di Barbara Spinelli su L’Altra Europa con Tsipras 24 giugno
Il semestre italiano, se il governo non fa qualcosa, sta cominciando con un’impostura mai vista nella storia dell’Unione europea: basta sfogliare i giornali, e subito è chiaro che i cittadini vengono aggirati. Hanno appena eletto il Parlamento europeo, ma le loro volontà non sono ascoltate.
Per mesi, anzi per anni, è stato detto che il divario creatosi fra l’Unione e i suoi popoli era divenuto insopportabile. Un primo segnale di cambiamento è venuto quest’anno dall’indicazione, nelle campagne elettorali dei vari partiti, del candidato più o meno simbolico alla presidenza della Commissione. (Il nostro gruppo GUE-Ngl, e in Italia l’Altra Europa con Tsipras, aveva indicato Alexis Tsipras).
Quello che sta accadendo è un’impostura perché lo sforzo di colmare il divario è del tutto assente nei presenti negoziati sul futuro delle istituzioni europee e delle loro politiche. Sono i governi a negoziare e decidere sul nome del candidato e anche sul programma, senza alcuna considerazione del messaggio degli elettori.
Vero è che i trattati danno loro questo diritto: è il Consiglio europeo a «proporre» il candidato, che poi sarà eletto dal Parlamento. Ma due condizioni dirimenti vengono ignorate. I governi riuniti in Consiglio devono «tener conto delle elezioni europee», e discutere il profilo del candidato che intendono proporre al nuovo Parlamento. I fautori della candidatura Juncker partono dall’idea che egli ha raccolto più voti, il 25 maggio. Ma se consideriamo l’altissima astensione, e l’avanzata di una serie di partiti euro-ostili o eurocritici, il suo successo si ridimensiona, divenendo praticamente inesistente. Fra l’altro non è il Ppe che ha raccolto più voti ma il Pse: 49 milioni contro 39,9 milioni, anche se il Ppe ha avuto più seggi.
Il Trattato d’altronde parla chiaro: non è dei risultati numerici delle elezioni che si deve tener conto, ma «delle elezioni» in sé: cioè del loro messaggio sostanziale. E il messaggio non va nella direzione della nomina di Juncker, che incarna politiche fallimentari di austerità, e ne è il continuatore. Se si calcolano gli astensionisti, gli euro-ostili, gli euroscettici, gli eurocritici come il GUE-Ngl, una grande maggioranza di cittadini chiede una radicale rottura di continuità. Cosa che Juncker non garantisce, a tutt’oggi.
A ciò si aggiunga che l’imbroglio istituzionale non finisce qui: l’intera struttura dirigente dell’Unione è in causa, di essa si discute in un unico «pacchetto», e quel che si prospetta è una prevaricazione inaudita del Consiglio, dunque del metodo intergovernativo. Si prospetta un regime di Grandi Intese che s’arrocca sullo status quo e taglia le ali a ogni contestazione, ogni critica.
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Il Presidente della Commissione è in pratica nominato ex ante, senza ascoltare quel che i cittadini hanno detto col voto. La grande coalizione di cui sarà espressione è risicatissima, e non rappresentativa.
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Anche il Presidente del Parlamento viene indicato dai governi, in un baratto che sembra sfociare nella ricandidatura di Martin Schulz: anche questo non si è mai visto. Angela Merkel lo ha definito il suo candidato, come se spettasse a un singolo Stato membro la nomina ai vertici del Parlamento, per riequilibrare i rapporti dentro la «sua» coalizione di governo nazionale. Si diceva che questa volta il Parlamento europeo sceglieva il candidato alla Commissione (era una forzatura del Trattato, ma ha dato un nuovo colore alle elezioni). Siamo arrivati all’assurdo che non solo questa speranza svanisce. Abbiamo un Consiglio europeo che fa il programma della Commissione, e addirittura designa in anticipo il Presidente del Parlamento!
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Come Presidente del Consiglio europeo, successore di Van Rompuy, si prospetta nel mercanteggiamento la nomina di una rappresentante danese, molto vicina al governo tedesco: una scelta ben poco europeista, essendo la Danimarca fuori dall’euro e da Schengen. Anche in questo caso lo sponsor è Angela Merkel, secondo la quale “non è essenziale l’appartenenza o meno all’euro e al trattato di Schengen”. Il tutto per dare un contentino al recalcitrante Cameron. Sia detto per inciso, la carica di Presidente del Consiglio europeo non è affatto irrilevante, come scrivono alcuni editorialisti in Italia: con gli anni il Presidente del Consiglio europeo è divenuto più cruciale del Presidente della Commissione.
