Fonte: La Repubblica
Tommaso Ciriaco per la Repubblica
La telefonata è fastidiosa. Ma Giuseppe Conte non accetta la sbandata leghista di Luigi Di Maio. Neanche sapeva che il capo dei 5S l’ avrebbe tirato in ballo con Nicola Zingaretti. E di buon mattino glielo dice, senza girarci intorno: «Se pensi che coprirò questa operazione con Salvini, sbagli. Io mi tiro fuori, se questa è la strada che hai scelto ». Il vicepremier lo rassicura.
Dice che di tornare con la Lega non se ne parla. Promette fedeltà, mentre il suo WhatsApp trilla dei messaggini di Salvini. E l’ avvocato lo prende in parola: nel pomeriggio apre al Pd, sbarra la strada al ministro dell’ Interno, conquista un altro pezzo di leadership del M5S. E mortifica l’ ultimatum con cui Di Maio voleva sfidare il Pd per ricostruire in realtà il matrimonio gialloverde.
A furia di giocare al doppio forno, il leader 5S si caccia in un vicolo cieco. Angusto, come il bivio della vita. A sera, si ritrova di fronte a una scelta impossibile: accettare un premier “terzo” per siglare un patto col Pd, oppure tornare con la Lega. Nel primo caso spacca il Movimento. Nel secondo, pure. Ma così resta solo il voto.
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Dal faro basco di Biarritz che veglia sull’ oceano, il bunker del vicepremier sembra ancora più claustrofobico. Conte atterra nella patria del surf per il G7 più difficile, come i summit di chi si presenta dimissionario. Vuole sfruttare la vetrina, però. Mostrarsi ancora in sella.
Tornare centrale, dopo che Di Maio ha lanciato il suo nome con Nicola Zingaretti soltanto per farsi dire di no e conquistare la premiership che gli offre Salvini.
La riunione preparatoria del vertice, quella con Macron e Merkel, si trasforma in una rimpatriata utile alla missione di queste ore. Merkel lo abbraccia, Macron loda l’ impegno italiano in Libia (e visto che in realtà la competizione è feroce, è un bel segnale di attenzione). Parla dieci minuti anche con Donald Trump, «per me contano di più i rapporti umani – dice il presidente degli Stati Uniti – che gli incarichi».
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Il premier porta nel trolley anche il sostegno ufficiale o ufficioso di pezzi importanti del Pd: gira voce di un imminente contatto con Matteo Renzi, del sostegno discreto di Dario Franceschini, del filo diretto con il Quirinale, delle pressioni di una nuova amica come Ursula von der Leyen, eletta alla Presidenza della Commissione grazie al voto determinante dei grillini. In Italia, intanto, circolano anche nomi dei possibili ministri, dalla permanenza di Giovanni Tria al Tesoro – il professore è pronto a esporsi per sostenere che la manovra è già scritta e i conti in ordine – all’ ascesa di Franceschini alla vicepresidenza del Consiglio. La squadra, per il resto, sarebbe nuova di zecca.
Ma è quando parla ai cronisti italiani che l’avvocato terremota il Movimento. Perché chiudendo alla Lega e spingendo per un governo “riformatore” – le stesse parole del segretario del Pd – il premier lancia un segnale decisivo. Non nega le ambizioni da “Conte bis”, ma sconfessa anche Di Maio: il perimetro, sostiene infatti Conte, non può che essere quello dell’ accordo con i dem. E nessuno deve porre ultimatum sui nomi del nuovo capo dell’ esecutivo.
Eppure, la scalata a Palazzo Chigi continua a sembrare impervia.
Zingaretti non si smuove dal veto, al massimo coinvolgerebbe Conte agli Esteri o agli Interni per mortificare Salvini e blindare il patto giallo- rosso. Quanto a Di Maio, resta l’ ambiguità di queste ore. Al telefono con Zingaretti insiste sull’ avvocato, con in mano i dati di Twitter che indicano il “Conte bis” in cima alle tendenze social: “Senza di lui, i nostri boccerebbero l’ accordo con il Pd”. Ma il vicepremier usa questo scudo anche per frenare gli altri pretendenti: Fico, innanzitutto. E destabilizza ancora il Movimento.
Resta il fatto che tornare ai tempi del murales del bacio con Salvini avrebbe lo stesso, identico, deflagrante effetto. I gruppi parlamentari sono una specie di circolo del Pd, ad ascoltare i peones. «Proviamoci fino alla fine», li esorta Massimiliano Smeriglio, vicinissimo al segretario dem. E gli uomini di Fico sono pronti a far mancare al Senato i voti per un esecutivo sostenuto dalla Lega.
Proprio Fico, intanto, sceglie di non coprire le manovre del suo leader. Aspetta pochissimo prima di sfilarsi dal gioco. E a tarda sera ricorda a tutti che il suo lavoro, adesso, è quello di Presidente della Camera.
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Su facebook ho rubato 2 commenti sul veto di Zingaretti a Conte che a mio parere spiegano le opinioni della sinistra plurale
Filippo Crescentini: Se Zingaretti tira ancora la corda nel dire no a Conte rischia di romperla e di dare una gran culata per terra. Poi sara’ ricordato come il secondo PD dopo Renzi che ha fatto in modo che la destra piu’ reazionaria e retriva sia al governo. Lui sara’ politicamente sepolto. La sua memoria sara’ dannata. Il suo partito dovra’ disperdersi.
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Guido Iodice: Per capire bene la situazione:
Conte è:
1. gradito al Quirinale
2. gradito alla Chiesa
3. gradito ai sindacati
4. gradito all’Europa
5. gradito alla gente
6. gradito a gran parte dei parlamentari PD
7. odiato da Salvini
I punti 5. e 6. sono il vero motivo per cui Zingaretti ha messo il veto.