Fonte: La stampa
Giorgia Meloni, la più amica americana
La convention di Madrid è il terzo incontro in pochi mesi dei leader sovranisti ma il primo celebrato davanti a un pubblico, con la scenografia, la partecipazione e il coté emotivo di una grande assemblea di popolo. Anche per questo risulta un atto fondativo, una sorta di primo congresso di una potenziale internazionale Maga o Mega sul suolo dell’Unione, l’adunata di un “team Donald Trump” che va ben oltre la naturale simpatia riservata dalle destre europee a ogni presidente Usa espresso dalla destra americana. Qui c’è un grande progetto che ciascuno dei big coltiva per se stesso: diventare il trumpiano-in-chief sul suolo d’Europa, contendendo quel ruolo alla concorrenza conservatrice e soprattutto a Giorgia Meloni, quella che con Donald Trump ci parla davvero, quella che proprio qui a Madrid cominciò la sua scalata al cielo col famoso discorso “Yo soy Giorgia, soy una mujer”.
L’eco di quel comizio risulta evidente quando Matteo Salvini avvia il suo intervento in spagnolo, scusandosi per la pronuncia traballante, e ricorda il suo ruolo di difensore dei confini e i tre anni di inchieste e processi subiti “per aver bloccato migranti clandestini”. Ma la sfida tra i trumpiani d’Italia è solo un piccolo pezzo del racconto. Per capire il contesto generale e certi eccessi encomiastici dei discorsi – Trump “detonatore delle placche tettoniche della politica”, Trump agente della “reconquista cristiana”, Trump “rivoluzionario del buonsenso” – bisogna guardare alle biografie dei leader arrivati nella capitale spagnola.
Sono capi affamati, assetati, stremati da infinite traversate nel deserto che adesso vedono l’avvento dell’era Maga o Mega come un’oasi di latte e di miele improvvisamente fiorita davanti a loro. Marine Le Pen, una scalata al potere lunga ventitré anni e sempre fallita a pochi metri dalla vetta. Santiago Abascal, dal 2014 in campo con le stesse parole d’ordine, gli stessi video tonanti, in una Spagna che non gli ha mai dato più del 15 per cento (ora è al 9, 5). Matteo Salvini, pure lui capo di partito da oltre un ventennio, a un passo dal cielo nel 2019, precipitato in un purgatorio senza gloria, costretto a fare buon viso agli sberleffi dei potenti alleati di FdI. Ma anche l’olandese Geert Wilders, vincitore nelle urne e costretto a lasciare la premiership a un tecnico. O il portoghese Andrè Ventura di Chega! , che tira la carretta dal 2019, bandito da ogni intesa di governo malgrado il 18 per cento delle ultime elezioni.
L’unico con una corona in testa è il premier ungherese Viktor Orban, l’uomo che ha messo insieme tutti gli altri nel raggruppamento europeo dei Patrioti e adesso li incoraggia a osare di più: “Il tornado di Donald Trump – dice all’assemblea – ha cambiato il mondo. Ora siamo mainstream, siamo il futuro”. Ora, è il sottotesto, c’è un’opportunità per tutti di prendersi il potere così a lungo inseguito. Sarà. Ma intanto i riscontri dall’altra parte dell’Oceano non si vedono. Elon Musk non manda il messaggio di riconoscimento che ci si aspettava e resta indifferente alla pronta adozione del suo Make Europa Great Again come slogan-guida. Il presidente Usa, figuriamoci. E alla fine della due giorni l’unico link formale col mondo del lontano sovrano resterà la cena di venerdì sera con Kevin Roberts, il capo della Heritage Foundation, sponsor del Progetto 2025: un piano così estremista che persino Trump fu costretto in campagna elettorale a prenderne le distanze definendo le proposte “ridicole e abissali” (nel suo ultimo libro il politologo invita letteralmente a “incenerire molte istituzioni americane” a cominciare da Fbi e New York Times).
La convention così si è dovuta accontentare di un messaggio di quindici secondi dell’argentino Javier Milei, più che altro un saluto all’amico Santiago Abascal, e di un breve discorso della leader dell’opposizione venezuelana Corina Machado. Non sembra abbastanza per supportare le idee grandiose di un’internazionale benedetta dai padroni politici ed economici dell’Occidente, e nemmeno di una possibile relazione speciale con l’altra sponda dell’Atlantico. E tuttavia una gara è cominciata e quella sembra la posta in palio: chi cavalcherà meglio e con più efficacia il nuovo mainstream della libertà di dire, fare, demolire, provocare, sfidare i grandi organismi internazionali che finora hanno protetto i commerci, la salute, i diritti delle persone. Sempre ammesso che questo tipo di mainstream risulti vincente tra gli elettorati europei. Un recente sondaggio ha rivelato che persino un terzo degli elettori di Lega e FdI hanno un’opinione negativa del debutto di Donald Trump da presidente, e ancora non sono arrivati i dazi e la guerra commerciale che tutti danno per certa. Vai a vedere che questo celebrato nuovo mainstream, alla fine, risulti assai meno mainstream di come immaginano i Patrioti. . .