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di Luca Billi 20 febbraio 2016
VERITA’ PER GIULIO REGENI
Giulio era un giovane intellettuale italiano, che ha cominciato a studiare le vicende del Medio oriente – e dell’Egitto in particolare – e che nel corso di questo lavoro si è appassionato a quello che stava facendo, forse troppo, forse commettendo qualche imprudenza, forse fidandosi di qualcuno di cui avrebbe fatto meglio a dubitare. Giulio era giovane, molto giovane, e questi sono errori che si possono commettere proprio quando si è giovani. Abbiamo tempo quando invecchiamo per perdere l’entusiasmo per quello che facciamo e il coraggio di andare fino in fondo per difendere le nostre idee. Giulio in particolare ha cercato di capire come si sta muovendo e organizzando il sindacato egiziano, per ora l’unico elemento di resistenza a quel regime. Probabilmente ha fatto anche un buon lavoro, visto che quello stesso regime ha deciso di rapirlo, di torturarlo e alla fine di ucciderlo.
Non sappiamo – probabilmente non sapremo mai – chi ha ucciso Giulio, o meglio non sapremo i loro nomi, ma sappiamo chi erano: poco importa se poliziotti, agenti dei servizi o delle forze speciali. Erano uomini del regime quelli che lo hanno imprigionato, torturato e ucciso per quello che sapeva, per quello che scriveva, per quello in cui credeva. E sono poco importanti i loro nomi: un regime ha sempre a disposizione molte persone per fare questi lavori sporchi.
Sappiamo però i nomi dei responsabili, ossia di chi ha saputo, di chi ha coperto, di chi ha voluto questo delitto, sappiamo i nomi di chi ha fatto uccidere Giulio. Si tratta di una lista non molto lunga. In cima a questa lista c’è il nome di Abd al-Fattah al-Sisi. Non mi interessa sapere se egli ha ordinato personalmente questa uccisione, probabilmente no, perché Giulio non era così importante da scomodare il capo del regime, ma certamente ora lui sa come sono andate le cose, sa chi ha deciso, chi ha materialmente compiuto l’azione, sa chi ha ucciso Giulio. E tace naturalmente, perché un dittatore fa così, protegge i suoi sgherri quando eliminano un nemico. E poi ci sono le varie cariche di quel regime, il ministro dell’interno, il capo dei servizi, il capo della polizia. Basta fare una ricerca in internet per avere i nomi delle persone che dovrebbero essere processate e condannate per la morte di Giulio.
Sarebbe comodo però fermarsi lì. Lo dico con senso di responsabilità, perché mi rendo conto che è un’affermazione grave, ma anche il governo italiano, a partire dal presidente del consiglio, è tra i responsabili di quel delitto e come tale dovrebbe essere chiamato a giudizio. E’ responsabile perché sa, sa quello che sappiamo noi cittadini che proviamo a informarci, ma verosimilmente sa anche qualcosa di più – o almeno dovrebbe saperlo, altrimenti sarebbe ancora più grave. Il governo italiano sa che al-Sisi è un dittatore, sa che in Egitto c’è un regime autoritario in cui sono negati i diritti elementari di difesa e sa che Giulio è stato ucciso da quel regime. E che il suo cadavere è stato fatto trovare proprio nel giorno in cui il ministro espresso e indicato da Confindustria era in quel paese per stringere affari con quel regime. Il governo italiano, a partire da chi lo guida, è responsabile della morte di Giulio perché ha deciso che quel giovane studente non vale i 6 miliardi di dollari che in un anno si muovono tra i due paesi.
