afghanistan nell’agosto 2021; capivamo poco, poi scoprimmo “l’invasor” nel febbraio 2022.
A questo punto, senza conoscere il progetto di una lotta per un nuovo sistema che faccia respirare un possibile futuro, sarebbe interessante sapere: le forze politiche, di governo e opposizione, nazionali ed europeiste, a quale lotta politica mirano?
Come studiare e spiegare, quindi, i limiti e i valori della società senza comprendere ciò che è accaduto in questi ultimi trentaquattro anni?
Se cerco di ordinare ciò che, dei miei ricordi e delle mie esperienze da adulta, ha più contribuito alla mia riflessione di studiosa, non esito a collocare in prima fila la caduta del Muro di Berlino e la fine, nell’ex blocco, del socialismo. La collocherei persino – per quanto possa sembrare paradossale – prima dei fenomeni che hanno interessato, fra il 1991 e il 2000, i Paesi dell’ex blocco: distruzione del socialismo, guerre, la sconfitta e la nascita dei sistemi capital-liberalisti. Lo dico nel senso che, se credo di aver vissuto (in parte) la tragedia delle guerre balcaniche senza sorprendermi – e in certa misura già prevedibile – è perché avevo potuto avere una visione estremamente chiara e dolorosamente lucida, fra il 1990 e il 1992, di ciò che annunciava, prefigurava e preparava, per l’intero mondo dell’ex blocco, la caduta del Muro di Berlino.
Dunque, sarebbe necessario uno studio strettamente cronologico, non soltanto delle decisioni prese in tutti questi anni, ma anche dei limiti nella loro applicazione: ci renderemmo rapidamente conto che, a parte le direttive delle istituzioni politiche, dei poteri cosiddetti forti, il logoramento politico del regime democratico si è realizzato molto più rapidamente rispetto alla possibilità di un Fronte internazionale in cui ci si possa riconoscere in quanto umanità. Lo studio, anziché una semplice ricostruzione del passato, dovrebbe essere un perpetuo dialogo fra il passato e il presente, in modo da poter percepire la contraddizione trentennale che ha plasmato il mondo “occidentale” per come lo viviamo oggi.
In quest’ottica, va considerata anche l’ultima notizia che riguarda la decisione presa dall’Unione Europea, il 17 maggio 2024, di bloccare quattro media russi: RIA NovostiIzvestiaVoice of Europe e Rossiyskaya Gazeta. Nessun giornale occidentale ha chiamato “dittatura” questa decisione. Invece, la decisione da parte della Russia, martedì 25 giugno 2024, di bloccare l’accesso ad alcuni siti di informazione europei come diretta conseguenza delle decisioni UE è stata sostantivato come la dittatura di Putin che oscura l’Occidente. Con questi pesi e misure è stata raccontata la storia, non c’è da stupirsi: nemmeno oggi mentre si elogia la nuova UE antiputiniana.

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