Fonte: Politicaprima
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di Maurizio Alesi – 9 luglio 2016
La sagra degli affari di famiglia di questo governo si riprende la scena. La cricca di Palazzo Chigi è impegnatissima a sistemare amici e parenti.
Il buon esempio è indicato da Tiziano Renzi indagato per la bancarotta della Chil Post: in trent’anni e con dieci società ha assunto un solo dipendente a tempo indeterminato: il figlio Matteo. Messo in regola appena una settimana prima che si candidasse a presidente della Provincia di Firenze. Una mossa molto utile per avere i contributi previdenziali, e, una volta diventato sindaco, anche di quelli di Palazzo Vecchio.
Un breve excursus servirà a rinfrescarci la memoria sui galantuomini scelti da Renzi per guidare l’Italia. Ad aprire le danze l’ex ministra Cancellieri amica di famiglia dei Ligresti cui affidava la tutela (e la carriera) del figlio, indagatoper concorso in bancarotta. Poi il caso del ministro per le infrastrutture Lupi che si affannò da subito a procurare incarichi di lavoro e una sistemazione per il figliolo tra Rolex in omaggio e abiti sartoriali per sé stesso. Lupi si rivolse a Ettore Incalza (a capo della cricca degli appalti del G8 con Anemone e Balducci). Il capo della struttura tecnica delle Grandi Opere e subissato di procedimenti penali.
L’ex ministra Federica Guidi è stata costretta alle dimissioni per il noto emendamento in favore della Total con cui il fidanzato Gianluca Gemelli era in rapporto d’affari. Un emendamento ad “societas”, prima giudicato inammissibile, presentato dalla Guidi, inserito e approvato forzatamente nella legge di stabilità. Il faccendiere-fidanzato partecipava (non si sa a che titolo) persino alle Sedute di Commissioni parlamentari per vigilare personalmente sui suoi affari. Renzi, allora, definì “indifendibile” la posizione della sua ministra dello Sviluppo.
Sulla Boschi invece non proferì verbo neppure di fronte alla sua responsabilità accertata, sull’emendamento “sporco” che reca la sua firma. Ma l’ape regina, si sa, è intoccabile. La famiglia Boschi, com’è noto, disponeva della Banca Etruria: fratello, babbo, cognatino tutti indagati per il gigantesco buco e per le truffe ai danni degli azionisti e dei risparmiatori. E infatti la stessa Maria Elena non partecipa al consiglio dei ministri quando si deve decidere in materia bancaria per evidente conflitto d’interessi.
Ultima, in ordine di tempo, l’inchiesta “labirinto”. Faccendieri, affaristi, corruttori, frequentatori di Palazzo Chigi e, naturalmente politici del NCD e la stessa famiglia di Angelino Alfano.
Il caso dell’incredibilmente ministro degli Interni, quello che dovrebbe garantire l’ordine e la sicurezza degli italiani, raggiunge il livello più basso di questo governo che lede la dignità di milioni di giovani costretti a scappare dall’Italia perché non trovano un lavoro. Ma per la famiglia Alfano questi problemi non esistono. Con un parente che fa il ministro il futuro è garantito. Angelino ha sempre mostrato tanto amore per la famiglia. Fratello, moglie, cugini fanno tutti carriera. Tiziana Miceli, moglie del Ministro ha ricevuto cinque incarichi legali dalla Consap, una concessionaria del ministero dell’Economia, altri dal ministero dello Sviluppo Economico, dalla ex Provincia di Palermo e anche dall’Istituto autonomo case popolari.
Il fratellino Alessandro aveva già impegnato gli uffici giudiziari per presunti illeciti su alcuni esami per la sua laurea ad Agrigento. Poco dopo il giovane rampollo vince il concorso per segretario generale della Camera di Commercio di Trapani. Ma ben prima che si tenesse quella selezione pubblica, un esposto anonimo aveva incredibilmente predetto la vittoria del fratello dell’ex ministro della Giustizia. Oltre al fatto che, pare, non avesse maturato i cinque anni di esperienza dirigenziale previsti per la partecipazione al concorso, e ovvie conseguenze giudiziarie.
E siamo allo scandaloso incarico alle Poste da 160 mila euro. Ottenuto grazie al faccendiere Raffaele Pizza arrestato nell’operazione anticorruzione di questi giorni. E che dire sulle parole della segretaria di Pizza Marzia Capaccio: «Ad Alfano noi gli abbiamo sistemato la famiglia… questo doveva fare una cosa… la sera prima… mi ha chiamato suo padre… mi ha mandato ottanta curriculum (…) e dicendomi… non ti preoccupare… tu buttali dentro… la situazione la gestiamo noi… e il fratello comunque è un funzionario di Poste…».
Ma che razza di gente si mette accanto Renzi. Il rottamatore che ha imbarcato il peggio che c’è sulla piazza continuando a fare l’imbonitore, passando da uno scandalo all’altro senza vergogna. Come da copione è già partito il solito repertorio ordito da camerieri, ventriloqui renziani, travestiti da giornalisti alla Meli, Rondolino e gli sguatteri dell’Unità.
Tutti in trincea a menarla con il solito garantismo (non esiste parola più idiota). Questi trombettieri sempre pronti a fare i pompieri del palazzo, continuano a difendere l’indifendibile persino di fronte alle stesse ammissioni dei responsabili che al telefono non lasciano dubbi sulla loro moralità pubblica. Per lor signori un politico dovrebbe dimettersi solo alla fine del terzo grado di giudizio, cioè dopo dieci anni. Per loro la responsabilità politica non esiste. Se non c’è la condanna penale non c’è mai motivo per lasciare.
Eppure l’art. 54 della Costituzione è chiarissimo: I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore. Fatti come quelli a carico del ministro Alfano, non necessitano di una sentenza e neppure di un reato.
Milioni di giovani laureati e preparati inviano ogni giorno decine di curricula per sbarcare il lunario senza alcun esito. Il messaggio che arriva alle nuove generazioni è che se vuoi lavorare devi essere nelle grazie, alla corte del potente di turno o avere il numero di telefono di qualche parente. Vergogna.