Naturalmente il governo italiano ha finto quel po’ di sdegno che era lecito e doveroso attendersi di fronte all’emozione per la morte violenta di Giulio, ma poi quell’omicidio è diventato un argomento di cui è meglio non continuare a parlare. Perché l’Egitto è un alleato chiave in quel delicato scacchiere, perché gli Stati Uniti hanno fatto sapere che è meglio non alzare troppo la voce e soprattutto perché al governo del nostro paese quel regime piace, piace molto, perché fa affari con le aziende italiane, perché difende – immagino dietro compenso – i loro interessi, perché combatte i sindacati e gli imprenditori italiani amano fare impresa in paesi in cui i lavoratori non hanno diritti. Tra le persone da indagare per l’omicidio di Giulio bisogna mettere anche Emma Marcegaglia e Claudio Descalzi che sono a capo di Eni, l’azienda italiana che fa più affari in Egitto. Loro sono certamente responsabili, così come i vertici di Enel, Edison, Ansaldo, Banca Intesa Sanpaolo, Pirelli, Italcementi. L’elenco dei responsabili della morte di Giulio come vedete è molto lungo, perché 6 miliardi di dollari sono molti, ma con un po’ di pazienza è possibile ricostruirlo.
Un regime non fa mai molta fatica a trovare i propri sicari, ma non ne fa neppure a trovare chi si adatta a servizi ancora più sordidi. Immediatamente dopo la morte di Giulio hanno cominciato a diffondersi voci maligne su quel giovane, sospetti, maldicenze, notizie false. In Italia conosciamo bene questa tecnica di diffamazione dei morti, l’ha usata spesso la mafia per coprire i propri delitti, e quindi non è strano che quel mondo oscuro che si muove attorno al governo del nostro paese usi questo sistema per tentare di screditare un morto che in qualche modo danneggia l’immagine moderna e progressista del regime che stanno costruendo qui in Italia. Anche in questo caso l’elenco è lungo, ma vorrei cominciare a chiamare alla sbarra Edward Luttwak che ha “assolto” il regime egiziano, dicendo che probabilmente Giulio è stato ucciso da un amante. E a seguire tutti quelli che hanno scritto che Giulio era un agente o peggio quelli che hanno scritto, più o meno velatamente, che Giulio in fondo se l’è andata a cercare. Non a caso la stessa frase che viene usata per giustificare i maschi che fanno violenza alle donne.
Giulio era un giovane intellettuale europeo, uno di quei giovani che. indipendentemente da dove siano nati, pensa di poter studiare e lavorare a Londra, a Parigi, o in qualsiasi altra città del mondo. Sono come i clerici vagantes che viaggiavano in tutta Europa per seguire le lezioni che a ciascuno di loro interessava di più, per incontrare quei docenti con cui si sentivano più in sintonia, per cercare i libri custoditi in quella biblioteca e non in un’altra. Quei giovani studenti rappresentarono una delle grandi risorse della storia europea, il segno di un risveglio culturale e sociale che è stato determinante per creare l’identità europea. Per questo i giovani come Giulio, come Valeria Solesin, come le centinaia di ragazze e ragazzi che studiano, lavorano, fanno ricerca, producono cultura, sono protagonisti della solidarietà, in giro per l’Europa, sono così importanti e dovrebbero essere aiutati, al di là dei paternalistici incoraggiamenti di un ministro che, essendo professore universitario, immagina che il mondo fuori sia tutto così corrotto e clientelare come quello che lei conosce e in cui ha fatto carriera. Purtroppo la generazione di Giulio non sembra raccontarci un mondo che sta per uscire dagli anni bui, ma un mondo destinato a crollare, sotto il peso dell’egoismo, della volgarità, della ricchezza, dell’ingiustizia. E forse è un bene che crolli questo impero, così marcio.
Giulio era un giovane di sinistra, un giovane che amava il pensiero di Antonio Gramsci, un giovane che pensava che il mondo potesse cambiare. Era un giovane che aveva delle idee, delle utopie direbbe qualcuno che quelle stesse utopie le ha buttate alle ortiche. E forse non solo un’occasione accademica l’ha portato fino nel paese in cui è morto, perché là – più che nel nostro mondo che sta morendo – sta nascendo una speranza, perché là ci sono tanti giovani – e anche tante giovani – che lottano, anche se è difficile, anche se è pericoloso, perché hanno una speranza. Il nostro impegno per trovare la verità sulla morte di Giulio, per condannare chi, a vario livello, è responsabile della sua morte, è importante non solo per onorare la sua memoria, ma soprattutto per quei giovani che Giulio ha conosciuto e che, nonostante tutto, continuano a lottare. La verità non servirà più a Giulio, ma servirà a loro; e questo è importante anche per Giulio.