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di Luca Billi 03 gennaio 2014
E’ molto interessante la storia etimologica della parola debito. Debitus è il participio passato del verbo latino debère, che significa dovere: in sostanza vuol dire ciò che è dovuto. A sua volta debère è molto probabilmente una contrazione di dehibère, un verbo composto dalla particella de, che indica allontanamento, e dal verbo habere, e quindi il suo significato originario era non possedere più. Perciò debère per gli antichi Romani, uomini notoriamente pratici – non come quei “filosofi” dei Greci – significava prima di tutto avere l’obbligo di rendere qualcosa a qualcuno e in seguito è passato ad indicare ogni tipo di obbligo.
Il debito è quindi qualcosa che abbiamo l’obbligo morale di restituire: come abbiamo visto, ce lo spiega l’etimologia e soprattutto ce l’hanno spiegato quelli della generazione dei nostri padri e dei nostri nonni. Proprio perché hanno conosciuto così duramente cosa significa la miseria, sanno che valore abbia il denaro – e la fatica che serve a guadagnarlo – e che quindi va restituito, quando lo prendiamo in prestito. E infatti ci hanno anche insegnato che occorre fare debiti con grande attenzione, soltanto quando sappiamo come restituirli.
Proprio per questo i nostri vecchi credo farebbero fatica a capire un’economia come quella attuale che pare basarsi unicamente sul debito e sull’azzardo. A questo punto inevitabilmente deve cambiare anche il nostro modo di considerare i debiti e il dovere morale di onorarli.
Tra qualche settimane il popolo greco sarà chiamato a rinnovare il parlamento: i nostri mezzi di informazione presentano quel voto come una sorta di salto nel buio, perché – visti i sondaggi – è possibile una vittoria di Syriza, ossia di un partito di sinistra. Quel partito, al di là di quello che raccontano i nostri giornali di regime, non ha nulla di rivoluzionario: semplicemente dice qualcosa di diverso da quello che dicono tutti, a destra e nella sedicente sinistra. Prendetevi qualche minuto per leggere i punti del Programma di Salonicco, presentato da Alexis Tsipras nello scorso mese di settembre, e vedrete che si tratta di un programma che un tempo avremmo definito semplicemente socialdemocratico. Ovviamente non c’è l’uscita dall’euro, come ci dicono, mentendo, quelli che non l’hanno letto. Il punto centrale è proprio la questione del debito, ossia la neccessità di cancellarne il valore nominale e di rinegoziarlo.
Credo sia utile capire come questo debito si è generato.
Nel maggio 2012, uno degli ultimi provvedimenti del governo tecnico guidato da Lucas Papademos, già vicepresidente del Fmi, è stata la decisione di ripagare all’intero valore nominale 436 milioni di titoli del tesoro emessi dieci anni prima e che stavano per scadere. Tra chi ha beneficiato di questo pagamento ci sono stati alcuni fondi privati, quelli che di solito indichiamo genericamente come “mercati”, ma che hanno nome e cognome: Elliot Associates del Regno Unito, Loomis Sayles e Blackrock degli Stati Uniti, la banca svizzera Julies Baer, il gestore di fondi francese Natixis, il tedesco StarCap e il lussemburghese Ethenea Independent Investors. Questi fondi – definiti “avvoltoi” – hanno fatto una scommessa, solo apparentemente rischiosa: l’accordo imposto dalla Troika, che prevedeva la perdita di più della metà del valore nominale dei titoli del tesoro emessi dalla Grecia, sarebbe entrato in vigore soltanto se fosse stato sottoscritto da almeno i tre quarti dei creditori. Il 96% ha sottoscritto l’accordo, accettando che i loro titoli perdessero valore, e questo ha fatto sì che arrivassero nuovi soldi “freschi” ad Atene: dei 130 miliardi dati alla Grecia dall’Europa, 90 erano vincolati a pagare i debiti con le banche europee, con una sorta di partita di giro, per cui i governi europei hanno dato soldi alle loro banche. Con questi soldi, per avere i quali è stato cancellato ogni forma di stato sociale in Grecia, il governo ha pagato sia i creditori “buoni” sia gli “avvoltoi”, che non avevano accettato gli accordi e quindi la riduzione del valore dei loro titoli, come è appunto avvenuto con i 436 milioni pagati da Papademos.
Il punto fondamentale – che fa capire perché l’operazione non sia stato un “rischio”, ma un saggio investimento – è che i titoli greci, a seguito delle valutazioni estremamente negative delle agenzie di rating, che avevano già condannato il paese al fallimento, non avevano più valore ed erano già stati considerati “persi” dai grandi investitori; in questa situazione incassare anche solo il 40% del loro valore nominale, come hanno fatto i creditori “buoni” – in primis le banche tedesche e francesi – era già considerato un guadagno, perché anche nell’alta finanza vige l’adagio contadino, secondo cui piuttosto che niente, è meglio piuttosto. Immaginate invece cosa ci hanno guadagnato gli “avvoltoi”, che si sono visti ripagare il 100% di titoli che valevano ormai zero. Da notare che gli “avvoltoi”, presagito il possibile guadagno, non si sono limitati a portare all’incasso i titoli comprati dieci anni prima, ma hanno rastrellato sui mercati secondari i titoli greci, che non valevano più niente e che quindi sono stati comperati a prezzi molto inferiori al loro valore; in particolare hanno comprato quei titoli i cui contratti di vendita erano registrati a Londra e non in Grecia e che quindi non potevano ricadere in possibili cambiamenti retroattivi della legge greca. Inoltre avendo in mano titoli registrati in Gran Bretagna, se il governo greco si fosse mai rifiutato di pagare, avrebbe potuto essere citato in giudizio di fronte a una corte internazionale, come successe più di dieci anni fa con l’Argentina.
Allora è lecito chiedere che questi debiti vengano cancellati o è una richiesta da pericolosi rivoluzionari?
Nel 1953 il governo della Repubblica Federale Tedesca, allora guidato da Konrad Adenauer – che certo non può essere considerato un comunista – stipulò con i paesi che avevano vinto la seconda guerra mondiale un trattato in cui furono rinegoziati i debiti accumulati dal paese prima dello scoppio del conflitto: l’importo da rimborsare fu ridotto del 50%, pari a circa 15 miliardi di marchi, e dilazionato in più di 30 anni. Senza quell’accordo la Germania non avrebbe potuto riprendersi e l’Unione europea non esisterebbe.
I debiti devono essere pagati, ma devono essere legittimi e il loro pagamento non deve uccidere il debitore. I greci stanno chiedendo alla comunità internazionale soltanto questo.