di Alfredo Morganti – 11 marzo 2017
Oggi su ‘Repubblica’ c’è un paginone dedicato agli insegnanti finalisti del Teacher Prize italiano. Sono dieci, e ognuno di loro racconta la propria esperienza. C’è chi dice di insegnare fisica utilizzando gli sci e il pianoforte. C’è chi fa matematica con il teatro. O chi, in chimica, parte dal profumo di Giulio Cesare. Leggiamo di campionati di geografia, o gare di filosofia. Ci sono anche studenti che, in economia, fanno pratica da imprenditori. Esperienze variegate, insomma. E anche creative. Fateci caso, nessuno di questi bravissimi insegnanti dice di spiegare la matematica con la matematica o la fisica con la fisica. È come se la pratica didattica fosse tutta nel fornire vie di accesso eterogenee, innovative, svariate, sorprendenti e pure eclettiche alla disciplina. Come se il bravo insegnante fosse quello che la racconta meglio, quello con il metodo più sorprendente o la pratica più singolare. Come se il bravo insegnante dovesse stupire, scegliendo strade laterali, percorsi sbilenchi, scorciatoie rapide ma intelligenti, molto intelligenti! E, di converso, il cattivo insegnante si limitasse a stare sul pezzo, ad affondare il coltello nei programmi ministeriali, nei testi, nello scavo profondo della disciplina, nella fatica di fare un passo dopo l’altro, anche a prezzo della noia, anche nella monotonia della ripetizione metodica.
Cattivi maestri sol perché non si inventano nulla di estroso, ma grigiamente, pigramente propongono la materia, i suoi capisaldi, le sue istituzioni, e non deviano, ma tignosamente spiegano che fare matematica è fare matematica, senza sconti, senza figate innovative, senza teatro e senza ‘narrazioni’. Lo so, sarà poco fantasioso, sarà roba da gufi o da rosiconi, secondo un certo linguaggio rignanese, ma questo è. E forse un giorno qualcuno dovrà decidersi a risarcire il povero insegnante che a 1.400 euro al mese, da decenni, senza mettere in scena alcuna figata, si mette lì, di buzzo buono, con i suoi libri, la sua buona volontà, la sua competenza, l’autorevolezza conquistata sul campo, i suoi studi, la sua testardaggine, e affronta gli studenti con un unico scopo, uno soltanto: non quello di farli divertire, né quello di essere innovativo o apparire sorprendente, ma soltanto quello di essere d’aiuto e di insegnare cose che un giorno saranno utili, anche perché contribuiscono a formare una coscienza libera, dotata di una propria visione, oltre che di un sapere disciplinare. E non solo algidi ‘addetti’ di un lontano, e sempre più precario, processo lavorativo.