Ha senso estendere la vaccinazione antinfluenzale?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Simonetta Pagliani
Fonte: Scienza in Rete

A livello planetario, una persona su cinque ha una condizione patologica precedente l’infezione con SARS-CoV-2 che ne influenzerà un decorso più grave. La percentuale aumenta con l’età, dal 5% dei soggetti sotto ai 20 anni, al 66% di quelli sopra i 70. Di fatto, la presenza contemporanea di più malattie croniche comporta l’1% di ricoveri dei più giovani e il 20% dei più anziani, con gli uomini che rischiano il doppio delle donne di finire in ospedale, se infettati. I dati sono ricavati da un modello creato da ricercatori di London School of Hygiene & Tropical Medicine, Università di Edimburgo, Sun Yat-Sen e Washington, Imperial College e University College di Londra e recentemente pubblicati sul Lancet Global Health. Gli autori dello studio, oltre alle patologie codificate dalle linee guida dell’OMS (malattie cardiovascolari, renali, respiratorie croniche e diabete) e delle quali hanno ricavato la prevalenza dal Global Burden of Diseases (GBD) del 2017 e dalle stime delle Nazioni unite per il 2020, considerano condizioni aggravanti il Covid-19 l’appartenenza ad alcuni gruppi etnici e la deprivazione socioeconomica.

A lockdown concluso e nell’imminenza della riapertura delle scuole e della ripresa di tutte le attività, sport compresi, la seconda ondata non è purtroppo da escludere. Già se ne hanno avvisaglie a Pechino, nonostante le misure militaresche che sono state possibili in Cina: nuovi contagi sono stati scoperti in un mercato all’ingrosso nel nordovest della città dopo la chiusura del gigantesco mercato di prodotti freschi nel sud della metropoli; in totale, 22 aree residenziali sono state messe in quarantena. In Israele, dove l’epidemia aveva avuto una promettente battuta d’arresto, tanto che le scuole erano state riaperte fin da maggio, i contagi di coronavirus sono aumentati: quasi 25.000 tra studenti e docenti sono stati messi in quarantena.

La situazione economica non tollererebbe un nuovo lockdown generalizzato: con la fine dei provvedimenti validi per tutti, i dati, peraltro già noti, ma riproposti a livello globale sul Lancet, devono aiutare a stabilire quali fasce della popolazione devono essere primariamente protette con le misure di distanziamento fisico e, quando sarà possibile, con il vaccino anti coronavirus.

È noto che il ministro della salute Roberto Speranza, insieme ai suoi colleghi di Germania, Francia e Olanda, ha sottoscritto un contratto con Astrazeneca per l’approvvigionamento europeo di centinaia di milioni di dosi del vaccino per ora chiamato ChAdOx1 nCoV-19, nato nei laboratori dello Jenner Institute della Oxford University. Se la sperimentazione, che dovrebbe concludersi a settembre, darà buoni risultati, la prima distribuzione potrebbe avvenire entro la fine dell’anno.

Intanto, il governo si è mosso modificando le raccomandazioni per la vaccinazione antinfluenzale, nella convinzione che tenere lontani i pazienti più a rischio dal virus influenzale eviti, da una parte, pericolose confusioni diagnostiche e, dall’altra, di far impegnare le loro difese immunitarie contro il nemico stagionale mentre è in agguato quello straordinario. Il vaccino antinfluenzale, di cui, in Italia, sono disponibili il tipo trivalente che contiene 2 virus A (H1N1 e H3N2) e un virus B e il tipo quadrivalente che contiene 2 virus A e 2 virus B, finora era raccomandato ai soggetti sopra i 65 anni e ai bambini affetti da particolari patologie. “Quest’anno – si legge nel sito ministeriale – vista l’attuale situazione epidemiologica relativa alla circolazione di SARS-CoV-2, si raccomanda di anticipare la conduzione delle campagne di vaccinazione antinfluenzale a partire dall’inizio di ottobre e di offrire la vaccinazione ai soggetti eleggibili in qualsiasi momento della stagione influenzale, anche se si presentano in ritardo per la vaccinazione.”

Stando alla circolare ministeriale del 4 giugno 2020, i soggetti eleggibili per l’offerta gratuita e attiva della vaccinazione sono… quasi tutti. L’elenco comprende, infatti, le donne in gravidanza e in postpartum, i soggetti dai 6 mesi ai 65 anni di età affetti da malattie respiratorie croniche, cardiopatie congenite e acquisite, diabete, obesità, malattie del rene, del fegato, del sangue e oncologiche, immunodepressi, malattie infiammatorie croniche, patologie neuromuscolari, i soggetti a partire dai 60 anni, i lungodegenti, nonché i familiari di tutti i pazienti prima nominati, gli addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo come personale sanitario, forze di polizia, vigili del fuoco, i donatori del sangue, i lavoratori a contatto con animali e altre categorie eventualmente individuate dalle Regioni.

