di Alfredo Morganti – 6 giugno 2018
Sono in tanti a parlare di PD all’opposizione. Ma che vuol dire opposizione? Opporsi vuol dire opporsi, cioè lavorare alla crisi delle forze di governo, impedendo che un blocco politico e sociale si cementi e dia vita a un lungo ciclo politico. Vuol dire fare in modo che nel governo si aprano contraddizioni importanti, significa arginare le iniziative dell’esecutivo, contrastandole sino a farlo, nel caso, cadere. Soprattutto se si trattasse di forze centriste o moderate o di vaga definizione. E l’alleanza di governo di presentasse spuria, disomogenea, capace di reggersi su pochi appigli programmatici rispetto alle molte diversità o discrepanze di fondo. Mai e in nessun caso fare opposizione significa lavorare alla compattezza del governo, mai e poi mai significa incalzare positivamente la maggioranza (‘governate, fateci vedere se siete capaci di portare a casa la realizzazione del vostro programma, saremmo i vostri giudici’). Ma e poi mai si lavora affinché quel governo sorga e abbia lunga vita, almeno sino alla scadenza elettorale. In questo ultimo caso, più che opposizione parrebbe un’azione indiretta di fiancheggiamento, nella convinzione di trarre utili nelle urne dalle fortune (o sfortune) altrui.
Sembra quasi che certa opposizione piddina lavori per il Re di Prussia, sia più realista del Re medesimo, si atteggi a una sorta di opposizione di Sua Maestà. L’idea di fondo è che politica si faccia solo alle scadenze elettorali, e ci si scelga all’uopo un avversario ideale, si agevoli la sua salita al governo, e si giunga ad augurarsela solo per avere il bersaglio migliore da mirare alle urne. La politica così non è la fatica quotidiana di scavare fossi nel fronte avversario, no. È ‘acchittarsi’ un avversario, sceglierlo, cementarlo, guidarlo sino a Palazzo Chigi, solo perché si è convinti che quella sia la condizione migliore, il nemico migliore, il bersaglio più facile da colpire. Marketing elettorale, insomma. E poco importa che se ne svantaggino i cittadini e il Paese: la propria vittoria vale più di tutto e tutti. Per quella si fa politica, non per il bene comune. Muoia Sansone con tutti i filistei, allora, purché una pattuglia di ambiziosi scampi il crollo per guidare, dopo, un Paese ancor più allo sbando. Fiancheggiare l’avversario è come esserne complici, non oppositori. E ciò vale sempre: sia che tu ci stringa patti segreti al Nazareno, oppure decida di attaccarli platealmente in aula, mentre per il resto li si pigia assieme al governo come un sensale con due teneri e inesperti fidanzatini.