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Mercanteggiamenti dello stesso tipo si profilano per l’alto rappresentante per la politica estera e per il Presidente dell’eurogruppo.
Chiediamo al governo italiano di non cominciare il semestre con questo scempio istituzionale.
Chiediamo chiarezza, verità, ascolto delle volontà cittadine. Quando il Presidente del Consiglio italiano dice: “Prima vengono i programmi, poi i nomi”, egli dovrebbe sapere perfettamente due cose:
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che i nomi già sono praticamente decisi e pronti. Parlare di preminenza del programma oltre a essere un imbroglio intergovernativo è retorica.
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che la politica della futura Commissione va discussa da quest’ultima col nuovo Parlamento, che le deve votare la fiducia (o la sfiducia) sulla composizione dell’Esecutivo e sul suo programma. Non sta avvenendo – non si discute né col vecchio né col nuovo Parlamento – perché van Rompuy sta già delineando il programma che poi sarà “amministrato” da Juncker: un Presidente-servo sciocco dei governi, che accetta di farsi mettere le manette e non sarà un Presidente sopra le parti, incarnazione di un’Europa solidale. Non farà che rispecchiare i rapporti di forza fra Stati nazione che compongono l’Unione, e privilegiare dentro l’Unione gli Stati più potenti o più prepotenti.
Spero che nasca un’opposizione a questa strategia, che promette la continuazione della vecchia politica con nuovi nomi, e un’ideologia neoliberista appena corretta da qualche frase sulla crescita: imperativo peraltro non nuovo, essendo iscritto neiTrattati. Il Gue-Ngl probabilmente si opporrà, ma spero che altri si aggiungeranno – i Verdi, i liberali – nella battaglia in difesa delle volontà cittadine espresse il 25 maggio. Spero che più vaste convergenze siano possibili, su alcuni punti almeno, contro le Grandi Intese che stanno per rinascere a Bruxelles: a cominciare dai diritti dimenticati in questi lunghi anni di crisi. Spero, soprattutto che il Parlamento trovi le forze in se stesso per divenire Parlamento costituente. Perché di una nuova Costituzione abbiamo bisogno, che crei istituzioni sopra le parti e che dia ai cittadini la possibilità di eleggere i propri rappresentanti in Europa: non più solo a parole, ma sul serio.
Nel più lungo periodo, cioè per l’intero semestre, chiediamo svolte vere, non programmi che conservano lo status quo. Non una retorica sulla crescita che lasci intatto il paradigma neoliberista : il primato dato alla competitività, l’assenza di un autentico New Deal europeo (il primo test sarà il New Deal 4-Europa, per il quale si stanno raccogliendo le firme per un’Iniziativa cittadina).
Ho avuto modo di sfogliare alcune bozze provvisorie del programma italiano, che Renzi presenterà il 24 giugno al Parlamento italiano. Spero davvero che siano provvisorie, perché le conclusioni che traggo sono sconfortanti:
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non c’è nessuna rottura di continuità con trattati intergovernativi che hanno dimostrato di non funzionare e di produrre profonde devastazioni, come il Fiscal Compact.
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non ci sono che vaghi accenni al clima, e nulla sulle energie rinnovabili, nonostante gli impegni che dovranno essere presi a Lima.
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non c’è nulla sulla lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata. Le mafie sono ormai organi transnazionali, e un ruolo importante spetta all’Unione europea, nel combatterli.
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sulla disoccupazione dei giovani è stata annunciata una grande Conferenza europea a Torino: doveva inizialmente svolgersi l’11 luglio. Con mio grande stupore, è stata rimandata alla fine del semestre e si svolgerà a Bruxelles, per timore di disordini a Torino. Sembrava fosse la preoccupazione centrale del governo. Evidentemente non lo è.
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non c’è nulla di serio sulla politica estera (Mediterraneo, Russia, Ucraina), e in particolare sul Trattato Europa-Usa per un partenariato commerciale (TTIP): su come vengono minacciate normative italiane ed europee concernenti i beni comuni, i servizi pubblici, il rispetto dell’ambiente. Nulla, nemmeno, sulla scandalosa segretezza che caratterizza l’intero negoziato TTIP.
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il programma del trio infine (Italia, Lituania, Lussemburgo) è scritto dai servizi del Consiglio, e più precisamente dal loro coordinatore: è anch’egli un uomo di Angela Merkel.
La battaglia europea della nostra Lista sta cominciando. La difenderemo, Eleonora Forenza Curzio Maltese e io, con tutte le forze.