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di Alessandro Gilioli 10 gennaio 2017
Tre anni fa scrissi un libro sulle sorti della sinistra italiana che volli intitolare “La diaspora” perché, nel Paese che aveva avuto il più grande partito comunista d’Occidente, l’elettorato di sinistra era finito disperso tra quattro diversi destini: l’astensione, il voto per inerzia di moto al Pd, il consenso di rabbia e delusione che si rivolgeva ai 5 Stelle, più una parte minoritaria ulteriormente coriandolizzata nei vari partitini della sinistra radicale.
Tre anni dopo la situazione si è ulteriormente complicata, al punto da rendere ormai quasi inutilizzabile – come un attrezzo rotto – la stessa parola sinistra. Che certo ha in sé qualcosa di nobile ed eterno (l’aspirazione all’eguaglianza, come spiegava serenamente Bobbio) ma è stata tanto strattonata, malmenata e sporcata che ormai necessita di una moratoria, chissà se trentennale o anche più lunga.
Un destino a cui hanno contribuito in molti, s’intende, anche perché per ammannire un disastro così spettacolare non basta uno solo: consiglio quindi di non prendersela solo con Renzi, che ha pure molto contributo con la sua narrazione vincista della società, con la sua emulazione fuori tempo massimo del blairismo, oltre che ovviamente con i suoi sciagurati Jobs Act et similia.
Ma, ripeto, era un processo iniziato molto prima: quando, caduto il Muro di Berlino, la sinistra non ha voluto o saputo proporre un modello di società e di economia diverso da quello che le era crollato addosso, non ha più dato una lettura strutturale delle dinamiche sociali, non più proposto altro che una versione appena più edulcorata delle ricette storicamente della destra. Del resto il libro-manifesto di questa rumorosa abdicazione è di dieci anni fa, quando Renzi era ancora un innocuo presidente di Provincia ma già Alesina e Giavazzi ci spiegavano che «il liberismo è di sinistra» – e oggi viene un po’ da ridere.
Viene un po’ da ridere anche perché nel frattempo si è visto, dove ci ha portato il “liberismo di sinistra”: cioè al grande vuoto. Un vuoto in cui i ceti più deboli – insieme a quelli impoveriti dalla crisi scoppiata pochi mesi dopo il grottesco manifesto di Alesina e Giavazzi – non erano più un blocco sociale ma una galassia frammentata di individui e gruppi uno contro l’altro, ogni giorno più deprivati non solo di diritti, welfare, reddito e prospettive ma anche di rappresentanza politica.
Così è nato, ad esempio, il Movimento 5 Stelle, che questo vuoto ha in parte riempito e continua a riempire a dispetto delle sue ambiguità, della sua gestione privatista, così come delle sue recenti danze europee tra le destre nazionaliste e quelle liberiste.
A proposito, giusto ieri bisticciavo, as usual, con un po’ di contatti piddini che maramaldeggiavano sulla figura di palta del leader pentastellato. E ci bisticciavo non certo per negare tale brutta figura, ma per ricordare loro che non gli servirà mai a nulla, mettere in luce le ambiguità di Grillo, finché saranno quello che sono, finché faranno quello che fanno. È stato il fallimento della sinistra a creare Grillo. È stato il vuoto provocato da una sinistra che si è diluita nel centrodestra, nelle sue politiche. Ed è il vuoto che si vede in tutti i quartieri popolari dove si vota di tutto fuori che la sinistra.
Ed è, con permesso, lo stesso agghiacciante vuoto che ritrovo non solo nel Pd, ma anche fuori da esso. È lo stesso vuoto che avverto quando vedo che tra i politici a sinistra del Pd il dibattito prioritario non è sulla lettura del reale e sulle proposte per cambiarlo – povertà, eccesso di diseguaglianze, deflazione, precariato, discontinuità di reddito, investimenti sotto terra, trattati europei, rappresentanza democratica, tenuta sociale di un Paese frastagliato in una guerra tra poveri e in cui 4 giovani su 10 non hanno un lavoro etc – ma è avvitato se allearsi o no con il Pd.
E sommessamente faccio presente che se già alla nascita non ci si misura su se stessi e sulle proprie proposte concrete ma su un altro partito – pro o contro – si nasce senza identità. O “per un altro” o “contro un altro”, ma non per quello che si vuole fare. Vale per Sinistra italiana e ancor più vale per la formazione alchemicamente composta in laboratorio, in questi giorni, da Pisapia e Boldrini, della quale ignoro la posizione (ad esempio) su Jobs Act e reddito minimo.
A me sembra folle che si non si riesca a uscire da questa gabbia mentale.
E sembra un’ulteriore creazione di vuoto. Che, se non cambia l’approccio alle cose, qualcun altro riempirà.