Gli spettri sociali e la politica spettrale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 18 maggio 2017

L’Italia è un Paese che sta scomparendo socialmente. L’Istat racconta che la piccola borghesia e la classe operaia hanno subito una “perdita del senso di appartenenza”. Che il ceto medio frana in basso. Che all’appello, rispetto al 2008, mancano (oltre a molti posti di lavoro veri) 1,1 milioni di italiani 18-34enni, e che dunque la società invecchia non tanto perché si allunga la vita media, ma perché ci sono letteralmente molti giovani in meno. E nonostante essi diminuiscano, la disoccupazione giovanile non diminuisce, anzi. Una società spettrale insomma, di figure sociali che svaniscono sostituite da ibridi o da classi che non sono classi, almeno a sentire Istat. Più che altro categorie ritagliate in libertà all’interno del magma sociale, alla ricerca di qualche tendenza o di un bastone rabdomantico che indichi una direzione da seguire e una mappa da decifrare.

Non so se venga prima l’uovo o la gallina. Ma se l’uovo (la società) piange, la gallina (la politica italiana) di certo non ride. Ed è così che si spiega anche questo ciclo terribile di disoccupazione e di affievolimento delle figure sociali. Le risposte alla crisi non sono state adeguate, perché a fronte di molte risorse impegnate (decine e decine di miliardi di euro) i risultati non si son visti e la curva è discesa immediatamente non appena quelle risorse sono cessate. Vuol dire che non si è trattato di interventi strutturali o di investimenti a lunga gittata, quanto di palliativi, di denaro pubblico ‘sversato’ nella speranza di ottenere dati spendibili a breve termine presso l’opinione pubblica. Il cosiddetto ‘jobs act’ parla da sé. Dei 322.000 posti in più nel primo trimestre 2017 rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente, solo 17.000 contratti, dice l’Inps, sono ‘fissi’. Crollano i contratti a tempo indeterminato, in pratica, e cresce parallelamente il lavoro dequalificato. Non era quella la strada per ridare concretezza al mondo del lavoro.

La questione sociale, insomma, non riguarda più solo le frange ‘incoese’ e marginali, gli invisibili insomma, come direbbe Augias. Penso alle tre bambine rom di Centocelle. È fenomeno, invece, ben più esteso. La povertà assoluta tocca il 6,1% delle famiglie che vivono in Italia, il 7,6% della popolazione. Quelle a rischio sono addirittura un terzo. In quelle dove vive almeno un cittadino straniero, la quota raddoppia. La povertà è segno di grandi diseguaglianze, ed è dovuta in gran parte ai redditi. I due quinti più ricchi della popolazione spende il 62% del totale, a fronte dei due quinti più poveri che si limita al 20%. Dinanzi a questo sfacelo, dove i ricchi sono sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, servirebbe non una svolta politica ma una conversione a ‘U’. Investimenti invece di bonus, piani per il lavoro invece di sgravi estemporanei, politiche mirate alle fasce più deboli e agli stati di disagio e non solo rivolti alla classe dirigente, alle ‘eccellenze’, ai cervelli in fuga o alle start up (almeno a chiacchiere). Un orizzonte di interventi che non è alla portata di chi ci ha governato sinora, come hanno debitamente dimostrato i fatti.

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