L’eventuale eccedenza di vaccino può essere poi offerta gratuitamente a chiunque ne faccia richiesta. Infine, la circolare fornisce la bibliografia sull’efficacia della vaccinazione influenzale per bambini e adolescenti sani, che sostiene l’opportunità di vaccinarli anche al fine di ridurre la circolazione del virus influenzale fra gli adulti e gli anziani nell’attuale fase pandemica. Per quanto riguarda chi esercita professioni sanitarie e sociosanitarie a contatto con i pazienti e gli anziani istituzionalizzati in strutture residenziali o di lungo degenza, la vaccinazione è fortemente raccomandata, in attesa di una iniziativa legislativa che la renda obbligatoria.

La decisione solleva alcune questioni. In primo luogo pare strano il fatto che al momento il nucleo di esperti indipendenti che dovrebbe dare raccomandazioni al Ministero in tema di politiche vaccinali (National immunization technical advisory group – Nitag) non sia ancora stato sentito. Le perplessità che circolano nell’ambiente non sono di poco conto. Prima di tutto, l’idea sottostante la decisione ministeriale, che la vaccinazione antinfluenzale possa facilitare la diagnosi differenziale di Covid, pare debole e anche un po’ pericolosa (tutti i vaccinati penseranno di avere il Covid al primo starnuto). C’è poi il problema dei bambini, un target assolutamente nuovo per il nostro paese, e su cui esistono scarse prove di efficacia. A questi si aggiungono problemi pratici. Tutti i designati dovrebbero fare due dosi in poche settimane. Chi le farà, dal momento che i servizi pubblici hanno da recuperare le coperture del ciclo di base (in ritardo per la pandemia)?

A questo si aggiunge la non facile questione della disponibilità di dosi di vaccino: per vaccinare bambini dai 6 mesi ai 6 anni ci vorrebbero oltre 6 milioni di dosi e 6 milioni di sedute vaccinali aggiuntive. Il mercato italiano consumava 10-12 milioni di dosi in tutto e il numero di dosi non è più aumentabile e la platea potenziale in base alla circolare ministeriale è molto superiore a quelle degli scorsi anni. Insomma, al netto delle perplessità scientifiche, c’è il rischio di sollecitare aspettative che potrebbero andare deluse, ripercuotendosi sulla percezione pubblica dell’intero comparto dei vaccini.

Per ora, a manifestare il proprio dissenso attraverso un documento è stato un gruppo di medici (un igienista, due epidemiologi, un pediatra e due professori universitari) coordinato dall’ex direttore della prevenzione della ATS Milano Alberto Donzelli. Nel documento, ogni asserzione e ogni confutazione della posizione governativa è corredata dalla citazione del singolo lavoro (o dalla revisione Cochrane di più lavori) su cui esse si basano. Spesso si tratta di studi piccoli, ma i cui risultati sono sufficienti per insinuare un dubbio e aprire lo spazio per un confronto su una base di conoscenze condivise. Il documento è saldamente attestato su un fronte di militanza contro il mercato della salute, come appare dalla rete delle associazioni che lo sostengono (Fondazione Allineare sanità e salute, No grazie, Associazione di studi e informazione sulla salute, Centro di salute internazionale e interculturale, Fondazione per la Salutogenesi ONLUS, Giù le mani dai bambini ONLUS, Medicina democratica ONLUS, Movimento per la decrescita felice, Rete mediterranea per l’umanizzazione della medicina, Saluteglobale.it, Sportello Ti ascolto – Rete di psicoterapia sociale).

Vi aleggia anche un’aria di eresia rispetto alla comunità scientifica internazionale dovuta alla ripetuta evocazione, nel testo, di un nome dall’effluvio sulfureo per la medicina accademica, come Peter Gøtzsche. Già revisore sistematico della ricerca clinica nella Cochrane Collaboration, Gøtzsche è stato espulso dal governing board dell’organizzazione il 13 settembre 2018 e, in seguito, dal Nordic Cochrane Centre e dal Rigshospitalet di Copenaghen, in una vicenda che ha avuto il merito di sollevare il coperchio del vaso di Pandora della “medicina basata sulle prove di efficacia” (evidence-based): è ormai chiaro che la credibilità delle revisioni sistematiche può essere inficiata dalla cattiva qualità degli studi randomizzati controllati presenti nei database, dai possibili conflitti d’interesse dei revisori, dall’esclusione dei trial vittima di bias di pubblicazione (il risultato della ricerca influenza la decisione di pubblicarla), dalla difficoltà di conciliare il preminente valore sperimentale della randomizzazione (che distribuisce a caso i fattori di confondimento nel gruppo d’intervento e in quello di controllo) con l’importanza dell’osservazione real world, che meglio registra le situazione cliniche quotidiane. Insomma, l’evidence based-medicine (come la democrazia per Wiston Churchill) è un sistema altamente imperfetto, ma non ce n’è di migliori.

