#hashtag

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 29 agosto 2014

Un giorno, mosso a pietà, qualcuno dovrà pur affrontare la questione e avviare un terapia seria, affidabile, efficace per liberare Matteo dall’ossessione degli hashtag. Fubini su Repubblica parla di un’inflazione di annunci. Eh no! Sono già stati in molti anche a sinistra ad ammalarsi di ‘annuncite’. La questione che agli annunci dovessero seguire i fatti e non altri annunci è stata sollevata più e più volte. Ma stavolta l’affare è più serio: mai nessuno come Matteo aveva mai sparato tanti hashtag in vita sua: non in un mese o in un anno, ma in vita sua! Aveva cominciato così, tanto per emulare alcuni sodali toscani, e aveva detto la frase celebre: smetto quando voglio. Poi la cosa gli era piaciuta assai e aveva iniziato, non dico tutti i giorni, ma quasi, a mandare hashtag locali su questo e su quello, anche alla rinfusa, senza nulla a pretendere, tipo #quantèbellagiovinezza oppure #fiorentinasenzaseesenzama. I suoi glielo hanno detto subito: Matteino stai attento, non esagerare che poi diventa una malattia. Ti fa male, capisci? Lui invece era ormai entrato in una specie di vortice, e pure se gli nascondevano lo smartphone, c’era sempre un ex scout o un compagno di merenda che glielo prestava, dietro precisa assicurazione che sarebbe stato l’ultimo hashtag, poi basta, ok? Lui diceva sì, sì, è l’ultimo, ma prestami questo cazzo di cellulare che mi sto hashtaggando sotto. E via con #firenze #leopolda2012 #leopolda2013 #leopolda2014, #coseconcrete #rottamazione #aridatecebatistuta. Ma fu solo quando iniziò a intravedere la segreteria del PD e Palazzo Chigi, che il male esplose in tutta la sua gravità. Anche perché nel frattempo aveva incontrato un compagno di merende pugliese, che lo aveva traviato in via definitiva: “Non dare retta, questa è roba buona, sono hashtag di prima qualità, vedrai ne parleranno tutti!”. Per di più lontano da Firenze nessuno lo trattenne come sarebbe stato preferibile, e così fu un vero delirio di cancelletti: #cambioverso #cambiocittà #cambiocasa #adesso #dopo #concomodo #quandociòtempo , sino al celeberrimo #enricostaisereno, a seguito del quale Enrico fece la fine che ha fatto (e poi dice che i gufi siamo noi!). La malattia degenerò con #arrivoarrivo che indicava la sua ascesa a Palazzo Chigi e il subentrare, poi, di una nuova fase della patologia da hashtag, il famoso tweet mattutino! Tutti i giorni alle 6,30 del mattino, ancora col pigiama indosso e gli occhi abbottati, dopo notti insonni trascorse a rimuginare, iniziarono a partire gragnuole di hashtag quasi alla cieca: #allavoro #eallalotta #sonogiàsveglio #evoi? #labriocheeradiieri #cappuccinograzie #mefacciopureunoyogurtino. Insomma un fantasmagorico delirio di argomenti, temi, parole chiave, a cui nessuno, nemmeno Delrio, sapeva opporre un valido ostacolo: #italiariparte #sbloccaitalia #avantiitalia #italiasuitaliagiùsefamoduspaghi e, infine, come naturale esito e conseguenza di questo delirio, #forzaitalia. E qui anche Berlusconi applaudì e mandò il suo medico personale. Oggi Matteino è asserragliato dentro Palazzo Chigi mentre da fuori col megafono gli dicono di uscire, che non c’è problema, è tutto a posto, #celapuoifare. Ma lui resiste, e fa bene, per il Paese e per il futuro dei giovani, e intanto spara l’ennesimo hashtag, il più bello, il più drammatico, quello ultimativo: #padoancaccialisordichedovemosvortà.

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