di Alfredo Morganti – 31 gennaio 2018
Prima di aprir bocca, Romano Prodi avrebbe dovuto sentire cosa ne pensasse Andrea Orlando. Non perché fosse obbligato a sentire il suo parere, ma perché l’esponente del PD ne sa qualcosa della reale tensione all’unità di Matteo Renzi. Che non sta esitando a fare carne di porco di quel che resta del PD, pur di portare a casa 155 dei suoi, e asserragliarsi nel bunker con Berlusconi. Il segretario del PD in questo momento soggiace al motto ‘primo vivere’, altro che unità larga. A meno che non si intenda questa unità come strumento elettorale utile al suo personale interesse di sopravvivere ai marosi della politica italiana, da lui stesso sollevati a sproposito, peraltro. Il ‘centrosinistra’ costruito dal ‘tessitore’ Fassino somiglia di più all’armata Brancaleone, che a un raggruppamento politico avente una prospettiva. Di cosa stiamo parlando, allora?
Guardare il dito del centrosinistra, quando la luna davanti a noi indica la trasformazione del PD in un fortino personale, con dentro asserragliati i fedelissimi mentre attorno esplodono le bombe, vuol dire essere strabici. Solo lo strabismo può indurre Romano Prodi a non scorgere nei suoi campioni di unità gli stessi 101 che non molto tempo fa lo hanno scagliato contro Bersani prendendo svariati piccioni con una fava: la fine del PD bersaniano, la messa in angolo del padre nobile che aveva già assaporato il profumo del Quirinale, l’avvio della corsa renziana verso Palazzo Chigi (e i bonus che vi erano contenuti), la ‘curvatura’ al centro dell’asse piddino, la rottamazione (o presunta tale) della sinistra storica e dei suoi dirigenti.
Mi chiedo: e se Prodi condividesse, sorprendentemente, alcuni di questi obiettivi? I 101 gli avrebbero fatto un mezzo favore, in fondo. E la rottamazione, poi, l’altro mezzo. ‘Lisciando’ comunque la strada prodiana da personalità invise e annessi ‘problemi’ relazionali. Talché oggi, con la crisi di Renzi, sarebbe giunto finalmente il momento di passare all’incasso personale. L’unità invocata non sarebbe altro, dunque, che il sigillo di un futuro centrosinistra senza Renzi, ma senza nemmeno la vecchia guardia della sinistra storica. Un ‘nuovo’ centrosinistra, certo, capace magari di candidare ancora lo stesso Prodi al Quirinale, e stavolta senza trappole. Chissà se questo disegno sia reale o percorribile. Un disegno macchiato anche da un antidalemismo viscerale, da un senso di revanche, da ambizioni personali non sopite, che spinge la scolorita tenda prodiana verso una sorta di baratro politico da cui sarà difficile, poi, risollevarsi.
1 commento
E io darei una mano a farlo…