Grecia, i legami che non uniscono

per Gabriella
Autore originale del testo: Paul Krugman
Fonte: voci dall'estero
Url fonte: http://vocidallestero.it/2015/02/09/krugman-grecia-i-legami-che-non-uniscono/

Krugman sul New York Times spiega la sua ipotesi sulla Grecia: il governo Tsipras/Varoufakis, sebbene non stia ottenendo successo nei negoziati, non si arrenderà alle pretese dei creditori come hanno fatto finora i vari governi dell’Europa periferica, perché l’attuale governo greco è fatto di politici che non hanno molte speranze di riciclarsi nell’élite della classe dirigente internazionale dopo un eventuale fallimento in casa propria.

di Paul Krugman, 09 febbraio 2015

I rapporti tra la Grecia e i suoi creditori non vanno migliorando. Si tratta di una cattiva diplomazia da parte di Tsipras/Varoufakis? Forse, ma la mia ipotesi è che non ci sia nulla che possano fare per evitare un duro scontro, a parte un immediato tradimento dei loro elettori. E i funzionari dei paesi creditori si stanno comportando come se si aspettassero proprio questo, come è accaduto tante altre volte negli ultimi cinque anni.

Ma quasi certamente hanno torto. Le dinamiche stavolta sono molto diverse, e non comprenderle potrebbe condurre presto ad un inutile disastro.

Piuttosto, permettetemi di sottolineare questo aspetto dell’”inutile”. Ciò che la Grecia sta chiedendo — sebbene gli elettori tedeschi probabilmente non lo sanno — non è una nuova iniezione di denaro. Sul tavolo non c’è nient’altro che una riduzione dell’avanzo primario — cioè la riduzione dei pagamenti sul debito già esistente da parte della Grecia. E spesso ci è stato ripetuto che, come tutti sanno, l’obiettivo ufficiale di avanzo primario, cioè il +4,5% del PIL, è irragionevole e irraggiungibile. Quindi la Grecia, di fatto, sta solo chiedendo di riconoscere una realtà che presumibilmente tutti già conoscono.

Perchè, quindi, la faccenda va in ebollizione? In parte perché “ciò che tutti sanno” non è mai stato spiegato agli elettori del nord Europa, per cui l’ora di riconoscere la realtà dei fatti è rimandata a una qualche data futura. In parte anche perché ho il  sospetto che i creditori si attendano il solito rituale dei governi debitori che abbandonano miseramente, in nome della responsabilità, le promesse fatte in campagna elettorale, e restano quindi in attesa che il nuovo governo greco paghi il consueto tributo dell’umiliazione.

Ma, come ho detto, stavolta la dinamica è molto diversa.

Sono convinto da tempo che Matthew Yglesias abbia centrato un punto molto importante quando ha notato che i politici dei paesi piccoli in genere hanno degli incentivi personali ad assecondare le richieste della troika, anche se questo vuol dire andare contro gli interessi del loro paese:

“Normalmente si può pensare che la soluzione migliore per il Primo Ministro di un paese sia quella di tentar di fare delle cose che rendano più probabile la sua rielezione. Per quanto le prospettive siano desolanti, questa è la strategia dominante. Ma in un’era di globalizzazione e di EU-rizzazione, penso che i leader dei paesi piccoli si trovino in una situazione piuttosto diversa. Se quando si lascia la carica si è riusciti a ottenere la stima dell’establishment di Davos, allora c’è sempre un posto alla Commissione Europea, o al Fondo Monetario Internazionale, o in qualche carrozzone del genere, al quale si può accedere anche se si è assolutamente disprezzati dai propri compatrioti. Anzi, in un certo senso essere odiati sarebbe un pregio. La dimostrazione ultima della solidarietà nei confronti della “comunità internazionale”, sarebbe di fare quel che vuole la comunità internazionale, anche di fronte ad una forte resistenza da parte dell’elettorato del proprio paese.”

Ma un vero governo di sinistra, a differenza di uno di centro-sinistra, è molto diverso — non perché le sue idee politiche siano folli o selvagge, perché non lo sono, ma perché i suoi funzionari non saranno mai tenuti in grande stima dall’establishment di Davos. Alexis Tsipras non entrerà mai in un Consiglio di Amministrazione bancario, né diventerà presidente della Banca dei Regolamenti Internazionali, o magari commissario europeo. A Varoufakis non piace nemmeno mettere la cravatta — cosa che, consapevole o no, è un modo per dichiarare visibilmente che non ha nessuna intenzione di giocare al solito gioco. I nuovi leader greci avranno successo o falliranno, sul piano individuale, in base a ciò che succederà in Grecia. Non ci saranno premi di consolazione per un fallimento convenzionale.

Berlino e Bruxelles lo capiscono? Se non lo capiscono, stanno agendo sulla base di un pericoloso equivoco.

[Nel titolo c’è un gioco di parole con il termine “tie”, che in inglese significa sia “legame” che “cravatta”, con l’allusione al fatto che Tsipras e Varoufakis non la usano, NdT]

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