I fuoriusciti e i restanti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti,

di Alfredo Morganti – 7 novembre 2015

Adesso viene il difficile. Adesso che si punta il dito verso i fuoriusciti. Perché molti, da dentro il PD, già stabiliscono che chi esce dal partito va su un binario morto o svolta in un vicolo cieco. Che non c’è alternativa al PD, se non vuoi che vinca Grillo o la destra. Che se la sinistra interna se ne va, questo diventa un partito neocentrista, e così facendo lascia campo libero ai nemici. Che siamo tutti soltanto un voto utile, in Parlamento o nel Paese. Che bisogna giocare sempre la stessa carta, questo maledetto due di coppe quando regna bastoni, e mai quella briscoletta che pure hai in mano. Che c’è solo uno che deve dare il mazzo o tenere il banco, anche se spinge la partita pian piano verso la fine di tutte le cose in cui ha sempre creduto e sperato. Che, al limite, puoi cambiare una carta (emendamenti), mai tutte (un’altra legge). E soprattutto non devi mai ribaltare il mazzo adesso, ma attendere che non entrino più le carte al mazziere. Che il destino di minoranza ti si deve ficcare bene nel capo e non uscirne più, e che ti resta solo la speranza di ritornare chissà quando maggioranza, ma non si sa di cosa, se di un partito di destra, di sinistra, di centrosinistra, di centrodestra, neo centrista, della nazione o del quartiere. Non sai quale ‘cosa’ eventualmente ti restituiranno, né sai se l’elettorato è più lo stesso di prima, e cosa sono diventati i tuoi compagni di viaggio (i vecchi, perché i nuovi somigliano tanto agli avversari di una volta, e tali si comportano ancora). Oppure scoprirai, ed è peggio, che molti ieri stavano con te, poi sono passati a lui e adesso ristanno con te, e domani chissà con chi. Maggioranze variabili, persone variabili, idee variabili. Il nuovo, insomma. Prendere o lasciare, con il rischio di prendere un giorno qualcosa di diverso, ma di molto diverso da quel che credevi. E magari scoprire che la macchina non va più, perché le tue chiavi sono superate, e sarebbe stato meglio cambiarla quella macchina, magari più piccola ma pronta a svoltare finalmente nella direzione che vorresti tu. Per molti, ancor oggi, è meglio un SUV che sgomma e svolta a destra, invece di una utilitaria che mette la freccia e va a sinistra. L’idea che il grande vinca, mentre il piccolo sia destinato a morire è molto diffusa quanto inesatta. È ancora la logica della tecnica, della maggiore efficienza legata alla maggiore prestanza, del risultato prima di tutto, dell’unica soluzione efficace possibile (stare nel PD a ogni costo) contro tutte le altre possibili, legittime ma comunque inefficaci, anzi considerate suicide. Vincere, e vinceremo, allora, anche se vince lui (ma è meglio che vince lui piuttosto che si perda noi, questa la massima in voga). Senza contare che definire anzitempo ‘piccolo’ quello che potrebbe diventare ‘grande’ (perché no?) è già una forzatura. Capisco i tempi brevi, brevissimi della politica di oggi, e l’esigenza di produrre subito un risultato, ma immaginare qualcosa che cresca nei tempi lunghi, che si dia una prospettiva di più ampio termine delle elezioni amministrative (alle quali è anche giusto partecipare, come no) io lo trovo persino rassicurante. Mi fa sentire meglio che destreggiarmi di fatto in campo avverso, convincendomi forzosamente che sia casa mia. E invece no, non è affatto casa mia. Questo è sicuro.

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