Grandi Opere, gli appalti di Penelope

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Lombroso
Fonte: Il Simplicissimus
Url fonte: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2015/12/01/grandi-opere-gli-appalti-di-penelope/

di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 1 dicembre 2015

Una volta si davano contributi anche all’ente “una rosa per Maroncelli” incaricato annualmente di recare un fiore sulla tomba del compagno di cella di Silvio Pellico allo Spielberg. Credo sia stato abolito, ma molti invece resistono a Spending Review  e comune senso del pudore. Ogni tanto qualcuno ne pubblica un elenco, compreso il Cnel,   Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, di cui un disegno di legge costituzionale ha previsto l’estinzione. Ne fanno parte, secondo il censimento di Cottarelli almeno  1.612 enti tra difensori civici, Tribunali delle acque,  Bacini imbriferi montani, gli Ato,   600 «enti strumentali» delle Regioni, consorzi di bonifica, l’Istituto agronomico per l’Oltremare ed anche l’Unione italiana Tiro a segno, presieduta da un signore immortalato accanto a simpatici tiratori amatoriali in divisa da SS.

Ma ognuno di noi può esercitarsi a citarne altri, nei quali si è imbattuto, verificandone più che l’inutilità, la dannosità e non solo a causa dei costi diretti o indiretti che sosteniamo per finanziare gestioni ordinarie e straordinarie e gli ancor più straordinari consigli di amministrazione, direttivi, collegi di probiviri, consulenti. Perché se producono qualcosa, di solito si tratta di quei censimenti, quelle indagini, quelle statistiche, quelle rilevazioni che dimostrano come, a cominciare dall’Istat,  il furto e la manipolazione dell’ informazione non avvenga soltanto attraverso il sistema dei media, ma per maggiore sicurezza del regime, si effettui  già alla fonte, attraverso manomissioni, addomesticazioni, esercitazioni letterarie in forma epica o eroica, tutte ugualmente indirizzate non a censire, bensì a censurare, ammorbidire, temperare mancanze e devianze di governi parolai, menzogneri, incapaci, secondo le leggi e le correnti del non-pensiero mainstream.

Non so di quali finanziamenti godano vari istituti che periodicamente ci aggiornano con sfrontata protervia sui costi del “non fare” in Italia, ma penso che quello che fanno loro possa essere costato e costi caro all’avvicendarsi di governi che del dinamismo, dell’azione  e della mobilità, futurista e non solo, hanno fatto il loro caposaldo. E che hanno ritenuto e ritengono sia doveroso e giusto sostenere con prove scientifiche e valutare con dati certi ed “indipendenti” il danno recato dalla proterva resistenza alle novità e alla concretezza, da parte di popolazioni retrive, misoneiste, disfattiste e probabilmente anche autolesioniste, quella del Nimby, del no-Tav, no-Trivelle, no-Ponte, no-autostrade, e così via, quelle organizzazione spontanee che Renzi ha definito con la sua spocchia tracotante “comitati e comitatini” e cui De Luca darebbe dei “personaggetti”. E che invece rappresentano le ultime sacche che reagiscono e si oppongono a opere costose, pesanti, inutili come gli enti di cui sopra, anzi dannose per il bilancio dello stato, per l’ambiente, per la sicurezza e per la legalità, visto che si tratta per lo più di macchinette mangiasoldi,  che li risputano moltiplicati per mantenere un sistema di corruzione e speculazione proprietaria.

È di questi giorni la pubblicazione del rapporto dell’Osservatorio “Costi del non fare”, sottotitolo: Le infrastrutture tra sviluppo nazionale e opportunità internazionali, la cui “attenzione si concentra sui progetti infrastrutturali relativi ai settori dell’energia, dei rifiuti, della viabilità stradale e ferroviaria, dell’idrico e delle telecomunicazioni, approfondendo inoltre le cause dell’inerzia e formulando proposte concrete per il loro superamento”, che ci annuncia   come sia in ritardo l’85% delle opere prioritarie con costi raddoppiati  e come l’Italia butti via oltre 40 miliardi l’anno, più di una finanziaria, per “i colli di bottiglia” causati  dalle carenze infrastrutturali del Paese. E come ammonterebbe  a 640  miliardi da qui al 2030, il 2,l del Pil nei prossimi 15 anni, il  costo della mancata realizzazione dei progetti strategici per le telecomunicazioni e la logistica, l’energia e l’ambiente, la viabilità e le ferrovie.

E di chi è la colpa? il Corriere della Sera che ha intervistato gli analisti, non ha dubbi: “la causa risiede nelle opposizioni locali e nelle richieste di compensazioni esorbitanti che funestano i cantieri”. Ecco spiegato l’arcano: non è mica colpa di appalti opachi che prevedono anticipatamente rincari, sospensioni artificiali dei lavori in modo da obbligare a rifinanziamenti, non è mica colpa di un sistema di scambio di favori, mazzette e voti che fa sì che sia più profittevole non fare, o fare e disfare come la tela di Penelope,  e tirar su penali sibaritiche piuttosto che realizzare i progetti, quei progetti che costituiscono la fonte di reddito più fruttuosa per gli studi professionali e per le imprese di note cordate molto influenti che hanno imparato a limitare il loro impegno alla fase preliminare, molto più vantaggiosa e remunerativa.

Ma possiamo star tranquilli, ci incoraggiano i valenti studiosi:nuove regole per gli appalti e le prospettive di allentamento del Patto di Stabilità, che dovrebbe consentire delle eccezioni concesse ai Comuni virtuosi per poter usare i soldi che hanno in cassa, “fanno pensare a una possibile accelerazione dei progetti più urgenti”.

Non so voi, ma io tremo all’idea di quali possano essere le priorità di enti locali irreprensibili e oculati, magari come quelli che si sono fatti anticipare un bel po’ di quattrini per perorare presso le popolazioni riottose la bontà delle trivellazioni, messe fortunatamente in discussione da un referendum autorizzato dalla Cassazione, o quelli delle autostrade deserte, o quello del nuovo canale per far passare i mostri delle crociere.

Perché nell’elenco delle urgenze indilazionabili non compaiono gli interventi di messa in sicurezza del territorio, di riparazione del dissesto idrogeologico, insomma delle vere emergenze che di anno in anno diventano più mortali e catastrofiche del terrorismo, per numero di vittime, irreversibilità, conseguenze per le generazioni a venire. Eh si, pare che la  dissipazione delle risorse, il degrado delle aree urbanizzate, il consumo di suolo,l’esaltazione della proprietà largamente speculativa facciano parte dei fondamenti irrinunciabili della nostra civiltà e della sua “egemonia” nel contesto internazionale. Altro che barbarie.

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