Questo, però, significa che occorre mantenere un forte spirito critico verso qualsiasi prova di letteratura, a favore o contro l’ipotesi che si vuole sottoporre a verifica, accettando un risultato solo se ottenuto ripetutamente e indipendentemente, da più gruppi di ricerca. Il documento di Donzelli e colleghi induce certamente più di una riflessione: le stime annuali dall’osservatorio nazionale InfluNet dell’ISS dicono che del 5-10% di adulti e del 20-30% di bambini colpiti da sindromi simil-influenzali, solo un terzo dei casi è causato dagli orthomixovirus di tipo A e tipo B dell’influenza. È inevitabile chiedersi quindi se l’altissimo costo di una campagna vaccinale tanto estesa avrebbe un sufficiente corrispettivo in termini di efficacia clinica, in termini di diminuzione della necessità di cure intensive e della mortalità.

Secondo le stime dell’Istituto superiore di sanità per le annate 2010-11 e 2011-12, l’efficacia della vaccinazione si aggira tra il 30 e il 40% e il numero di persone che occorre vaccinare per evitare un caso di influenza tende ad aumentare con l’età. In più, secondo uno studio statunitense del 2014 basato sui dati di otto stagioni invernali, l’efficacia della vaccinazione è maggiore tra le persone non vaccinate nei 5 anni precedenti e ciò vale soprattutto per i più anziani: nei già immunizzati, gli anticorpi stimolati dal vaccino dell’anno in corso si attiverebbero soprattutto contro gli antigeni che la nuova mutazione virale ha in comune con i virus precedenti, perdendo quindi di specificità.

Con queste premesse, anche per questi autori la vaccinazione non libererebbe il campo dalla necessità di una diagnosi differenziale con Covid-19, soprattutto per le fasce d’età che hanno dimostrato di essere più suscettibili e ci si dovrebbe avvalere, comunque, dei test rapidi. C’è, poi, da escludere il sospetto che la vaccinazione antinfluenzale possa aumentare la suscettibilità all’infezione da coronavirus, come hanno ventilato i dati di un recente studio spagnolo, anche se per l’autrice la spiegazione è forse semplice: gli anziani salvati dall’influenza resterebbero disponibili per il SARS-CoV-2. Dal dibattito che sta nascendo sembra quindi di poter concludere che la vaccinazione antinfluenzale dovrebbe essere offerta gratuitamente a categorie veramente a rischio (come gli anziani cardiopatici) e quando liberamente richiesta, ma a fronte di un consenso veramente informato circa le incertezze sulla sua reale efficacia. Nell’attesa di studi ben condotti che facciano definitivamente luce sull’argomento, per difendere tali categorie dall’epidemia influenzale vanno marcate le regole del distanziamento e promosse le raccomandazioni che trovano tutti concordi:

  • lavare spesso le mani, evitando di toccare rubinetti e maniglie; in mancanza d’acqua e sapone, usare igienizzanti a base alcolica
  • fare uso di visiere o altre protezioni oculari e mascherine, specie in ambienti chiusi dove la distanza non si può mantenere
  • evitare di portare le mani non pulite a contatto con occhi, naso e bocca
  • coprire la bocca e il naso con un fazzoletto di carta quando si tossisce e starnutisce e gettare il fazzoletto usato nella spazzatura
  • aerare regolarmente le stanze dove si soggiorna
  • evitare per quanto possibile ambienti chiusi e affollati nelle settimane di epidemia influenzale
  • se ci si ammala, restare a casa evitando l’uso di antipiretici finché la temperatura non superi i 38°C (la febbre è un efficace meccanismo di difesa contro la replicazione virale), ma assicurandosi idratazione e riposo adeguati.

 

Bibliografia
http://www.salute.gov.it/portale/influenza/dettaglioFaqInfluenza.jsp?lingua=italiano&id=103
Kolitz D. Evidence-based medicine and the expulsion of PeterGøtzsche. Undark 30/12/2019
Godlee F. Evidence based medicine: flawed system but still the best we’ve got. BMJ 2014: g440.
Donzelli A et al. Vaccinazione antinfluenzale: che cosa dicono le prove scientifiche. Giovanni Fioriti Editore: Roma, 2020
McLean HQ et al. Impact of repeated vaccination on vaccine effectiveness against influenza A (H3N2) and B during 8 seasons. Clin Infect Dis 2014; 59: 1375-85
Clark A et alGlobal, regional, and national estimates of the population at increased risk of severe COVID-19 due to underlying health conditions in 2020: a modelling study. The Lancet Global Health 2020

Machado M. La mortalidad por Covid-19 en España y la campaña del la gripe. 2020

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.