di Alfredo Morganti – 4 ottobre 2018
Ho notato che la nuova sinistra di patria e di governo è prontissima a impugnare la bandiera dello sfondamento del deficit e del 2,4%, tessendo le lodi degli sfondatori e del loro coraggio. Un po’ meno pronta a schierarsi a fianco della rosa di scelte e atteggiamenti sinora espressi dal medesimo esecutivo gialloverde. ‘Pochi investimenti’ si accusa allora, ‘ancora tagli alle spese e al welfare!’, ‘la flat tax è indecente’, ‘il condono fiscale uno schifo’. C’è anche chi ha provato imbarazzo per il modo crudo e disumano con cui sono stati trattati gli immigrati dei barconi. Un’opera di adesione e di distinguo davvero acrobatica, insomma, giocato sul filo sottile del questo sì ma questo no. Magari col ditino alzato.
Certo, il confine tra sfondamento del deficit e restanti scelte è così sottile, che certe prese di posizione equilibristiche lasciano perplessi e interdetti gli osservatori. Ma tant’è, per una volta che qualcuno la dice dura all’Europa, quel qualcuno va sostenuto anche se tratta gli uomini come sottouomini e non conosce pietas. Peccato, però, che il pacchetto è unico, peccato che chi sfonda il deficit è lo stesso che vuole la flat tax, o che ripropone l’ennesimo condono fiscale. Il pacchetto in politica è sempre unico, soprattutto se al governo coi 5stelle c’è la destra vera, mica le chiacchiere aziendaliste di Berlusconi. Così è un lusso quello di prendere tanticchia (il 2,4%) e obiettare (ma nemmeno troppo) sul resto. Tanticchia e il resto sono una cosa sola, nascono dalle stesse teste e dalle stesse prospettive politiche, unificate peraltro anche dalla miopia del PD, che ha scommesso su questo unità (“lasciamoli lavorare”, “mai con 5stelle”).
E d’altra parte, magnificare il 2,4% è di fatto un sostegno al governo, gioca a favore della sua unità, anche se si fa gli schizzinosi con tutto il resto. Altrimenti dovremmo pensare che la prospettiva politica non la si vede, che ci si ferma ai numeri (peraltro di previsione, nemmeno reali), che si neutralizza e concentra l’azione di governo alle cifre di un documento contabile, ciechi e sordi sul resto. Temo che sia l’effetto di una specie di deriva tecnica, che prende quando un parametro (ad esempio quello della economia) surroga tutto il resto, e quando una disciplina o uno specialismo prevalgono sulla visione politica d’assieme. Economicismo si diceva una volta. Tecnica dicono oggi. Pazienza se si tratta di economisti di professione, capisco che abbiano un punto di vista molto specialistico, ritenendolo superiore a quelli ‘umanistici’. Ma tutti gli altri?
Temo che aderire a una politica e scostarsene nello stesso tempo possa significare una sola cosa: che l’adesione è un po’ opportunistica, che si tende a scindere in ogni caso la propria sorte da quella dei ‘coraggiosi’ del 2,4% che stanno al governo, e che prevalga anche un certo spirito ‘propagandistico’, nonché l’uso sfrontato di concetti impegnativi e controversi come ‘patria’ anche per conquistare spazio, provocare l’opinione pubblica, sollevare l’interesse dei media (e poco importa che ingenerino anche perplessità nel proprio fronte). È tutto lecito, si badi, ma una regola della politica democratica è la chiarezza delle posizioni, la nettezza dello sguardo, la collocazione salda in un orizzonte. La scienza gioca sulle sottigliezze, l’economia sugli zero virgola, ma la politica no, la politica deve dare una direzione, indicare una prospettiva larga, a tutto campo, mica distoglierla. Non è poco, ma è tutto qui.